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Natalia — Fausta Cialente

La Tartaruga.


“I manoscritti non bruciano”, scrive Bulgakov ne Il Maestro e Margherita (libro della vita, ndClod), però i libri possono andare perduti nei modi più diversi.
Natalia di Fausta Cialente è sparito per la prima volta nel 1930, sebbene apprezzato da un intellettuale come lo scrittore Massimo Bontempelli, per ragioni così riassunte dall’autrice in un’intervista:

Quando pensai a una ristampa, incontrai subito l’ostacolo della censura fascista. Si figuri ch’io chiamavo Caporetto una disfatta. Ero considerata disfattista. Ma certo l’elemento più scottante era rappresentato dal breve legame lesbico di Natalia. Così, quand’ho visto tutti quei segni rossi del censore sul manoscritto, mi sono detta, basta, non ne faccio più nulla. Stavo già scrivendo Cortile a Cleopatra e Natalia rimase lì, intoccata dal 1930.

Mondadori lo ha ristampato nel 1982, quando Cialente era ormai una scrittrice affermata che sei anni prima aveva vinto il premio Strega con Le ragazze Wieselberger. Poi è inabissato di nuovo, fino all’anno scorso, quando è riemerso per i tipi della Tartaruga; affascinata da questa scrittrice cosmopolita, della quale avevo già letto Il vento sulla sabbia, e incuriosita dai travagli del suo esordio, nel giugno scorso ho comprato il romanzo e ne sono rimasta incantata.

L’hanno chiamata Natalia perché è venuta al mondo una vigilia di Natale, in Piemonte, quando fuori c’era un metro di neve. Il padre è un ufficiale di cavalleria, così la famiglia Fandel si è abituata a viaggiare e a cambiare spesso domicilio. È proprio nel giardino dell’ennesima casa affittata dai genitori che Natalia, ancora piccola, incontra una ragazza che reca in mano una forbice, perché è intenta a sfrondare un glicine in fiore:

Un nome, Silvia, ma niente di più; una voce molle che aveva detto assai poco, una mano tiepida e liscia che l’aveva guidata in una breve passeggiata già finita. Ora quei piedi snelli e lunghi, stretti nella scarpa di tenero camoscio bigio, le sembravano la radice del bel corpo immobile; la caviglia rotonda modellava una calza lieve come una muffa, e dove cominciava una linea curva cadevano fitte le pieghe della veste. I suoi occhi rimasero per un poco su quell’orlo immobile che toccando terra s’apriva a ventaglio; un ciuffetto d’erba spuntava dall’orlo e innalzava, salvo, un fiorellino bianco. (Chissà che avrebbe veduto quel fiore, dentro la campana misteriosa e aperta di quella gonna.) Un poco della manica era scivolata indietro e la nudità dei polsi e delle mani le sembrò straordinariamente luminosa nella crescente oscurità.

Lo sguardo di Natalia nei confronti di Silvia è da subito venato di una carnalità non celata ma ancora acerba, non dissimile dall’ardore verso la protagonista del suo coetaneo Ivan Perlmutter, il figlio del rabbino che vive nella casa a fianco. Un’altra figura poi aggiunge il suo influsso sensuale: Jacopo, il fratello di Natalia, anche lui attirato da Silvia. Ma i Fandel, dopo un anno, si trasferiscono ancora, e il tempo lontano dal giardino corre, inutile e cruento: arriva l’epoca della Prima Guerra Mondiale, Jacopo si arruola e il generale Fandel perde la vita.

Anche Natalia nel frattempo è cresciuta e le hanno assegnato un “figlioccio di guerra”, un giovane ufficiale dal cognome botanico e gloriosamente dantesco: Malaspina, con il quale Natalia inizia una corrispondenza epistolare, riuscendo ad affascinarlo senza grande sforzo; non è difficile, del resto, per una giovane donna bella e spiritosa che scrive a un soldato prigioniero degli orrori del fronte.

Alla fine della guerra, Natalia viene invitata da Silvia per una visita e decide di usare questo viaggio come parziale copertura per concedere a Malaspina l’appuntamento che le ha chiesto. La trama del conscio e l’ordito dell’inconscio di Natalia si annodano: Malaspina è un bel ragazzo e una brava persona, tuttavia per lei rimane solo la marionetta di un gioco che ha smesso di interessarle; nell’incontro con Silvia, invece, sboccia l’attrazione degli anni infantili e le due giovani vivono una passione che Cialente descrive con grande realismo erotico.

Ma Natalia deve fare i conti con le proprie bugie e di nuovo il tempo fuori dal giardino sembra proseguire a un ritmo forsennato, fuori controllo: la distanza di Silvia, Jacopo e Silvia, la sensazione di oppressione delle mura domestiche, la solitudine… Natalia fa una scelta qualsiasi pur di tirarsi fuori dall’impasse, ed è una scelta banale: un matrimonio affrettato.

Mentre progettavo questo dispaccio, mi sono detta: Natalia è una ragazza crudele. La sua non è la crudeltà deliberata, quindi spesso irrecuperabile, dell’età adulta ma un tratto caratteriale che riconosco dagli anni in cui ero più giovane e che sembra derivare dalla difficoltà nel considerare le altre persone, per care che siano, come esseri umani completi. Anche se Natalia non agisce con l’espresso scopo di ferire, Silvia, Malaspina, Jacopo, il sognante Valdemaro o la frivola signora Nina (sua madre) non sono che figure laterali e, talvolta, perfino evanescenti a confronto della sua interiorità inquieta.
Se il romanzo mostra a volte l’inesperienza di un’autrice alla prima prova — penso alla gestione troppo disinvolta di alcuni personaggi e a un certo squilibrio di peso tra le cinque parti — allo stesso tempo non è difficile vederne i meriti: una prosa di grande eleganza e, soprattutto, la concezione della spigolosa Natalia Fandel, un personaggio singolare che meriterebbe di essere riconosciuta solo attraverso il suo nome come le Micol e le Flavia della nostra letteratura novecentesca.

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