Mauvais Genre, di cattivo gusto. Questo il titolo originale di Poco raccomandabile, ultima opera di Chloé Cruchaudet edita in Italia da Coconino Press e premiata con il premio Micheluzzi per il “miglior fumetto straniero” al Napoli Comicon 2015 – a selezionarlo la giuria composta da Milo Manara, Iacopo Barison, David Riondino, Giancarlo Soldi e Matteo Stefanelli. Quest’ultimo ha motivato le scelte in un interessante articolo pubblicato su Fumettologica, sottolineando egregiamente come «sotto la bravura formale [di Poco Raccomandabile, ndR] si nasconde il sapore di una inquieta vicenda che vibra ancora della “scoperta” narrativa fatta dalla sua autrice».

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La vicenda si apre con una tavola brillante: assistiamo al cambio d’abito di un uomo che, toltosi cappello, giacca e gilet, indossa una toga ed entra in aula. Dopo alcune informazioni preliminari, il magistrato ordina di ricominciare il processo, partendo dall’inizio. A Parigi, durante una serata danzante a cui partecipa con l’amico Gino, Paul Grappe conosce Louise Landy nel 1911 e, dopo qualche anno, decide di sposarla prima dell’inizio del servizio militare. Salutandola esclama: «In quattro e quattr’otto finisco il servizio… e quando torno mettiamo su una bella casetta». Una promessa che sarà disattesa da un evento sconvolgente, la Grande Guerra. Pur occupando uno spazio esiguo, in termini di pagine, l’autrice dipinge il conflitto nella ferocia e violenza del fronte occidentale sottolineando atrocità ed orrori sia fisicamente, colorando di nero le pagine ad essa dedicate, sia narrativamente attraverso la figura del colonello, personificazione del classismo e dell’indifferenza dei militari. Dopo aver assistito impotente alla morte di un commiltone, Paul decide di disertare: amputatosi volontariamente il dito e ricoverato, fuggirà con l’aiuto di Louise. A causa dei disordini che, nel maggio del 1917, avrebbero provocato un vero e proprio ammutinamento di 30mila soldati, a cui sarebbe seguita la dura repressione voluta dall’allora generale Philippe Pétain che portò alla condanna di 23.395 soldati (più di 400 furono condannati a morte e gli altri inviati ai lavori forzati nelle colonie penali), Paul è costretto ad autorecludersi ed a vivere sulle spalle della sola Louise. Non sopportando la situazione, aggravata dai sintomi di quello che sarebbe presto stato definito disturbo post-traumatico da stress (DPTS), in seguito a un litigio Paul compie una scelta estrema: indossa un vestito della moglie ed esce in strada. Passato inosservato, l’uomo decide di fingersi donna finché non sarà dichiarato l’armistizio e, con l’aiuto di Louise, compie un cambiamento che avrà ripercursioni radicali sulla sua vita. Paul diventa Suzanne.

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Suzanne diviene ben presto più di una semplice seconda identità e si afferma anche come reazione al trauma. Il confronto con il passato avviene fisicamente grazie ad un abile stratagemma: durante le parate di rientro dal fronte dei soldati Suzanne è riconosciuta da un soldato, Gino. Il dialogo che ne segue è esemplare e il confronto tra le due figure impietoso. Da un lato vi è una bellezza nuova, ‘di cattivo gusto’ poiché nata da quella che apparentemente una deviazione, e dall’altro vi è il risultato, mortifero e mostruoso, di quella che è una pari deviazione. «[…] Mi hanno ridotto uno straccio. Non sento più neanche l’odio, me ne frego di tutto. Non ti denuncerò – esclama Gino, concludendo mestamente – Ma spero di non rivederti mai più. Mi fai vomitare». Un uomo che, da vivace ed eroticamente attivo come lo era stato Paul (ed in realtà è ancora come Suzanne), manifesta il suo aderire ad un nichilismo passivo determinato dall’esser sopravvissuto alla prima guerra tecnologica della storia. Suzanne diviene una figura preponderante e tracontate, caratteristiche che saranno rese ancor più acute dall’addentrarsi nei divertimenti degli années folles, il decennio in cui Parigi divenne la capitale dell’arte, dello spettacolo e della nascente cultura popolare. Mirabile in questo senso la scelta di mostrare il dito perduto in guerra in una sequenza di scoperta e di ingresso nei recessi del Bois de Boulogne che definirei un climax antitetico del Doppio sogno di Arthur Schnitzler. A questo punto una rottura della narrazione, costituita dalla testimonianza del feticista Georges e contrappuntata dalle parole del sopraccitato giudice, anticipa la definitiva fine dell’equilibrio creatosi: il tentativo di rimozione forzata di Suzanne, causato dall’armistizio del 1925, determina il sorgere di una serie di nevrosi in Paul le cui conseguenze non risparmieranno Louise – non anticipiamo nient’altro.

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Come si evincerà da questa sorta di riassunto, l’opera di Cruchaudet gioca su svariati livelli di lettura e tematici. La questione di genere, pur presente, ricopre un ruolo meno importante di quanto si possa inizialmente immaginare, allontanando il fumetto dall’opera a cui si è ispirato, il romanzo La garçonne et l’assassin di Fabrice Virgili et Danièle Voldman (Payot; Francia 2011). Piuttosto la continua costruzione e decostruzione dell’identità sessuale di Paul ed in particolare di Suzanne a presentare una profonda riflessione sull’essenza della stessa narrazione: Freud riteneva che i sintomi nevrotici potessero avere valenze positive e ricoprire un ruolo importante nello sviluppo dell’arte e della scienza. Inoltre l’intera opera presenta continui riferimenti ai rapporti tra le varie classi della società e soprattutto sulla nascente classe borghese che, nella figura del giudice, assume quelle posizioni perbeniste e moraleggianti che, accompagnati dalla crisi del ’29 e dalla paura dell’estendersi della rivoluzione bolscevica, favoriranno la fine degli années folles e l’emergere dei fascismi. Poco Raccomandabile è una delle opere di fumetti più interessanti dell’anno, soprattutto per le questioni che solleva e le riflessioni che propone – ancora più importanti in un momento in cui gran parte dell’Europa sembra ricordare con nostalgia (ed assenza di senso critico e studio storico) certi valori ed idee che hanno fondato i regimi totalitari. La traduzione di Francesca Scala, con l’eccezione del titolo che ritengo sia meno efficace dell’originale poiché ne mantiene solo l’aspetto propriamente ‘politico’, restituisce la vivacità dei dialoghi dell’originale – per il resto l’edizione italiana ricalca l’originale della Delcourt, scevra di aggiunte di sorta.



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Dario Oropallo

Ho cominciato a leggere da bambino e, da allora, non ho mai smesso.

Anzi, sono diventato un appassionato anche di fumetti, videogiochi e cinema: tra i miei autori preferiti citerei M. Foucault, I. Calvino, S. Spielberg, T. Browning, Gipi, G. Delisle, M. Fior e S. Zizek.

Vivo a Napoli, studio filosofia e adoro scrivere. Inseguo il mio sogno: scrivere.

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