A sorpresa una delle migliori novità del palinsesto estivo (l’altra è Mr Robot) arriva da un network come Lifetime con una serie incentrata sulla realizzazione di un dating reality: nella finzione il programma da mandare in onda si chiama “Everlasting”, nella realtà è “The Bachelor” (ABC) lo show a cui si allude non solo esplicitamente ma anche con cognizione di causa. Una delle due autrici, l’altra è Marti Noxon (Buffy l’Ammazzavampiri), è Sarah Gertrude Shapiro una che a The Bachelor ha lavorato realmente come producer per nove anni.

La signora Shapiro – le cui aspirazioni e formazione femminista l’hanno portata a paragonare l’esperienza a quella di un vegano al mattatoio – non porta però in scena desideri di rivalsa nei confronti del tipo di show alla cui realizzazione ha partecipato proficuamente. Il vissuto personale è servito piuttosto a confezionare una rappresentazione credibile, priva di intenti moraleggianti, di quella che può diventare la vita sul set di un programma del genere: una vita divisa tra il desiderio di lavorare bene e la consapevolezza che il lavorare bene, in quel contesto, si traduce nel mettere in atto una serie di azioni e comportamenti moralmente disumanizzanti ed eticamente ambigui. UnReal non è dunque una parodia, non è un mockumentary pur mostrando una sorta di making of, e non è nemmeno un puntare – facilmente – l’indice verso il mondo farlocco e manipolatorio dei reality. UnReal è un drama intelligente e accattivante: a voler trovare un termine di paragone possiamo scomodare Quella Casa Nel Bosco e il modo in cui il film ha padroneggiato e dissacrato gli stereotipi del genere horror. Ma vediamo più nello specifico.

In UnReal “Everlasting” è un format ideato per vendere la favola del “Vero Amore”, la declinazione televisiva del Principe Azzurro che tra decine di pretendenti dovrà individuare la prescelta, la ragazza a cui proporre un matrimonio da sogno al termine di un percorso di crescita e conoscenza reciproca altrimenti detto “season finale”.

Tutti i partecipanti, novello prince charming incluso, sono convinti di essere sufficientemente intelligenti e consapevoli per evitare di lasciarsi masticare e digerire dalla macchina del reality. Naturalmente si sbagliano: i produttori del programma sanno come editare, manovrare e lusingare per far sì che tutti, immancabilmente, cadano nel solco tracciato dalla storia che loro vogliono raccontare nel modo in cui vogliono raccontarla. Quinn, la showrunner/produttrice, conosce esattamente il suo pubblico e per quanto le scelte possano apparire ciniche, razziste e sessiste, il risultato è sempre quello che lei definisce “great television” ovvero, ratings alla mano, tv di successo anche a scapito della salute mentale di chi lavora al programma.

UnReal - QueenEsattamente come accade in Quella Casa Nel Bosco chi è in cabina di regia sa che gli stereotipi, in un certo tipo di show, sono sempre vincenti perché il pubblico ne ha familiarità, li riconosce senza fatica e reagisce alla loro riproposizione sempre allo stesso modo: la familiarità è tranquillizzante anche nell’horror perché non sovverte alcun ordine ma, anzi, fornisce inquietudini e brividi gestibili proprio perché ricevuti a scapito di personaggi bidimensionali, incapaci di suscitare un investimento emotivo ed intellettuale che vada oltre la durata del film stesso.

[Spoiler Alert: il paragrafo contiene alcuni spoiler per “Quella Casa nel Bosco”]

Rafforzare i pregiudizi, inoltre, è più economico che abbatterli. In Quella Casa nel Bosco abbiamo cinque personaggi che tramite manipolazioni e macchinazioni vengono portati forzatamente a incarnare gli stereotipi del genere: la biondina facile, il palestrato vuoto, il secchione timido, la ragazza dimessa e sessualmente inesperta, il giullare da non prendere sul serio. E ciascuno di loro viene portato a compiere le stesse azioni sciocche tipiche del genere “c’è un pericolo: dividiamoci!”. In Unreal la situazione è molto simile. Quinn, l’ottima Costance Zimmer, ha già individuato gli stereotipi e il loro destino ultimo: la partecipante bella, virtuosa del violino, con un alto grado di istruzione viene riconfinata all’essere solo la “black girl” del gruppo. Via via anche le altre vengono portate a ricalcare tutti gli stereotipi a cui il pubblico è avvezzo: la slut, la milf, la country girl, la wasp, la bitch. Lo stesso futuro sposo, un playboy inglese snob e opportunista, viene manovrato per apparire il mitologico “bravo ragazzo da sposare”.  In Quella Casa Nel Bosco troviamo la “monsters chart“, ovvero le minacce tipiche degli horror alle quali i direttori di regia ricorrono per mettere in moto gli eventi, in UnReal è quasi sempre Rachel, la miglior executive producer – una bravissima Shiri Appleby – ad assolvere al compito di portare le ragazze ad agire come da copione. Se gli horror utilizzano zombie, demoni e mostri di vario genere e natura, quelli utilizzati da Rachel contro le pretendenti sono altri tipi di demoni e mostri che prendono la forma di razzismo, anoressia, problemi di alcool e abusi subiti.

[fine spoiler]

Ad UnReal, già rinnovato per una seconda stagione, a questo punto mancano solo gli ascolti brillanti del suo “Everlasting”.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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