Quando una multinazionale viene colpita da uno scandalo che rivela in un attimo la ridicola caducità dei suoi principi etici il mio cuore esplode di gioia. Sto parlando della Volkswagen. Scrivo Volkswagen e subito pensate alla Germania e quindi alle svastiche o alla Merkel. Per molto tempo però io ho creduto che David Hasselhoff fosse tedesco e m’illudevo che ridere di lui fosse ridere di Goebbels, di Mengele e di Jünger e della Germania intera. Ma non dei Rammstein. C’è solo da volergli bene ai Rammstein.

Di recente però ho scoperto la verità: Hasselhoff è nato a Baltimora ed è tanto tedesco quanto lo è il BigMac. E quindi niente, deriderlo è inutile e la Germania è solo cieli neri interminabili e immobili che si depositano su tutto come una pioggia scura e asciutta che porta via il respiro. Quando arriverà il collasso definitivo sarà una grande festa per noi in Italia e in Grecia e in Spagna. In attesa di quel giorno mettiamoci comodi e fingiamo che i tedeschi siano persone piacevoli, guardando Deutschland 83.

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Deutschland 83, come potete agevolmente dedurre dal titolo, è una serie ambientata nella Germania del 1983, al tempo della calda, caldissima guerra fredda, quando il muro di Berlino era ancora un separè di cemento e la Trabant era lo sponsor ufficiale del buco nell’ozono.
Creata dalla giornalista americana Anna Winger e da suo marito Joerg Winger, produttore televisivo tedesco, questa mini-serie auto conclusiva è composta da otto episodi incentrati su Martin Rauch (Jonas Nay), giovane soldato della Germania dell’Est che viene reclutato dal “Ministerium fur Staatssicherheit” (in italiano “Ministero per la Sicurezza di Stato”) per ficcanasare tra i piani militari della NATO dall’altra parte del muro. Le motivazioni di Martin però non sono né politiche né patriottiche: sua madre ha bisogno di un trapianto di reni e a Martin viene promesso che l’operazione verrà eseguita se lui asseconderà le richieste del MFS.

All’inizio queste dinamiche familiari sembrano essere solo un pretesto per dare il via alla serie, ma presto si rivelano per quello che sono realmente: il perno su cui ruota il resto della storia. Perché, nonostante la corsa agli armamenti per la conquista del mondo sia un argomento che mette sempre tutti a proprio agio, una famiglia in crisi è alla base di ogni serie che si rispetti – anche di questa. D’altronde unendo i puntini da 1 a 100 sui libri di storia viene fuori che una nazione non è altro che una grande famiglia e, rileggendo la politica in chiave domestica, la Germania del 1983 è una famiglia spaccata in due, una democrazia capitalista da una parte e una dittatura comunista dall’altra. Brutta bestia le famiglie spaccate in due. Alla fine, si capisce, non è davvero un po’ di sana spy story quello che interessa ai coniugi Winger e non è fare un po’ di interrogazioni a caso per spingerci a rileggere i libri di storia, quanto produrre un po’ di intrattenimento di alto livello. Per farla breve: Deutschland 83 è un drama (tant’è che i diritti di distribuzione negli Stati Uniti sono stati acquisiti da SundanceTV che con la roba pesa ci ha costruito un impero) che però ti prende per mano e te la stringe spesso per dirti di non preoccuparti, di non prendere mai le cose troppo sul serio e che in fondo la vita l’è bela, l’è bela. Basta avere l’ombrela, l’ombrela.

Fa bene, soprattutto di questi tempi, ricordare quanto spesso l’umanità abbia atteso impaziente l’Armageddon, con lo stomaco gonfio di birra e gli occhi pesti d’insonnia, per poi farla franca all’ultimissimo istante e tornare a commettere gli stessi sbagli di sempre. Ma è ancora meglio quando, come in questo caso, lo si fa ascoltando Eurythmics, David Bowie e, ovviamente, 99 Luftballons.

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Ciò che più fa battere il cuore è la performance di Nay, troppo evidente per essere ignorata dei media e capace di convincere nonostante la barriera linguistica; un Nay credibilissimo nei panni di un giovane che, suo malgrado, si trova costretto ad affrontare responsabilità (militari e non) che segneranno per lui la fine della gioventù e l’inizio dell’adultezza.

Per concludere, questa non è per niente una serie scontata, e non è facile dirlo di una coming-of-age-story travestita da spy-story travestita da docu-story. Né certi eccessi didascalici ne riducono l’impatto: dura solo otto episodi ma Deutschland 83 è un prodotto per cui vale davvero la pena sedersi e zig-zagare velocemente con gli occhi tra le immagini e i sottotitoli (non c’è una versione doppiata in inglese, figuratevi in italiano). Una serie che alla fine ti fa pure sentire un po’ tedesco dentro – tedesco come i Rammstein, sia chiaro, non come quell’impostore di David Hasselhoff.



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Flavio De Feo

Vive a Roma, dove lavora in qualità di traduttore e interprete. Scrive di musica e film in giro per il web e collabora occasionalmente con alcune testate cartacee. Ha anche un blog: achepianova.tumblr.com.

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