Il 2011 è stato un anno straordinario per la fantascienza d’autore. Melancholia, Another Earth, Perfect Sense (non a caso tutti recensiti su Players e, sempre non a caso, quasi tutti inediti e non distribuiti sul suolo italiota) hanno dimostrato quanto questo genere, inteso in un’accezione molto ampia, possa essere malleabile, modulare ed efficace per mostrare la debolezza e la fragilità dell’essere umano.

Per completare un quadro tanto esaltante dal punto di vista artistico quanto deprimente da quello concettuale, non ci si può esimere dall’esaltare Take Shelter, film presentato a Cannes l’anno scorso, opera seconda del bravo Jeff Nichols e capace di porsi senza timore a fianco dei capolavori sopracitati.

Il protagonista, Curtis LaForche (decisamente il “nome” dell’anno), un immenso Michael Shannon, è un buon padre di famiglia che sbarca il lunario come operaio part time per garantire la sopravvivenza della moglie (una radiosa e accattivante Jessica Chastain, la più bella scoperta del 2011 e non solo sotto il profilo meramente estetico) e della figlia, sorda dalla nascita. Curtis inizia, però, a soffrire di visioni e terribili incubi nei quali sciami di insetti, tempeste, piogge acide, tornado e cataclismi naturali mettono a repentaglio la sicurezza e la vita della sua famiglia. Ben presto la realtà quotidiana si mescola alla fantasia e per Curtis inizia un doloroso viaggio lastricato di follia e depressione, paura e dubbi che fungono da contrappasso alla placida vita della tranquilla provincia americana. Il processo di ampliamento del bunker antitornado di cui è provvista la fattoria in cui vive Curtis, va quindi di pari passo con l’acutizzarsi delle sue allucinazioni, con conseguente pellegrinaggio da uno strizzacervelli all’altro.

Due elementi concorrono a rendere Take Shelter una visione imprescindibile: la gigantesca performance di Shannon, peraltro a suo agio nei ruoli da “pazzo” (si pensi a Revolutionary Road, dove si ritaglia uno spazio breve ma intenso, a Bugs di Friedkin o a My son, my son… di Herzog) e all’utilizzo parco ma efficace di ottimi effetti speciali che rendono tangibili le ossessioni del protagonista. La contaminazione di generi e la struttura filmica irregolare (si passa senza soluzione di continuità dal thriller psicologico alla fantascienza catastrofica) funzionano alla perfezione.

La musica, la fotografia, elementi semplici ma valorizzati al meglio, acquistano una valenza narrativa fondamentale: la contrapposizione tra la natura immobile e indifferente, scenario delle vite dei protagonisti, e le apocalittiche visioni del personaggio principale viene valorizzata dalla splendida partitura di David Wingo, che alterna rumore bianco a sonorità stranianti, fraseggi inquietanti a momenti di raro lirismo. Un nome e un autore da tenere d’occhio.

Se da un lato è evidente la volontà di Jeff Nichols, regista e sceneggiatore, di evidenziare quanto ancora l’America sia una superpotenza in crisi di identità, atterrita da tutto ciò che la circonda, che ha paura del diverso e fa di tutto per complicarsi la vita, assumendo il ruolo di vittima e carnefice (non manca un’evidente frecciata alla perdurante crisi economica che ha distrutto gran parte della middle class, non solo americana, e alle banche truffaldine che ne sono state all’origine), dall’altro è apprezzabile che l’autore prediliga e metta in risalto il lato umano della vicenda, che vede al suo centro un uomo malato e consapevole di esserlo (ma sarà vero?).

Intimo e sensibile, lo script accompagna lo spettatore con un ritmo lento e credibile, permettendogli di vivere appieno il disagio provato dai personaggi. E che dire del finale? Forse uno dei più palpitanti e inquietanti della storia recente del cinema americano, che apre la porta a mille interpretazioni ma senza lasciare quel senso di insoddisfazione tipico delle produzioni alla J.J. Abrams o alla Night Shamalayan. Un film destabilizzante, profondo, acuto e surreale.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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