A quasi trent’anni dal suo esordio in USA, il comic Teenage Mutant Ninja Turtles arriva in Italia grazie a un’enciclopedica raccolta in sei volumi edita da 001 Edizioni, che mostra al pubblico del Bel Paese il vero volto delle Tartarughe Ninja. La caratterizzazione originale di questi personaggi, difatti, è diametralmente opposta all’immagine edulcorata prodotta in seguito per l’adattamento a cartoni animati e per il resto di quel merchandise (come la linea di action figures o le serie di videogiochi) attraverso cui il brand delle Turtles si è affermato nello Stivale, durante i primi anni Novanta.

Il comic ideato nel 1984 da Kevin Eastman e Peter Laird (entrambi sia disegnatori che sceneggiatori) risulta un prodotto tutt’altro che rivolto ai giovanissimi, dove la vena ludica è limitata a una satira salace dell’America di quel periodo e del relativo panorama fumettistico, mentre il tono generale si rivela sin da subito cupo, a tratti drammatico. Del resto, Teenage Mutant Ninja Turtles nasce come un’opera underground.

Ai tempi, Eastman e Laird sono una coppia di autori in erba, ma già reduci da una serie di delusioni professionali, dovute alla loro cifra stilistica aggressiva e non convenzionale, che gli preclude l’inserimento all’interno delle major fumettistiche statunitensi. Così, con i 500 dollari racimolati tra un provvidenziale rimborso tasse e un prestito ottenuto dallo zio di Kevin, i due creativi decidono di fondare una propria casa editrice, la Mirage Studios, e di autoprodurre un fumetto che condensi senza compromessi la loro vena artistica. In questo modo, viene alla luce il primo numero di Teenage Mutant Ninja Turtles, un albo da quaranta pagine, pubblicato nella tiratura limitata di tremila copie.

I contenuti si fondano su una sorta di ossimoro concettuale, incarnato nel quartetto di protagonisti, che calano la figura dei ninja (tradizionalmente descritti come assassini agili e letali) nel corpo di una versione antropomorfa delle tartarughe (note per essere creature goffe e pacifiche). In tale scelta si respira tutta la potenza weird e iconoclasta del comic, che trova eco sia nella trama che nell’ambientazione. Quest’ultima è uno spaccato privo di filtri estetizzanti della New York di metà anni Ottanta, raffigurata come una metropoli lercia, abbrutita, divorata dalla criminalità e dove «i coccodrilli vengon fuori dalla doccia».

Non a caso, sono proprio le fogne della Grande Mela, salite alla “cronaca” popolare dell’epoca come ricettacolo di rettili esotici scaricati nel water, a fare da culla alle quattro tartarughe, mutate in esseri umanoidi da un liquido misterioso, per poi essere prese in custodia e iniziate alle arti marziali da Splinter, un ipertrofico ratto senziente, originario del Giappone.

Nonostante la loro genesi stravagante, le Turtles non sono dei benevoli freak, ma agiscono come spietati vigilantes, rispondendo alla violenza con la violenza. Già dal primo numero, le vediamo reprimere nel sangue i traffici di una gang da strada e, successivamente, vendicare la morte del mentore di Splinter, uccidendone l’assassino. Giustizia sommaria e vendetta d’onore sono di fatto i temi cardine del comic, ma questi vengono elaborati attraverso uno stile narrativo agrodolce, che riprende e al contempo parodia grottescamente la poetica di Frank Miller, in particolare quella espressa dal fumettista attraverso la graphic novel Ronin (1983) e gli episodi di Daredevil curati per Marvel dal 1981. Lo strisciante sottofondo caricaturale arriva talvolta a palesarsi sottoforma di battuta esplicita, come nel caso del nome scelto per il clan ninja rivale delle Turtles (il Piede), che ironizza su quello del gruppo di sicari nipponici collegato all’Elektra marveliana (la Mano).

Da Miller, i due autori riprendono anche il disegno graffiante e dinamico, ibridandolo con un tratto ruvido, che pare figlio del Richard Corben prima maniera o degli altri artisti più caustici formatisi sulle pagine di Heavy Metal (rivista di cui, tra l’altro, Laird è oggi proprietario e direttore). Il tutto viene servito su tavole in bianco e nero, caratterizzate da chine spesse, dense e irregolari, simili a segni di carboncino tracciati su una superficie scabra.

