Old

Benché a un passo dalla separazione, Guy e Prisca decidono ugualmente di concedersi qualche giorno in un angolo di paradiso insieme a i figli Maddox e Trent. I ragazzi non sanno della crisi, né della malattia con cui la madre sta convivendo, perciò l’occasione è buona per regalarsi un ultimo bel ricordo familiare, magari nella spiaggia privata della struttura all’interno di una riserva naturale. La caletta in realtà non è così esclusiva: Guy e famiglia vengono presto raggiunti da altri ospiti del hotel, ma la tensione inizia a crescere quando le onde riportano a riva il cadavere di una donna, mentre Prisca si accorge che i suoi figli sembrano essere cresciuti di anni nel giro di qualche decina di minuti. 

Dopo aver concluso con il discutibile e discusso Glass la sua trilogia sui supereroi, M. Night Shyamalan torna nel suo ambiente naturale, il thriller soprannaturale, con Old, libero adattamento della graphic novel Il castello di sabbia di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters (pubblicata da Coconino). Il regista indiano però spoglia l’opera fonte di ispirazione di alcune delle sue tematiche principali (su tutte la forte carica sessuale utilizzata per ingannare e sdrammatizzare la morte, oltre al razzismo) per portarla su un terreno più neutro, ma più orrorifico, dove si muove decisamente con più agio. 

La pellicola ci mette ben poco a ingranare una marcia alta spostando la scacchiera di personaggi sulla spiaggia dove rimarranno bloccati, prigionieri di un luogo che impedisce loro di andarsene e che accelera il processo di invecchiamento, accorciando anni in ore. Dopo aver presentato abbastanza rapidamente allo spettatore le sue cavie (metaforicamente, ma anche letteralmente visto che il regista si riserva il cameo dell’autista del pulmino), archetipi le cui caratteristiche risultano chiare e intellegibili da subito, Shyamalan può finalmente sbizzarrirsi mettendo in scena la loro rapida decadenza. 

La parte centrale di Old è sostenuta da un ritmo serrato, in cui gli eventi si susseguono rapidi e incessanti, senza pausa: crescite, morti improvvise, parti e degenerazioni, attacchi e guarigioni si avventano sui prigionieri della sabbia e del tempo decimandoli. La gestione della scena è impeccabile e Shyamalan  si concede persino diversi virtuosismi di camera, come piani sequenza e riprese aeree, non solo spettacolari, ma anche funzionali ai fini del racconto, sia per accrescere la tensione per ciò che può avvenire persino nei pochi secondi in cui qualcuno è fuori dall’inquadratura, sia per suggerire l’incombenza di qualche forma di controllo superiore sui prigionieri. 

Dopo averci regalato un paio di sequenze di morte spettacolari, su tutte quella di Chrystal (Abbey Lee), letteralmente stritolata dalla malattia ossea che la spezza e ricalcifica, il film si avvia però verso un finale decisamente atipico per Shyamalan, privo del classico colpo di scena che ribalta la situazione, ma ricco invece di spiegoni non necessari e fondato su un deus ex machina abbastanza risibile. 

Dopo aver letto la graphic novel di Lévy e Peeters è abbastanza evidente come Shyamalan abbia voluto disinnescare la storia di Old della sua portata politica, allestendo ad esempio un gruppo di personaggi ben più innocuo, privo sia dell’immigrato che del maschio alfa razzista e fascista, per concentrarsi su tematiche più universali, legate allo scorrere del tempo e alla sua importanza. In questo processo di rielaborazione però il finale ha perso forza e tutte le suggestioni sulle possibili cause degli eventi accennate su carta finiscono invece per essere esplicitate e sottolineate sul grande schermo, ripetute e spiegate almeno un paio di volte per essere sicuri che anche in ultimo banco sia tutto chiaro. 

Nel tentativo di sganciarsi da tematiche complesse e potenzialmente pericolose in termini di ricezione di pubblico, Old si avvia dunque verso un finale esplicito e abbastanza classico per il genere, ma che paradossalmente (e forse involontariamente viste le tempistiche di lavorazione) lo catapulta in un territorio ancora più delicato e problematico, ovvero quello della sperimentazione medica e dei suoi limiti. 

Al netto di un epilogo decisamente strano per la carriera e le abitudini di Shyamalan, nonché debole per il modo in cui sottolinea concetti già chiari ed esplicita suggestioni che si sarebbero rivelate più potenti se fossero rimaste tali, Old intrattiene e diverte per almeno due terzi della sua durata e merita una visione quanto meno per gli sprazzi di buona regia e per i casting degli attori scelti per interpretare i personaggi più giovani che si ritrovano a crescere e invecchiare nel giro di poco più di un’ora, davvero credibili e a tratti indistinguibili. 

Certo siamo lontani dalla delusione di Glass, ma anche convincente solidità di Split, che aveva fatto sperare in un ritorno al vecchio smalto di M. Night Shyamalan dopo essere inciampato in una serie di passi falsi abbastanza preoccupanti per la sua carriera. D’altra parte, si sa, il tempo passa per tutti…



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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