Se Spaced ha giocato sui generi, è ora di parlare della serie che ha reiventato l’idea di genere. Battlestar Galactica, versione 2004.
Quando Battlestar Galactica andò per la prima volta in onda, nel 1978, le serie televisive erano molto distanti dalle visioni del grande schermo. Ma il pilot della serie creata da Glen A. Larson costava 7 milioni di dollari, era girato in tre continenti diversi, e miscelava molti elementi della fantascienza classica con una forte attenzione alla religione e al misticismo. Uscita l’anno dopo lo straordinario successo di Guerre Stellari, che avrebbe voluto duplicare, la serie non andò oltre la prima stagione, un po’ per i suoi costi, un po’ per la sua eccessiva somiglianza al capolavoro di George Lucas. Da un certo punto di vista, era anche troppo ambiziosa per il periodo in cui era stata messa in onda. Quando il canale SciFi mandò in onda la nuova edizione della serie, nel 2004, sotto l’egida di Ronald D. Moore, le ambizioni di quasi trent’anni prima sono fiorite in un’epica enorme e complessa.
In una galassia lontana, gli umani vivono in una serie di pianeti che chiamano le “dodici colonie”. Nel passato hanno dato vita ad una razza di androidi, i Ciloni, che dovevano servire da aiutanti e collaboratori. Ma dopo essersi evoluti hanno cominciato a prendere coscienza e combattere i loro creatori. Per decenni la battaglia si è interrotta, ma nel frattempo i Ciloni hanno racconto le forze, e la serie comincia quando riescono a convincere uno scienziato, Gaius Baltar, ad abbassare le difese delle colonie per sferrare un attacco devastante agli umani. Una popolazione di miliardi viene ridotta a qualche decina di migliaia di sopravvissuti. E solo una nave da battaglia rimane in vita, la Battlestar Galactica, comandata da William Adama, un veterano di guerra dal polso fortissimo. E mentre i leader degli umani sono rimasti vittime dell’attacco, Laura Roslin, prima degli attacchi segretario per l’educazione, diventa presidente delle colonie. La situazione degli umani sembra disperata. Ora i Ciloni sono in grado di mescolarsi agli umani, possono sedurli e mimetizzarsi tra loro, e molti di loro vogliono annientare i loro creatori. C’è solo una speranza: raggiungere il pianeta Terra, un posto mitico, per alcuni una leggenda, che potrebbe diventare la culla di una nuova rinascita per gli umani.
La nuova era di Battlestar Galactica è molto diversa dalla sua ispirazione, ed è in gran parte la creatura dell’autore che ha deciso di rimetterla in onda. Ronald D. Moore ha studiato politica, si è arruolato in marina e solo successivamente è approdato alla scrittura televisiva, scrivendo su tutte le serie di Star Trek da Next Generation in poi. Ma l’universo creato da Gene Roddenberry si è sempre basato sul trionfo della ragione su tutto, in una visione idealistica e cerebrale di quello che l’uomo potrebbe essere, l’esperienza di Moore lo ha reso più adatto a una visione più terrena, carnale, e conflittuale. Dopo aver guidato l’interessante esperimento di Carnivale, ha trovato una voce unica, che al rispetto della fantascienza unisce una tensione molto forte verso generi diversi e più seducenti. Probabilmente non sapeva che la sua nuova prospettiva avrebbe definitivamente fatto uscire il genere dal dominio degli appassionati più incalliti.
Battlestar Galactica prende sul serio tutto quello che racconta. La serie è pensata come un dramma puro, dove gli elementi di fantascienza sono un contorno affascinante ad una storia di persone contro altre persone, idee contro idee, e gruppi contro gruppi. In particolare nelle prime stagioni, è una storia che racconta tragedie che hanno paralleli molto forti con il presente e il passato della nostra storia; ci sono riferimenti a gruppi di ribelli oppressi che compiono atti di terrorismo per rivendicare le proprie libertà, e di coloro che devono contenerli. Ci sono momenti in cui chi governa una democrazia deve decidere quanto potere abdicare al popolo in un momento di emergenza. A volte personaggi che amiamo fanno cose orribili, e devono tradire i loro migliori amici perché è la cosa giusta da fare. È un mondo dove buoni e i cattivi non esistono. Ognuno dei protagonisti della serie è profondamente problematico, e in situazioni estreme nessuno resta pulito. Poche serie hanno raccontato con altrettanto realismo i comportamenti della gente in situazioni tragiche come questa. E Moore e il suo team hanno deciso di trovare volti e corpi che dessero il senso della vitalità della situazione. Battlestar Galactica affianca alla freddezza delle astronavi e dei corpi degli androidi uno dei cast di maggior talento e maggior bellezza che si siano visti in televisione. Da Edward James Olmos a Tricia Helfer, passando per Mary McDonnel e Jamie Bamber, la serie è percorsa da talenti straordinari con una grande capacità di sedurre.
