Minari è un’opera che diventa autentica sinfonia cinematografica, armonizzando tenerezza, dolore, sorpresa di fronte alle inattese svolte della vita. Con la natura a fare da sfondo, ma anche da ingrediente del racconto: verde, rigogliosa, a suo modo enigmatica.

Minari è un’erba ben nota nel mondo del Far East sia per la resistenza sia per le proprietà. Capace di acquistare anche un valore bene augurante, e di crescere persino nell’alveo incolto di un ruscello in Arkansas, a prima vista poco rassicurante (è bene che i più piccoli non lo frequentino per via dei serpenti).

È proprio in Arkansas, negli USA governati da Reagan, che cerca riscatto la famiglia di Jakob Yi (Steven Yeun), di origine coreana, con il sogno di diventare agricoltore in una fattoria di proprietà. Hanno lasciato la California, dove si erano stabiliti inizialmente. La moglie Monica (Yeri Han) è poco convinta: abitare in una pur spaziosa ex-roulotte in mezzo al niente non sembra il suo ideale di riscatto. Lui però non vuole continuare a separare pulcini maschi da pulcini femmine per lavoro, e nello spazio incolto che circonda la casa vede una nuova prospettiva.

minari

A portare un tocco di equilibrio folle ma zen nel nuovo ménage è la madre di Monica, Soonja (Yuh-Jung Youn), che sbarca dalla Corea. Gioca a carte e adora la cola al limone. «Non sembra una nonna. Non fa i biscotti» osserva David (Alan S. Kim), il figlio più piccolo. Ma la saggezza piena di amore di Soonja è destinata a portare una lezione più grande. Pur in modi inaspettati.

L’ispirazione autobiografica rende il tocco di Lee Isaac Chung, regista e sceneggiatore, intimo e pieno di stupore. Minari è spesso un film ripreso ad altezza di bambino, ne inquadra la meraviglia di fronte alla scoperta. Gli è funzionale la fotografia di Lachlan Milne, che riempie il film di luce, fa brillare i verdi della vegetazione e i cieli al tramonto.

A sorprendere è la mancanza dell’ombra del razzismo: sembra dietro l’angolo, ma non arriva mai. Gli Yi non sperimentano discriminazione, il film risparmia la velatura amara dell’ostracismo. Per questo diventa ancora più bello: la bolla di solitudine che pare isolarli, in una casa al centro di un terreno che sembra non avere confini, metterà la famiglia davanti ad altre sfide.

Perché la diversità crea ricchezza. E anche il sogno americano diventa meno stereotipato quando fai i conti con le avversità del territorio, che si tratti di siccità o di temporali un po’ troppo violenti. Così anche le stranezze religiose del nuovo amico Paul (Will Patton), un ex-soldato che si fa assumere come contadino e che di domenica si carica sulle spalle una croce di legno a misura d’uomo, non vengono derise: Jakob e famiglia badano alla sostanza più che alla forma.

È nella delicatezza della sua sceneggiatura – e del tocco con cui disegna i personaggi – che Minari acquista una forza di grandezza quasi impressionante. Raramente negli ultimi anni il cinema ha usato i cicli della natura come strumento narrativo così efficacemente, senza far pesare i riferimenti. E ancor più raramente, forse, un ritratto familiare così vero è stato così poco ruffiano.

Dopo la vittoria del gran premio della giuria e del premio del pubblico al Sundance e il Golden Globe come miglior film straniero, sono arrivate sei nomination all’Oscar, incluse quelle per il miglior film, la migliore regia e la migliore sceneggiatura originale.

Steven Yeun, candidato all’Oscar come miglior attore (oltre che al BAFTA, allo Screen Actors Guild Award e al Critics’ Choice Award), ha un carisma naturale, titanico anche nei silenzi, nei modi dimessi. Un’interpretazione di sottile intelligenza che, dietro la pazienza resiliente del suo capofamiglia, passa in rassegna una straordinaria paletta emotiva.

Meno blasonata (è candidata però all’Independent Spirit Awards) ma superlativa la prova di Yeri Han, di intensità struggente. Bellissima, vibra ed emoziona: la nomination all’Oscar come miglior attrice non sarebbe stata immeritata.

Irresistibile Alan S. Kim nel ruolo del piccolo di casa con un piccolo problema al cuore. Candidato al BAFTA come miglior attore non protagonista, a sette anni conquista il Critics’ Choice Award come miglior giovane attore (già memorabile il suo discorso in lacrime alla cerimonia in streaming).

Le candidature sono meritatamente piovute con abbondanza su una fenomenale Yuh-Jung Youn: oltre alla nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista, per la “Meryl Streep coreana” sono arrivati anche il BAFTA, lo Screen Actors Guild Award e diversi premi dei critici. Una nonna che mangia e impreca e che, quando sua figlia in chiesa esagera mettendo nel cestino delle offerte 100 dollari, li riprende con sorprendente abilità. Sarà lei a insegnare al nipotino a riconoscere il minari e a interpretarlo come un regalo della terra. Inatteso, che non ha bisogno di essere coltivato.



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