Il fumetto riscuote consensi esponenzialmente crescenti e, dopo un periodo di prova con uscite irregolari, diventa una serie mensile. Ciò conferisce maggior respiro alla trama e allo sviluppo psicologico dei protagonisti, che prendono i nomi di quattro celebri artisti rinascimentali. Così, Leonardo si delinea come il discepolo diligente e l’ideale fratello maggiore del gruppo, Donatello è il creativo, Michelangelo lo spensierato e Raffaello il ribelle. Questa maturazione avviene attraverso storie in cui le atmosfere noir sfumano in secondo piano, lasciando spazio a un afflato verso l’assurdo, che sfocia in situazioni deliranti, come il cross-over con il Cerebus di Dave Sim.

La kermesse picaresca, però, s’interrompe con un tragico coup de théâtre, che rappresenta uno dei passaggi più intensi e significativi dell’intera serie. Durante la notte di Natale, un Leonardo uscito in ricognizione viene ridotto in fin di vita dal clan del Piede e si trascina sino al covo dei suoi compagni. Qui, i quattro, sopraffatti numericamente dai nemici e in preda al panico, sono costretti a rifugiarsi lontano dalla città, dove si scontrano in silenzio con il loro lato oscuro. Leonardo perde lo spirito di gruppo e sprofonda nel nichilismo, Donatello si chiude in se stesso per scrivere il diario del suo dolore, Michelangelo manifesta improvvisi raptus distruttivi, mentre Raffaello scopre a sorpresa un ossessivo istinto protettivo, che lo porta a vegliare giorno e notte sui propri cari. Mettendo in risalto il “teenage” del titolo, questo affresco riassume con l’aspra delicatezza della poesia metropolitana tutta la fragilità dell’adolescenza, in particolare di quella che si consuma nelle periferie urbane degradate, dove la necessità d’imporsi con la forza genera profonde voragini sottopelle, in cui si annidano paure e insicurezze.

Nel corso dei numeri successivi, la serie continua ad avvicendare senza soluzione di continuità episodi parodistici e amare riflessioni a sfondo sociale. L’alternarsi di tali registri è sottolineato dal variare degli artisti che si passano il testimone ai disegni e alle sceneggiature. Tra questi spicca lo stesso Richard Corben, che, da modello ispiratore dei due autori originali, diventa sostenitore attivo del “Turtle Power”, derogando dal suo caratteristico stile gore per illustrare una storia sbarazzina, dove il quartetto di mutanti viaggia nel tempo. Meritevole di menzione è anche Michael Zulli, che mette il suo raffinato disegno gotico al servizio di una miniserie dal sapore mistico e crepuscolare, in cui i protagonisti tornano a combattere i propri demoni interiori, arrivando persino a confrontarsi con il mistero della morte.

La crescente presenza di guest authors è anche dovuta al fatto che, dal 1989, Eastman e Laird sono principalmente impegnati sul fronte dei prodotti su licenza, attraverso cui si definisce il volto mainstream delle Turtles. La serie a cartoni animati risulta essere l’iniziativa cardine per la diffusione del franchise, arrivando a vantare ben dieci stagioni e un adattamento a fumetti, affidato ad Archie Comics. In queste incarnazioni, le storie perdono qualsiasi connotazione violenta e l’aspetto dei personaggi viene addolcito.

Come ogni fenomeno pop, anche il boom commerciale delle Turtles finisce per esaurirsi (orientativamente nel 1996) e, dopo vari passaggi di mano, il diritti vengono ceduti nel 2009 a Viacom, che indirizzerà definitivamente il franchise verso il pubblico dei bambini, producendo entro il 2012 una serie televisiva in computer grafica. Questa desolante prospettiva è un motivo in più per recuperare oggi l’opera originale e scoprire quello che è a tutti gli effetti un classico del fumetto contemporaneo.

Questa recensione è tratta da Players 12, disponibile gratuitamente dal nostro Archivio.



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Piero Ciccioli

Coniuga da anni la sua professione di ricercatore scientifico a quella di articolista e saggista specializzato in videogiochi, cinema d’exploitation, horror, fumetti e nei più disparati prodotti di entertainment d’origine nipponica. Nutre una viscerale predilezione per tutto ciò che è weird e sogna di radere al suolo una riproduzione in cartapesta di Tokyo, vestito da Godzilla.

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