Agosto, il controller sudaticcio, il divano con noi tre schiacciati sopra, gli occhi incollati alla tv. Ultimo livello, solo due vite rimaste. Sonic salta sullo schermo: lo stiamo guidando, una vita a testa, verso lo scontro finale con il Dr. Eggman. Arriviamo a 100 anelli, prendiamo un’altra vita, la tensione è alle stelle. Non dimenticherò mai quel “ua” che segna ogni salto e noi che ci passiamo il pad e saltiamo di entusiasmo.
Gennaio, fuori quasi nevica. Siamo adolescenti che hanno voglia di sole, giri in bici, gelati e calzoncini corti. Nessuna sorpresa che il controller di California Games sia ormai consumato, con i tasti lisci e opachi, come diventano solo dopo l’usura appassionata di infinite partite con pattini, skateboard e freesbee in 8 pixel. Se chiudo gli occhi posso vederli ancora quei pixel, si accendono a formare il titolo, la musica ipnotica che parte sotto e la scritta “Compete in all events”. Number of players: 4.
Il fantasy, che splendida invenzione! I nostri cavalieri trottano sullo schermo e combattono grifoni e villani armati di forcone, mentre noi li guidiamo a scoprire porzioni di mappa sempre maggiori. Ho costruito il pozzo e la torre dei maghi, non conquisterete mai il mio castello. Heroes of Might and Magic ci ha regalato tenzoni all’ultimo sangue in quell’angolo di scrivania, con il mio primo computer che ronzava e sudava peggio di un maratoneta là vicino ai piedi, tra gli zaini del liceo.
A volte penso che le gare “endurance” nel primo Gran Turismo siano state fatte per farci scoprire quanto è bello giocare in gruppo. Cinque giri a testa dei 60 totali per vincere lo special event, con chiacchiere e radio a farci da sottofondo. Domani interroga? Ma va, occhio alla curva.
I genitori in vacanza, io a casa per dare gli ultimi esami all’università prima delle ferie estive. Di giorno si studia, di notte si gioca (noi gamers dormiamo meno, è un fatto). PC configurato come master, portatile come slave, 3 personaggi a testa: si gioca per ore a Baldur’s Gate. Immersi in un universo parallelo, le nostre voci e le risate si sovrappongono ai dialoghi in-game. Hai sonno? Ma no, dai, ancora dieci minuti. Bevi una mana potion, che ti tiri su!
E quando allo spettacolo delle undici arrivavamo sempre un po’ prima e con qualche moneta in tasca per giocare a Time Crisis prima del cinema. Io la pistola rossa tu la blu, modalità cooperativa. Giù il gettone, si parte! E quando invece eravamo a casa, ancora nessun mobile ma una connessione a internet ed un modem che campeggiava al centro della sala. Dopo una pizza da asporto e una coca, login in World of Warcraft e per un paio d’ore non ci siamo: stiamo livellando a Scarlet Monastery. E quando poi siamo stati a mezzanotte, alla festa del negozio di giochi, a comprarci una copia appena arrivata di Wrath of the Lich King per poi darci man forte a salire fino al livello 80, appena introdotto con l’espansione.
Ne potrei citare a decine e probabilmente, se state leggendo qui, potreste anche voi. Amicizie che si scaldano al ronzio dei giochi in co-op, imprese epiche compiute fianco a fianco, con uno schermo condiviso a riflettere trionfi e sconfitte che si vivono in gruppo. Stare spalla a spalla, scambiarsi le sedie calde sotto al sedere, intervallare i livelli con una birra e un panino. Il gioco qui non è il fine, non solo: è uno scenario in cui calare un’amicizia e arricchirla, un luogo in cui la fantasia è più libera e l’esplorazione è più divertente perché la sia fa insieme. E’ una terra di confine, che sta a cavallo tra il mondo “vero” e quello che ci si rivela con l’avanzare di scenario, un boss alla volta. Un posto per sua natura magico, divertente, eppure così realistico. Un luogo speciale, in cui i personaggi lasciano spazio alle persone.
21.30, i baci della buona notte sono stati dati, dalla cambretta arrivano due respiri leggeri e tranquilli, sprofondati nei pupazzi e illuminati dalle lucine colorate per la notte. Accendo il controller 2, premo start. Diablo III illumina lo schermo. Stasera si va Nuova Tristram.
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Grazie!
Un bellissimo articolo. In cui – è vero – molti di NOI possono ritrovare brandelli della propria vita. E riconoscere che il videogame non è certo, come dicono alcuni, una evitabile perdita di tempo, ma un arricchimento e una forza, quando riesce ad unire le persone, o concedere loro l’agognata pausa di cui avrebbero bisogno. Davvero un bell’articolo!