Gli anni ’50 del secolo scorso sono caratterizzati da una intensa produzione cinematografica di stampo fantascientifico, frutto degli ingenti investimenti di una Hollywood come al solito pronta a fiutare l’affare.
Il fenomeno della fiction fantascientifica si trasforma da sperimentazione tecnologica ardita a megaproduzione a tutti gli effetti e la conduzione del filone passa dall’Europa, che lo aveva inagurato in Francia e Inghilterra, agli USA. Il numero dei registi che si cimentano in opere fantascientifiche si moltiplica ed assistere a due opere dello stesso autore a breve distanza come in precedenza diventa molto più difficile.
Il fertile ambiente degli studios, la fiducia incondizionata nella macchina cinematografica e una enorme richiesta di prodotto da parte del pubblico americano sono gli ingredienti per un autentico boom. Non dobbiamo meravigliarci quindi di come questo decennio abbia regalato i primi grandi capolavori del genere e allo stesso tempo alcune perle di produzione casalinga nate sul treno in corsa, il cosiddetto filone dei B-movies che nasce in questi anni e diverrà presto un fenomeno di cult.
I film meritevoli di citazione sono talmente tanti che non posso fare a meno di anticipare le mie scuse a tutti coloro che riterranno incompleto l’elenco in questo articolo. Indimenticato esempio di fantascienza dai contenuti edificanti, Ultimatum alla Terra/The Day the Earth Stood Still (USA, 1951) diretto da Wise, propone un messaggio di pace universale, molto sentito da un’opinione pubblica all’epoca ancora scossa dai recenti eventi mondiali. In questi anni, che precedono gli incubi e le paranoie della guerra fredda, il pericolo rosso ancora non si è definito nell’immaginazione collettiva. E’ piuttosto una senso di disorientamento e diffidenza diffusa ad ampi settori della società a fungere da fondamenta per la trama del film, in cui il pacifico visitatore alieno non verrà capito e rischierà la morte per mano dei terrestri. Il lavoro di Wise, relativamente essenziale in termini scenografici, è straordinariamente attuale nei contenuti, ed ha saputo esprimere il suo messaggio con una efficacia probabilmente ineguagliata nei decenni grazie alla sua assenza di retorica e alla rappresentazione essenziale e razionale dei visitatori.
Di ben altro tono nello stesso anno è stato il capolavoro della coppia Nyby – Hawks: La cosa di un altro mondo (USA, 1951) è un viaggio nelle angosce più remote della mente umana che portava lo spettatore di allora a vivere una tensione ininterrotta ai limite dell’esaurimento delle forze, accogliendo la fine del film con sollievo. Ancora una volta si tratta di un’opera fondamentale, iscrivibile in questo caso nel novero degli ibridi horror-fantascienza, che verrà citata molte volte nonché mirabilmente riproposta nel remake di Carpenter molti anni dopo, con toni molto più cupi ed un’efficacia ancora superiore.
Presupposti simili ma diversa caratterizzazione si trovano nel bellissimo Destinazione Terra/It came from outer space (USA, 1953) di Arnold. L’opera prima del maestro americano non solo rappresenta uno dei primi film in 3D, ma mette in scena per la prima volta alieni che si impossessano del corpo umano. Nonostante questa loro macabra attitudine, i visitatori sono visti qui come dei naufraghi incompresi, e non come invasori.
Il tema dell’invasione aliena, assoluto monopolizzatore delle copertine delle fanzine americane dell’epoca, è invece molto caro al fantasioso Haski, che realizzerà con La guerra dei mondi (USA, 1953) il primo colossal della storia della fantascienza. Anticipato dall’incredibile successo della trasmissione radiofonica di Orson Wells, che produsse agitazioni di massa da parte di molti americani convinti della veridicità dell’invasione marziana, l’opera di Haski è talmente ben ispirata, realistica e colma di momenti memorabili da vincere l’oscar e generare un serial televisivo trasmesso fino agli anni ’90 anche in Italia.
Contemporaneamente a queste pietre miliari comparivano nelle sale cinematografiche alcune pellicole di molto minor budget ed ambizione, che sapranno però ritagliarsi un posto nella storia per l’efficacia di alcune intuizioni. Perfino l’Italia contribuisce al fenomeno con Baracca e burattini (Italia, 1954) di Corbucci, esordio italiano del genere, ormai introvabile.
Il risveglio del dinosauro/The beast from 20000 fathoms di Lourie’ (USA, 1953), celebrazione spartana della stop motion, diventerà un manifesto di questa laboriosa e poco utilizzata tecnica, riscoperta in tempi recenti grazie al cinema di animazione alla Wallace & Gromit. Twenty million miles to Earth (USA, 1957) di Juran porterà poi la tecnica agli estremi della perfezione per mano del mago degli effetti speciali Ray Harryhausen
Gli invasori spaziali/Invaders from Mars di Menzies (USA, 1953), inquietante e ricco di atmosfera, introduce l’idea della manipolazione della personalità dei terrestri e rimane impressa nella memoria per l’allucinante testa marziana tentacolare in boccia di cristallo. Ma il più ridicolo alieno mai visto (uno scimmione con casco da sommozzatore) appartiene alla pellicola Robot monster (USA, 1953) di Tucker, considerato da parte della critica il peggior film del genere mai realizzato. A contendergli questo riconoscimento ci penserà qualche anno dopo il più conosciuto Plan 9 from outer space (USA, 1959) del controverso Wood, capace di produrre film in meno di una settimana ad uso e consumo del grande pubblico.
La vita geniale e sfortunata di Wood, che Tim Burton riproporrà in un’opera biografica successiva, costituisce una vera cartolina dal mondo di Hollywood di quegli anni: fermento, iniziativa, stereotipi e tanta, tanta voglia di tematiche aliene.
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Grazie!
Bel pezzo. M’è venuta voglia di guardare “La cosa da un altro mondo”. Aggiungerei alla lista “The Day of the Triffids”, ma forse erano già gli anni ’60.
i film che citi sono sorprendentemente godibili anche oggi nonostante le limitazioni sceniche