Personalmente odio i funerali, non mi piacciono le esequie, i coccodrilli li lascio ai pellai. Questo mese è andata in scena La morte di Mercurio Loi, così è la vita e comunque, detto tra noi, non ne sentirò la mancanza. Su, non fate quella faccia. Il fatto è che Mercurio non è morto davvero, sapete? Come può morire un mistero irrisolto? E come può mancarci qualcosa che non muore? Muore la vanità? Può sparire il teatro? Può dissolversi per sempre il colore giallo? Allora state certi che non crepa nemmeno Mercurio.

Sono giunto a questa conclusione ieri, al termine della rilettura di tutti gli albi. Se la cosa vi può interessare, dal mio articolo precedente il mio giudizio non è cambiato di una virgola, ma non è questo il punto. Il punto è che sono arrivato alla fine del viaggio e non sono riuscito a farmi un’idea definitiva sul protagonista, né sui comprimari, né sui suoi nemici. Tutto mi rimane irrisolto, almeno in una certa misura.

E dire che ci ho provato, oh se ci ho provato, e come me molti altri appassionati con gli approcci più diversi e gli strumenti epistemologici più raffinati. Alla serialità di Mercurio Loi ha fatto eco la serialità di articoli e approfondimenti, come le illuminanti antilogie di Chiara Cvetaeva e Giacomo Mrakic o le lezioni di anatomia semiotica di Barberis, appuntamenti irrinunciabili col paratesto, fondamentali per scandagliare quegli indizi di cui avevo colto magari l’importanza, ma ai quali non avevo saputo collegare un significato che mi soddisfacesse.

Dal canto mio, ho affrontato la lettura di ogni episodio dal punto di vista a me più congeniale. Mi reputo un buon risolutore di puzzle, cintura marrone di Sudoku, fan sfegatato del Professor Layton e come tale ho cercato di comprendere Mercurio Loi: con la logica. Di solito faccio così: traccio contorni, definisco i limiti oltre i quali il ricombinarsi delle probabilità non può spingersi, e, all’interno di questo perimetro, elaboro teorie, scarto ipotesi, arrivo a formulare leggi che spieghino in maniera plausibile il funzionamento degli avvenimenti. Ma mi sono accorto presto che questo sistema non poteva funzionare.

In Mercurio Loi i contorni si fanno sfumati, i colori debordano, le figure si compenetrano, sfuggono a una chiara lettura, il confine tra illusione e la realtà diventa rarefatto. In questo palcoscenico di pazzi, non si può far altro che leggere gli eventi e cercare di dare loro un ordine, una definizione che funzioni, ma senza pretesa di universalità. Chi può dire se ogni situazione sia stata pianificata da Tarcisio o se quel che succede semplicemente… succede.

Come se, attraverso la sua opera, Bilotta volesse dirci che gli enigmi sono spesso una sofisticazione della nostra testa, e che la realtà (e la sua narrazione: la storia) è più sfumata e sfuggevole di un rompicapo. Ad esempio, sempre seguendo il mio modus legendi, mi domando: è solo un caso che Mercurio sia un professore di storia? Io non credo. Tutti sappiamo che la storia è una successione di fatti, ma che il loro significato può cambiare a seconda di chi li racconta, di quali elementi vengono omessi e di quali invece accentuati.

Le prove scompaiono, si insabbiano e riemergono ciclicamente per fornire nuovi elementi al quadro complessivo. Da questo si capisce che la storia è più volubile di quanto si creda e che le trame finiscono per ripetersi di continuo, ma mai del tutto identiche. A chi la storia la osserva dall’interno alcuni dettagli possono sfuggire e può capitare di lasciarsi trasportare dallo scorrere degli eventi: i ricordi si cancellano, le identità si confondono, i ruoli invece restano (l’eroe, l’antagonista, la spalla) anche se gli attori si scambiano le parti, anche se le stesse parti sono mutevoli – proprio come un certo metallo di cui mi sfugge il nome.

Nel corso delle pubblicazioni, abbiamo visto Mercurio ora come un genio, ora comportarsi come uno stolto, ci è apparso come un cinico, ma in altre occasioni come un romantico. Le stesse trame che legano i personaggi hanno subito il medesimo processo di rimescolamento, unione, separazione, metamorfosi. E proprio quando finalmente mosaico sembrava delinearsi chiaramente, eccolo lì il tassello mancante che decide di riemergere dall’oblio per fornire una nuova chiave di interpretazione.