I problemi dei sopravvissuti della Galactica assumono così una dimensione realistica e acquistano un senso d’urgenza che viene esasperato da uno stile registico molto secco e diretto. Le situazioni che scuotono i protagonisti della serie sono raramente chiare. Mettono amici ai lati opposti di discussioni molto delicate, dove non c’è una soluzione giusta o una sbagliata. Si dà il senso della necessità di compiere scelte sotto pressione, spesso ammettendo la possibilità di sbagliare, prendendosi sempre le proprie responsabilità. C’è qualcosa di The West Wing in Battlestar Galactica. Nelle prime stagioni è una serie che parla di umani e sistemi, dove i Ciloni non sono solo i nemici, ma anche la rappresentazione di una forza poco flessibile, ideologica, meccanica, la voglia che anche gli umani spesso hanno di trovare una stabilità a tutti i costi. Nei suoi momenti migliori la serie raggiunge livelli di eccellenza assoluta, e non a caso dopo le prime stagioni tutti hanno parlato di Battlestar Galactica come di una delle migliori serie del suo tempo. Se un tempo la fantascienza era un ghetto, grazie a questa serie si è seduta nel tavolo degli adulti e li ha portati a scuola.
Dopo cinque stagioni, la serie è arrivata ad una conclusione soddisfacente ma piuttosto contestata, per quanto non ai livelli di Lost. Sin dalle prime puntate, la serie si è interessata con forza della spiritualità del mondo che racconta. I sopravvissuti all’attacco dei Ciloni praticano una teologia politeista, molto simile a quella della Grecia classica, ma anche influenzata dall’induismo e altre filosofie orientali. È una miscela affascinante, che sottolinea quanta imprevedibilità ci sia nel modo in cui gli umani agiscono, e contrasta con efficacia con il monoteismo dei Ciloni, antagonisti sempre più complessi ed interessanti con il procedere della narrativa. Ma nel momento in cui gli elementi fantascientifici e sovrannaturali prendono il sopravvento delle storie basate sui problemi “reali” del mondo raccontato, l’importanza delle azioni dei protagonisti perde peso. La prima parte della serie è una riflessione su fatti reali, e gli spettatori e gli scrittori giocavano su un terreno simile, riflettendo su quello che li circonda in un dialogo ad armi pari, con storie concrete e coraggiose. Quando il sovrannaturale entra in gioco, i legami con la realtà si rompono; il dramma viene soppiantato dalle regole arbitrarie degli sceneggiatori/demiurghi, e nonostante sia chiaro che gli scrittori avessero l’intenzione di utilizzare gli elementi fantastici come metafora dell’inevitabilità del destino e l’imprevedibilità del fato, il dramma ne risente, e personaggi interessanti perdono letteralmente la loro umanità, trasferendosi in una storia meno interessante, intensa ed adulta di quella a cui ci siamo abituati. L’ultima serie di Battlestar Galactica soffre di questo problema, ma il finale è coerente al racconto e porta su schermo una metafora molto efficace.
Per quanto non perfetto, Battlestar Galactica è un lavoro di qualità altissima, pieno di momenti straordinari e personaggi memorabili. E per quanto non sia la prima serie a trascendere il suo genere di appartenenza, è stata la prima a convincere il grande pubblico televisivo che la fantascienza, l’horror e il fantasy non hanno nulla di “minore”. L’opera di Moore ha permesso al “genere” di diventare irrilevante. Un risultato particolarmente notevole per una serie che trent’anni prima era nata con grandi ambizioni, e che oggi è diventata una pietra miliare della televisione.
CONSIGLI DI VISIONE
Originale o doppiata?
La lingua usata dalla serie non è particolarmente complessa, per quanto molti termini inventati apposta per l’universo della Galactica rendano i dialoghi particolarmente interessanti. La versione originale è meglio di quella doppiata, come sempre, in particolare grazie alla voce rocciosa di Edward James Olmos, ma il doppiaggio non ammazza la serie.
Se vi è piaciuta questa serie, guardate:
Caprica è il prequel di Battlestar Galactica: nonostante la buona qualità è sopravvissuto solo una serie, probabilmente perché non ha mai trovato lo stesso equilibrio tra fantascienza e dramma “crudo” che aveva caratterizzato Galactica. Un altro spin off, Blood and Chrome, sarà sviluppato a breve per continuare l’esistenza dell’universo di BSG. E Hollywood sta sviluppando un remake cinematografico della serie, diretto da Bryan Singer. A parte questo, la storia della televisione è piena di buona fantascienza. Firefly è un’altra serie che ha preso di petto il genere trovando uno stile personale ed efficace; e i classici, come Star Trek: The Next Generation, la serie dove Roger D. Moore ha cominciato la sua carriera, sono ancora molto godibili, a patto che siate appassionati della fantascienza più “canonica”.
L’eredità della serie:
Battlestar Galactica ha dimostrato a tutti che è possibile conciliare la narrativa di genere con un approccio drammatico serio ed ambizioso, e ricco di effetti speciali. È difficile non pensare che il successo della serie di Moore non abbia contribuito all’arrivo sugli schermi di The Walking Dead e The Game of Thrones, serie apprezzate e rispettate anche da chi pensava che la narrativa di genere fosse roba da sfigati.
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