Cory Doctorow è una delle figure più influenti del web anglosassone: nato nella blogosfera di Boing Boing, il nostro si è poi affermato come giornalista, scrittore ed attivista del movimento per la liberalizzazione del copyright. Una figura poliedrica che, con In Real Life, si avvicina per la prima volta al fumetto. Al suo fianco, in qualità di disegnatrice, l’abile Jen Wang: nota per le illustrazioni per la riduzione cartacea di Adventure Times e per le opere pubblicate per magazine come LA Magazine, nonché per essere una cofondatrice ed organizzatrice del Comic Arts LA.
In Real Life racconta la storia di Anda Bridge, una teenager che, durante un incontro scolastico, conosce Liza McCombs, una donna appassionata di Coarsegold Online, un MMORPG fantasy fittizio, in cui è a capo di un clan, Fahrenheit. Tale gilda è mossa da un nobile obiettivo: aumentare il numero di videogiocatrici che interpretino personaggi di sesso femminile in-game. È così che Anda crea Kalidestryer, il suo avatar, e comincia ad appassionarsi a questo videogioco. La ragazza è una giocatrice promettente che si ritrova ad accettare dalla misteriosa Lucy, soprannominata “il Sergente”, di affrontare una missione a pagamento: Anda raggiunge una casa ed effettua un raid ai danni di un nutrito gruppo di gold farmer. Durante l’inseguimento di uno dei farmer, Anda però scopre che dietro quelli che riteneva essere prima dei bot e, successivamente, dei truffatori senza scrupoli, c’è un ragazzo cinese, il sedicenne Raymond. Raymond, che ha adottato questo nome durante le lezioni d’inglese, ha scelto di lavorare come gold farmer per pagarsi gli studi. Nel frattempo anche il padre di Anda non se la passa bene: l’azienda di cui è dipendente, la Goodman Manufacturing, decide di licenziare i lavoratori per trasferire le proprie fabbriche all’estero. Come si risolveranno queste situazioni?
Purtroppo, anzi nonostante la scelta di Cory Doctorow di introdurre il testo con una riflessione sul rapporto tra il mondo reale ed il mondo virtuale, la sensazione che si ha è che In Real Life sia un testo in cui accadono troppe cose. La vicenda si dipana per circa duecento pagine, nelle quali però lo spazio non è distribuito equamente: la scelta di delineare attentamente il mondo reale in cui vive Anda e quello virtuale di Coarsegold Online rubano parecchio spazio alle onde narrative del racconto e, soprattutto, alle complesse tematiche che vorrebbe trattare. Lo sfruttamento di lavoratori per la produzione di moneta virtuale da scambiare con denaro reale, il problema della delocalizzazione ed i suoi effetti sulle famiglie dei licenziati, le questioni psicologiche che spingono al giocare online sono solo alcune delle spinose questioni che Doctorow infila nel volume, ma che non riesce ad affrontare estensivamente – figuriamoci a “risolverle”. Un’impresa impossibile che, infatti, conduce ad un finale eccessivamente consolatorio e positivo. Infine è ingenuo notare che un collegamento tra il minimo comune denominatore tra gli eventi economici, l’adozione del sistema capitalistico e relativi corollari, non sia stato neanche proposto. Discorso completamente differente per quanto concerne l’aspetto grafico: i disegni di Jen Wang sono dinamici, vivaci, esplodono di colori e tonalità a pastello che dipingono un mondo fantastico che mi piacerebbe vedere in un vero MMORPG. Ottimo il lavoro anche per quanto riguarda il mondo reale, in cui prevalgono tinte più scure e un tratto meno rapido.
Non lasciatevi fuorviare dagli elementi evidenziati poc’anzi: giudicare negativamente In Real Life, edito in Italia da Edizioni BD, sarebbe ingeneroso. Se è vero che l’opera non riesce ad approfondire nessuno dei temi trattati, è importante sottolineare come la chiarezza dei dialoghi, la bellezza del tratto e una narrazione piacevole possano essere degli ottimi punti di partenza per catturare l’attenzione di un pubblico sempre più disattento e non attivo. La stessa conclusione, che vede Anda accettare una richiesta di una ragazza “normale” e anzi invitarla a giocare con lei ed i suoi amici a Dungeons & Dragons, fornisce un’importante indicazione circa la necessità di ricostruire quella sfera pubblica e quel senso di comunità che l’attuale “vittoria dei nerd” fieramente rivendica di negare. Siamo quindi di fronte ad un ottimo punto di partenza per approfondire questioni più complesse, spesso lontane dagli interessi dei teenager e degli adulti.
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