Simon Callum e sua moglie Robyn sono una bella coppia. Di media borghesia, bella presenza, sposati da poco, una ricca e spaziosa casa appena acquistata, i due si trasferiscono in una città losangelina – la stessa in cui lui ha trascorso l’adolescenza – e un giorno, mentre ciondolano in un negozio a far shopping, si imbattono in Gordon Moseley. Coetaneo di Simon, è un ometto un po’ spaesato, dall’aria trascurata e fuori luogo, ma gentile, che si presenta come un ex vecchio compagno di classe di lui.
Con lieve ma inconsapevole invadenza, Gordo entra rapidamente nelle loro vite: va a trovarli, si fa invitare a cena, aiuta Robyn a sistemare qualche impiccio casalingo, e ribadisce sempre, goffamente, veementemente, quanto il vecchio amico sia un brav’uomo, e fortunato. Simon è il self made man, puro americano da copertina, lui un loser che fa qualsiasi lavoretto riesca ad agguantare per sbancare il lunario.
I coniugi sono via via sempre più in imbarazzo – lei a disagio, lui più infastidito – e quando Gordo fa un passo falso ne approfittano per allontanarlo. Ma non è finita…
Fin qui, l’opera prima di Joel Edgerton (ottimo attore, già visto in Il Grande Gatsby e Warrior, e da tenere d’occhio) sembra muoversi su binari risaputi seminando tiepide attese: un probabile psicopatico che si infiltra nella tranquilla esistenza di una famiglia, con conseguenze catastrofiche annesse. Una regia solida e fluida, e tre “facce” molto giuste (Bateman più che mai insopportabile, la Hall piuttosto credibile, ed Edgerton stesso assai avvinto dal ruolo) contribuiscono alla costruzione di un thriller psicologico di buona fattura.
È però nella sua seconda parte che The Gift si stacca dalla membrana programmatica del genere e rivela sommovimenti autenticamente disturbanti, faglie di reale e onesta inquietudine. Le figure di riferimento si sfaldano, l’obiettivo di Gordo diventa più sfumato (vuole davvero rovinare la vita alla coppia?) e il punto di vista spettatoriale, Simon, si sporca di crudeltà e malessere, inquinando la fiducia che i nostri occhi, e quelli del presunto ‘cattivo’ della situazione, avevamo istintivamente riposto nel suo ruolo precostituito (in questo senso, la scena notturna dopo la sua esibizione al cabaret è agghiacciante nella sua semplicità, per come porta alla luce il vero volto del protagonista).
Per questo, benché il segmento finale (la risoluzione e il twist vendicativo messo in pratica negli ultimi dieci minuti) sia un po’ debole rispetto al climax innalzato in precedenza, The Gift è un lavoro riuscito e appagante: per come rifiuta di seguire le tappe facili di un plot noto e per come inneschi in noi che guardiamo un’empatia e un respingimento nei confronti dei suoi caratteri – davvero umani – e, infine, di noi stessi.
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