È l’ora di avventurarsi in una delle serie più adrenaliniche degli ultimi vent’anni. Dopo aver visto giovani crescere in Freaks and Geeks, è tempo di salvare il mondo in 24.
Mentre Robert Cochran e Joel Surnow lavoravano a 24, a metà del 2001, l’idea di una serie dedicata al terrorismo in terra statunitense sembrava quasi banale, un pretesto per creare storie ad alta tensione, fantasie paranoiche su un pericolo costante ed invisibile. L’undici settembre del 2001, a poche settimane dalla messa in onda del primo episodio della serie, “terrorismo” è diventata la parola più ripetuta nei media di tutto il mondo. La Fox ha rimandato la messa in onda della serie a novembre, cambiato qualche dettaglio per evitare che i parallelismi con la realtà fossero troppo evidenti, e tutti i coinvolti nella realizzazione della serie hanno incrociato le dita, convinti che le immagini delle torri cadenti avrebbero distrutto qualunque possibilità che la serie avesse successo.
24 racconta le avventure di Jack Bauer, un agente della Counter Terrorism Unit (CTU), una sezione del governo americano appositamente dedicata a contenere la minaccia terroristica in suolo americano. Adrenalinica e tesa, la serie si rifà alla formula dei film d’azione degli anni ’80. È un misto tra Die Hard e Mission Impossible, il cui segreto sta nella struttura molto innovativa: ogni stagione è divisa in 24 episodi di 45 minuti che raccontano in “tempo reale” gli avvenimenti di una giornata nella vita dei protagonisti. E ognuna di queste giornate è un incubo ad alta tensione. Nel primo episodio della serie la vita privata di Jack e il suo lavoro diventano immediatamente una cosa sola: sua figlia Kim viene rapita da un gruppo di terroristi intenzionati ad uccidere David Palmer, senatore afromericano in corsa per diventare presidente. Jack ha pochissimo tempo per salvare sua figlia, salvare l’America, e non impazzire.
Ogni serie di 24 è un tornado di eventi: Jack, i suoi colleghi e i suoi amici si trovano coinvolti in scenari ai confini della realtà, ricchi di cospirazioni, tradimenti e colpi di scena. Quasi ogni stagione introduce un avversario che verso la metà delle 24 puntate si rivela solo una pedina in un gioco più ampio ed inquietante. Ma Jack non demorde mai. Il suo coraggio lo porta a rischiare tutto, ogni volta; resiste a torture e a condizioni impossibili, a momenti sembra sovraumano. E nonostante questo convince, grazie all’interpretazione di Kiefer Sutherland, attore qui capace di dare senso ad una carriera molto scostante. Così come il personaggio principale, 24 funziona perfettamente solo grazie alla qualità dell’esecuzione. Per quanto la complessa struttura di ogni stagione costringa gli autori a ricorrere a idee narrative spesso assurde, grazie all’uso perfetto degli split screen, l’incredibile attenzione al modo in cui le sequenze si intrecciano tra loro, e al ritmo frenetico di ogni episodio, non c’è mai spazio per la noia. Soprattutto perché questa è una di quelle serie dove nessuno è al sicuro, come dimostrato dal finale della prima stagione, uno dei più devastanti nella storia della televisione. E tutti gli attori lavorano ad alti livelli, così che nessun personaggio sembri realmente secondario. Nei suoi momenti migliori, 24 non lascia respiro.
La prima serie di 24 è stata concepita prima del 9/11, ma dalla seconda in poi gli autori non hanno potuto fare a meno di guardare in faccia la realtà, e in particolare il grande “nemico” dello scorso decennio, i fondamentalisti islamici. Sin dalla seconda stagione l’Islam è stato al centro della trama della serie, intrecciato in trame contro gli USA, e da subito questa scelta ha irritato le comunità islamiche e molti tra coloro che hanno trovato poco appropriata la scelta di parlare di argomenti così scottanti in una serie spesso molto sopra le righe. E i problemi sono aumentati nella terza stagione, nella quale Jack ha adottato più di una volta misure decisamente radicali per tirare fuori informazioni dai suoi nemici. Le scene di tortura di 24 sono entrate nella storia della televisione, hanno sollevato polemiche feroci e, secondo alcuni, favorito atteggiamenti “leggeri” verso la tortura da parte dei soldati americani. Un gruppo di militari americani ha visitato la produzione dello show per mostrare ai creativi che la tortura è scientificamente inutile per ottenere informazioni dai prigionieri.
