Finalmente. Forse esageravamo nel pensarlo già finito e perduto, Luc Besson, ma ormai sono anni – dal 2006 per la precisione: mica pochi – che il regista di Léon e di Il quinto elemento si è imbambolato in prodottini esili, quando non indifendibili come la trilogia dei Minimei wannabe Disney, le avventure slapstick e appiccicate di Adèle e l’enigma del faraone e la tristissima parentesi mal scritta mal girata mal tutto Cose nostre – Malavita. In quanto a The Lady, biopic e melò sulla preziosissima figura di Aung San Suu Kyi, ci siamo trovati di fronte a un’opera potenzialmente potente ma in fin dei conti irrisolta.

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Insomma, AAA: Luc Besson cercasi, ma quello vero, quello coraggioso e incisivo. E finalmente rieccolo, ad esaudire con Lucy le nostre preghiere di cinefili rimasti un po’ orfani, storditi e abbandonati, con un giocattolone sci-fi filosofico metafisico supereroico e chi più ne ha più ne metta, un oggetto che forse non ci aspettavamo ma che accogliamo a braccia aperte e ghiotte. Lucy, che porta non a caso il nome dello storico australopiteco, che è una nuova Eva 2.0, che da fanciulla ingenua e sfortunata si tramuta in onnisciente creatura celeste, Lucy col film omonimo riaccende e riconferma la speranza di un definitivo ritorno di un regista spericolato e sbruffone, audace e giocoso.

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Giostra visiva, non esente da fumettosità didascaliche e da qualche momento di imbarazzante incredulità, Lucy avanza a grandi passi tra le sfere della scienza e della magia, tra il bullet time di Matrix e i colori shock di 2001: Odissea nello spazio, prende un’interprete glamour come Scarlett Johansson – peraltro davvero brava – e la priva di anima facendone una Nikita androidizzata, esasperando e alla fine azzerando il sex appeal rendendola puro concetto, facendone involucro per un nuovo e ultimo progresso dell’umanità.

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Incarnazione cinematografica di montagne russe elettrizzanti che vanno a cento all’ora, Lucy, poco apprezzato dalla critica ma già roboante campione di incassi (con ottimi risultati anche nel botteghino italiano), va preso per quel che è, un’apparente commercialata pensatissima e ragionata da un ottimo filmmaker che vuole divertirsi ma vuole anche esplorare, porsi domande, giocare a Spy kids viaggiando tra le epoche del mondo, trastullarsi con scene da videogame mentre trasforma la sua eroina in martire della specie e si interroga sul destino di tutti noi, sul tecnologico e sul virale e sul’impalpabilità del cybercervello, tra l’action e la donna che si fa dio. Di tutto un po’ (anzi parecchio), si esce sazi e con gli occhi ancora strapieni di meraviglia e incertezza. Ci piaci così, Luc. E ci piaci tanto.



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