Leave no traces

I fatti sono realmente accaduti. Nel maggio del 1983, in una Polonia che ha abolito la legge marziale e che pianifica una visita di Giovanni Paolo II, il liceale Grzegorz Przemyk viene fermato dalla polizia e arrestato perché rifiuta di esibire il documento: sa di non essere tenuto a farlo. In commissariato viene picchiato a morte pochi giorni prima di compiere diciannove anni.

L’amico Jurek assiste impotente al pestaggio, immobilizzato dagli agenti. Sarà lui, insieme alla madre di Grzegorz (la poetessa dissidente Barbara Sadowska) a denunciare l’accaduto, e a lottare contro un regime che non vuole un processo. Lo Stato, intanto, prova a fargli terra bruciata attorno, minacciando e corrompendo chiunque possa rappresentare una pedina sulla strada della verità, dagli infermieri che trasportarono Grzegorz in ospedale – dove inizialmente un medico incompetente diagnosticò solo un presunto abuso di alcol – ai genitori di Jurek.

La vita dell’unico testimone oculare dell’omicidio, così, si ritrova stravolta: è l’inizio di un calvario mentale e, per alcuni aspetti, fisico.

Leave no traces

Il titolo cita l’agghiacciante ordine che un agente diede ai poliziotti che massacravano Grzegorz Przemyk: quello di non picchiare sulle spalle ma sulla pancia, per “non lasciare tracce”.

Duro e solenne, il film del polacco Jan P. Matuszynski (classe 1984) scuote la Mostra di Venezia ripercorrendo con livido rigore la parabola di un processo – e della sua preparazione – che per lo Stato non s’ha da fare. Riduce l’enfasi ma non rifiuta lo sdegno nello sporcarsi le mani e nell’affondare la macchina da presa nell’immondo ginepraio di violenza, omertà e corruzione.

Centosessanta minuti tesi che procedono con un ritmo narrativo inesorabile. Il che può essere un ostacolo alla visione, nel rendere un film di due ore e quaranta pericolosamente monocorde. Ma Leave No Traces procede montando la tensione emotiva che affianca indignazione e limpidezza rendendo il risultato organico e compatto.

Qualche ambiguità nella sceneggiatura è lasciata solo dal personaggio della madre di Grzegorz Przemyk: il suo impegno politico la porta a vivere la tragedia con un distacco che pare innaturale (pare avesse già ricevuto minacce di ritorsioni contro suo figlio), e in questo Matuszynski chiude il campo visivo del suo film limitandosi a un focus sugli eventi esclusivamente pubblico, politico, mettendo troppo in secondo piano il dramma privato e il dolore intimo. Sembra Jurek a mostrare la ferita della perdita dell’amico più di altri, addirittura più della madre del ragazzo.

Il film avrebbe forse tratto giovamento dalla ricerca di un equilibrio fra la portata storica dei fatti e la dimensione personale, dolorosa. Ma lo sguardo del suo protagonista, l’attore e musicista Tomasz Ziętek, concentra con sorprendente naturalismo il rimpianto e la rabbia, trasformandosi in perfetta cassa di risonanza per le intenzioni del regista.

La fotografia sgranata e i toni cupi, man mano che Leave No Traces procede, diventano così pendant dell’oppressione plumbea di un regime che non può più permettersi di ricorrere a nuova violenza per insabbiare lo scandalo e inquinare le prove, ma opta per sotterfugi vili e brutali in un’assurda sciarada di menzogne. Una doppiezza quasi mostruosa, che Matuszynski arriva addirittura a mostrare in modo simbolico sui visi dei personaggi (si pensi al make-up caricaturale dell’odiosa procuratore donna).

Un film che, come ricordano i suoi protagonisti, vuole scuotere le coscienze senza cedere alla collera del risentimento, attraverso l’orrore che è naturale reazione di fronte a una storia vera di cui in Italia – come in altri paesi – non si è mai parlato molto.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, ,
Similar Posts
Latest Posts from Players