Questa serie di polemiche è uno dei più interessanti esempi della difficoltà nel coniugare intrattenimento e politica: una storia avvincente ha spesso bisogno di forzature, di usare un linguaggio molto più vivace e forte di quello permesso dalla complessità del quotidiano. Così le scene di tortura di Jack sono inquietanti e fondamentalmente impossibili, ma anche momenti di tensione tra i più straordinari visti in televisione. E contando quanto complicati fossero i problemi razziali nel periodo immediatamente successivo alla caduta delle torri gemelle, la capacità degli autori della serie nel riuscire a non trattare in maniera troppo stereotipata nessuna etnia ha del miracoloso. Nell’era del politicamente corretto imperante, dove ogni frase può finire nel mirino di mille associazioni, fondazioni, portavoce e giornalisti, l’equilibrio trovato dagli autori di 24 è da applausi. Negli anni in cui è andata in onda, la serie ha rivaleggiato The West Wing nel modo in cui ha influito sul dibattito politico americano. Secondo alcuni il carisma del presidente Palmer, interpretato da Dennis Haysbert, ha dato modo ai cittadini americani di prendere sul serio l’idea di un presidente di colore. E i metodi di Jack sono stati usati in molte occasioni per riflettere sulle conseguenze dell’America post Patriot Act.
24 ha raggiunto il suo apice nella quinta stagione, una delle migliori di sempre, dove le paranoie cospiratorie che fanno da sfondo a gran parte del racconto hanno trovato la loro massima espressione. In 24 il nemico è sempre interno ed esterno, e nessuna figura, a prescindere dalla sua autorità, è necessariamente pulita. Sorprendentemente, la sesta stagione è scesa in qualità in maniera radicale, quasi affondando la serie. Ma gli autori hanno trovato modo per dare una nuova direzione al racconto, e di dare senso e chiusura ad un personaggio intenso quanto spesso ai confini della realtà come Jack Bauer. Se il fine giustifica i mezzi per qualche tempo, nelle ultime stagioni le conseguenze cominciano a diventare più pesanti. Le ultime stagioni di 24 sono state viste da alcuni come un “mea culpa” da parte di alcuni degli autori (stessa sorte è toccata ad Homeland, la nuova serie di Howard Gordon e Alex Sansa, due dei nomi più importanti nell’ultima fase di 24), ma se si legge la serie in maniera meno strettamente politica, e più umana, le ultime due stagioni della serie sono una conseguenza inevitabile in una serie di avventure dove Jack ha vissuto sul filo del rasoio per anni, mettendo la sua missione di fronte alla sua vita, a malapena celebrato da coloro che ha salvato, distante da colui che ama e dalla possibilità di una vita anche lontanamente normale. Nella tradizione dei film post Vietnam, dal primo Rambo in poi, le ultime stagioni di 24 sono una riflessione sulla difficoltà del dare la propria vita per missioni enormi, crudeli e spesso difficili da capire, dove fare del bene significa spesso compiere enormi violenze.
Nonostante le ultime stagioni non siano all’altezza delle prime, e per quanto ogni stagione della serie abbia almeno due o tre momenti che stupiscono per ingenuità e goffaggine, 24 ha sopravvissuto all’11 settembre ed ha avuto un successo enorme, sia a livello di ascolti e di vendite (è stata la serie che ha dimostrato l’importanza dei cofanetti DVD per le produzioni televisive) che di critica, vincendo molti Emmy, in particolare per la straordinaria quinta stagione. E le polemiche che ha scatenato hanno avuto un effetto ancora più ampio. 24 ha fatto quello che è più importante fare quando si vive un momento traumatico in democrazia: non ignorarlo. Continuare a far girare opinioni sui metodi e sulle soluzioni migliori in momenti dove nessuno è sicuro su quali queste siano è fondamentale. Significa non dare mai per scontato nulla, continuare a porsi domande, non rifiutarsi di porre quelle più difficili, e non smettere di cercare di migliorare le cose..
CONSIGLI DI VISIONE
Originale o doppiata?
24 è una serie basata sull’azione e quasi tutte le interazioni sono veloci, disperate e urgenti. Il dinamismo visivo di ogni episodio fa sì che la distrazione dei sottotitoli sia particolarmente fastidiosa; e in alcune stagioni anche nella versione originale si assiste a scene dove alcuni personaggi mediorientali o africani parlano in inglese per motivi poco chiari. Insomma, il doppiaggio non è una tragedia, ma al solito fa perdere qualcosa, soprattutto l’interpretazione di Kiefer Sutherland, il cui Jack Bauer è decisamente memorabile.
Se vi è piaciuta questa serie, guardate:
Homeland è l’erede spirituale di 24: meno incentrata sull’azione e molto più pacata nei toni e nel ritmo, è una delle migliori serie della stagione passata. I produttori della serie avevano lavorato sulla serie dedicata a La Femme Nikita prima di 24, ma ben poche serie hanno tentato di competere con Jack Bauer.
L’eredità della serie:
A parte Homeland, ben poche serie hanno provato realmente a cavalcare il confine tra realismo, dramma e azione per riproporre il successo di 24. Missing, una nuova serie dell’ABC, sembra avere ambizioni simili, ma sarà da vedere con che qualità riuscirà a presentarsi. 24 potrebbe tornare per un’ultimo episodio, al cinema: le voci di un film dedicato a Jack Bauer circolano da anni, e i produttori non hanno ancora escluso che la serie finire sul grande schermo.
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