Conosci di fama David Cronenberg. Magari hai visto qualcosa diretto da lui. Sei stato costretto a noleggiare (noleggiare, già) Existenz o Cosmopolis perché la tua ragazza ha le scalmane per Jude Law o Robert Pattinson; o hai regalato Inseparabili al tuo lui perché ha un misterioso feticcio per Geneviève Bujold e in generale per tutte le attrici quebecchesi. Ma non l’hai mai visto in faccia. Cosa ti aspetti da un regista come lui?

Abel Ferrara canta di vizi, colpe, fine del mondo e ha il viso scolpito da tutti questi elementi; Woody Allen mette costantemente in scena se stesso, è i suoi film. Così come Takeshi Kitano, una faccia in preda alla stessa folle anarchia che spinge i suoi personaggi. Meglio sorvolare su Dario Argento. E Cronenberg?

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Martin Scorsese, invitandolo a cena dopo essere rimasto sconvolto dai suoi film, aveva paura di incontrarlo perché si aspettava uno sbavante incrocio tra Arthur Bremer, l’uomo dal viso spento e gli occhiali dalla montatura pesante che nel 1972 tentò di assassinare il candidato democratico alla presidenza George Wallace, e Dwight Frye nei panni del folle assistente Renfield, occhio sgranato e denti serrati in un ghigno inquietante, dal Dracula del 1931 di Todd Browning. E invece David Cronenberg si presenta affabile, cordiale, affascinante; brillanti e sardonici occhi azzurri che accompagnano un divertito sorriso sghembo e una voce calda, melliflua, piacevole. Per dirla sempre con Scorsese: al posto del mostro temuto si è presentato uno che sembra un ginecologo di Beverly Hills. Anche se si rimane con il terrore che, da un momento all’altro, debbano scoppiargli le vene ed esplodergli il cervello.

Cronenberg, in realtà, nasce e cresce ben lontano dalla California, nella bella ma meno glitterata Toronto. La madre Esther, pianista, e il padre Milton, giornalista e scrittore freelance, lo crescono, con la sorella Denise (che diventerà la costumista di fiducia dei suoi film), all’insegna di una serena normalità che sconsolerebbe anche i migliori biografi. Dal ventaglio di interessi che potrebbe ereditare dei genitori, David sorvola sull’ebraismo progressista, a cui preferisce l’ateismo, e si concentra sull’arte e la letteratura. Sin dai primi anni dell’adolescenza scrive racconti inquietanti e tenebrosi. Ma, sintomo di una mente curiosa e spalancata verso i più diversi stimoli, arrivato il momento di scegliere gli studi universitari, Cronenberg asseconda la sua passione per la botanica e l’entomologia (con un particolare amore per falene e farfalle) e si iscrive a Scienze naturali.

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L’esperienza dura poco e il ventenne passa a una più canonica laurea in Letteratura inglese, durante la quale scopre la passione per il cinema grazie al lungometraggio, un dramma universitario a tinte queer, Winter Kept Us Warm del compagno di corso David Secter. E conosce Ivan Reitman – Mr. Ghostbusters, padre del futuro Mr. Juno – con cui fonda la casa di produzione Toronto Film Co-op, sotto la cui egida firma i suoi primi cortometraggi no budget, Transfer e From the Drain, fortemente debitori dello spirito avanguardista della scena underground newyorchese.

La carriera dietro la macchina da presa di David entra in incubazione, preparandosi a crescere nutrita dai demoni e dai virus che tarlano e si aggirano per la mente del regista, pronta a sconvolgere e mettere a disagio. L’esordio al lungometraggio arriva con Stereo(1969), film in 16mm e in bianco e nero, diegeticamente muto e privo di colonna sonora, accompagnato esclusivamente da un commento intermittente, bizantinismi documentaristico/scientifici, sulle vicende che si dipanano nel centro di ricerca telepatica dell’Ontario; una prima volta se non completamente sperimentale quantomeno ostica, un’esperienza straniante, affascinante e provante, che cerca di sedurti il cervello per scoparselo violentemente e fa il paio con il film successivo, Crimes of the Future (1970). Ed è stupefacente pensare a Cronenberg come a un uomo di 70 anni: Cosmopolis (2012), fondamentale viaggio nell’inferno della contemporaneità immerso in un’algida e asfissiante violenza psicosomatica, è la prova schiacciante che in 44 anni di carriera (miracolosamente) la scorrettezza, la voglia di esplorare, la necessità di colpire dove fa più male e il cristallino rigore autoriale del regista canadese non sono mai stati intaccati. L’unica concessione a cui si presta dopo il doppio esordio low budget a cavallo fra anni 60 e 70, è di tipo estetico.