Tutta la storia di Mercurio o è una rappresentazione teatrale, un sogno, insomma, una finzione, o è tutta una macchinazione di Tarcisio, quindi un’orchestrazione ben congegnata, quindi ancora una grande recita, o un carnevale – dove tutto vale – insomma: ancora una finzione. O forse è un’allucinazione indotta dai gas tossici, un’illusione che prende forma nella mente di Tarcisio – ma per forza nella sua? Non potrebbe essere nella testa di Mercurio (d’altronde anche Mercurio soffre di allucinazioni)? e se il sogno fosse un po’ dell’uno e un po’ dell’altro? se fosse condiviso? –  e quindi tutta la vicenda sarebbe un’illusione, in definitiva: una finzione. E poi si tratta pur sempre di un fumetto e, quindi, di nuovo: una finzione.

E chi ci dice a quale linea temporale appartengono le vicende dei singoli episodi? Chi può dirci quante rivoluzioni ha già compiuto questa storia?

Volendo, potremmo fare un gioco di sovrainterpretazione numerologica, potremmo notare che la pubblicazione si conclude al numero 16* (doppio otto) e che è lo stesso Ottone (uhm, un grande otto) a parlare di rivoluzione. Anzi, Ottone è in tutta la faccenda l’agente stesso della rivoluzione, del rivolgimento, di un nuovo inizio. Mi fermo qui, prima di scadere ancora di più nel ridicolo, ma capisco che forse non esiste un modo univoco per interpretare Mercurio Loi. Forse è una lotta persa in partenza, poiché c’è sempre un particolare che sfugge, un pezzo che non va al posto suo.

Questo tuttavia non significa che non valga la pena provarci e riprovarci, accogliendo ora le imbeccate di uno, seguendo ora il proprio intuito. È il gioco preferito di noi lettori, finché non ci accorgiamo che il mistero inafferrabile di una storia, l’indovinello irrisolvibile di questa storia, è quello della vita stessa. Due anni fa, profetizzavo che il professor Loi avrebbe prima o poi bussato alla porta del suo autore; mi sbagliavo (per fortuna). Il professor Loi ha fatto qualcosa di ben più incredibile: ha bussato alle porte di tutti i suoi lettori e li ha invitati ad osservare la gigantesca commedia di cui fanno parte. Tolkien diceva che una storia si assicura l’immortalità quando supera i suoi limiti e getta uno sguardo sul reale. E cos’è Mercurio Loi se non una magnifica recita in cui si specchia la realtà?

Cosa, se non un enorme meccanismo ad orologeria che scimmiotta il funzionamento dell’universo, dove un colpo di cannone sancisce il passaggio dalla luce alle tenebre, dove bene e male sono due centri di gravità che si contendono le orbite dei satelliti? Ecco, vedete? Ci sono ricascato. Questa teoria non torna del tutto, non può funzionare. Non mi resta che ricominciare la lettura daccapo.

Nel mio primo articolo mi domandavo: Mercurio Loi, chi era costui? Giunto a questo punto, ne so quanto prima. Forse non sono poi così bravo con gli indovinelli, fatto sta che le avventure del professore sono state per due anni il mio appuntamento con l’inafferrabile.

In questo lasso di tempo ne sono successe di cose: il fumetto – che da mensile è diventato bimestrale, mentre ora viene raccolto in volumi in libreria – si è affermato come una delle più raffinate opere di narrativa seriale mentre il suo autore ha fatto incetta di premi in giro per l’Italia. Ma sarebbe ingiusto trascurare l’elemento visivo, una colorazione migliorata di albo in albo, una “vignettizzazione” puntuale nello scandire il ritmo delle storie, un uso del medium sempre in armonia con l’elemento letterario in una sinergia narrativa che ha raggiunto vette di eleganza raramente esplorate dal fumetto italiano in precedenza e le mai troppo osannate copertine di Manuele Fior, veri e propri capolavori nel capolavoro (anzi, sopra il capolavoro).

Il viaggio del professore potrebbe dunque concludersi qui. Cionondimeno quello che abbiamo visto è solo un aspetto della storia, i punti fondamentali, le orbite seguite dai personaggi; come avveniva in A passeggio per Roma, resta a noi decidere se, come e quando fermarci.

Una storia che si avvita incessantemente su se stessa è consegnata all’eternità e in quel canovaccio cosmico Mercurio Loi continua a vivere, le sue avventure tornano a scorrere nei dettagli che non avevamo notato, rinascono in forme familiari ma ogni volta diverse, dando forma a significati sempre nuovi.

*Anche se in realtà i numeri sono 17, cosa che fa crollare questa interpretazione in maniera miserevole. O forse no?

 



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