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Cronenberg vuole che il suo cinema, l’inesausta riflessione sull’uomo e le sue pulsioni, possa arrivare a un pubblico più ampio possibile. Senza ammorbidire le tematiche, l’autore di Toronto sceglie di abbandonare la radicale e respingente filosofia estetica di Stereo e Crimes of the Future. Dopo un lustro di riflessione e di intenso lavoro per la televisione canadese – di cui rimangono un gruppo di cortometraggi, alcuni più personali di altri – David torna al cinema con quello che può essere considerato il suo vero e proprio esordio, Il Demone Sotto La Pelle (Shivers, 1975). Un lussuoso complesso residenziale, l’incarnazione del sogno borghese, viene rapidamente infestato da un parassita che abbatte le inibizioni sessuali. Lo scienziato che l’ha scoperto e sperimentato sulla sua amante vorrebbe liberare l’umanità dall’iper razionalità che la imprigiona. Il risultato ottenuto dal suo virus, una combinazione di afrodisiaco e malattia venerea, è una torma di zombie sessuali che dopo avere conquistato il condominio si prepara, alle prime luci dell’alba, a invadere la città. Cronenberg organizza in una narrazione organica e commerciabile – sfruttando gli stereotipi e le regole del linguaggio horror, ma con grande libertà – i moventi tematici e filosofici che già emergevano in Stereo e che diventeranno le pietre angolari del suo cinema. Il virus, innanzitutto, come vettore patogeno interno che si rivolge, con esiti sconvolgenti, verso l’esterno.

Spesso l’autore canadese si trova ad assumere il punto di vista del parassita, o dell’agente che sta infettando corpo e mente. Ne La Mosca, 1986) Jeff Goldblum, brillante scienziato che in un momento di arroganza alcolica decide di sperimentare su stesso la tecnologia di teletrasporto che sta perfezionando, mentre subisce la trasformazione in Brundlefly, in uomo mosca, dà voce alla mutazione, la personifica e le dà una volontà ben precisa. Quindi l’incestuoso rapporto tra psiche e carne, che trova sfogo soprattutto (ma non esclusivamente) in un complesso (e in continua evoluzione) ragionamento sulla sessualità. In Inseparabili (Dead Ringers, 1988) il perfetto rapporto tra i gemelli monozigoti Mantle, ginecologi di fama mondiale, viene disturbato dall’arrivo di Claire e la sovrapposizione, la fusione di corpi diventa perfetta e tale da richiedere la totale promiscuità della psiche, la completa risonanza delle onde emotive, che causa effetti morbosi e catastrofici.

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In M. Butterfly (1993) un omuncolo, René, scopre di avere bisogno di un rapporto impari, di una Madama Butterfly che sancisca la sua potenza in quanto uomo, di una geisha disposta a tutto per amore. La trova in Song, travestito al soldo del governo cinese; in un finale geniale, che ribalta l’opera pucciniana, René realizza di essere Madama Butterfly, e si trasforma di conseguenza. Dangerous Method (2011) è un altro triangolo al quadrato, mente e corpo, ondoso rapporto tra Carl Gustav Jung, il suo mentore Freud e la loro comune paziente Sabina Spielrein; seppure la carne sia ancora presente, la devianza, l’infezione viene quasi totalmente interiorizzata e, banalmente, da trucco prostetico si trasforma in parola: a essere violentata, contaminata e mutilata è, con lucida crudeltà, la psiche.

Cronenberg, poi, si rivolge con profetica costanza al futuro, concentrandosi, lucidamente visionario, sulle mutazioni umane, allegorie di una società in continuo sconvolgimento. Se ne Il demone sotto la pelle presagiva la psicosi delle malattie sessualmente trasmissibili (oltre a fare Alien quattro anni prima di Alien), con il provocatorio e sartoriale capolavoro Videodrome (1983) esplora la nuova carne, il rapporto malato dell’uomo con la televisione e l’intrattenimento (13 anni prima di un testo fondamentale come l’Infinite Jest di David Foster Wallace), quella promiscua interazione con la macchina (su cui ritornerà, nel 1996, con Crash) a cui ci stiamo sempre più avvicinando. Il tutto immerso in una realtà fisica incerta, ingannatrice, talmente facile da riprodurre e sostituire da farci vivere in un dubbio costante, molto più tenebroso, inquietante, senza speranza di quello cyberpunk dei fratelli Wachowski.

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Quanto di vero esperisce, e noi con lui, l’oracolo di tragedie Christopher Walken ne La Zona Morta (The Dead Zone, 1983)? Dove inizia e finisce la realtà fisica de Il pasto nudo (Naked Lunch, 1991), capolavoro lisergico ispirato all’opera di William Burroughs? E la realtà virtuale del mondo di eXistenZ (1999)? La forza del virus che infetta la mente di Spider (2002), poi, è persino in grado di modificare il ricordo del passato, influendo sulla percezione del presente e incombendo sul futuro. Cronenberg nutre a viva forza, e con la necessaria mancanza di sensibilità verso il buon gusto borghese, i nostri cervelli con stimoli crudi, violenti, necessari.

Lo fa con stile spiccio ma non privo di eleganza, con una scrittura funzionale e lucida, ma stratificata e complessa. È un cinema di idee, di visioni, di riflessioni. Qualcosa di molto raro. Specialmente per un autore che si prende sul serio il giusto, che ha uno spiazzante senso dell’ironia sullo schermo e nella vita. Regalando a Scorsese la versione uncut di La covata malefica (The Brood, 1979) gli ha detto «Questa è la mia versione di Kramer contro Kramer». E ancora Scorsese fornisce l’unica chiusa possibile a una riflessione sul cinema di Cronenberg: «penso molto ai suoi vecchi film. E non vorrei farlo. Attendo con ansia i suoi nuovi film. E non vorrei farlo. Hanno sempre la stessa, incredibile potenza».



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