Apocalisse, il primo e il più potente tra i mutanti, rimasto sepolto sotto la superficie terrestre per oltre 4000 anni, si risveglia negli anni ’80, ne resta comprensibilmente inorridito ed inizia a reclutare discepoli, i 4 cavalieri (dell’Apocalisse), per distruggere il genere umano e dominare il mondo. Vecchi e nuovi mutanti dovranno unire le forze per contrastare quello che pare essere un nemico invincibile…

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In un periodo storico in cui ogni prodotto legato all’intrattenimento di massa ha una durata in(de)finita, specie al cinema, è bello poter constatare che talvolta esiste ancora la buona, sana e vecchia abitudine di terminare le trilogie una volta per tutte. E’ quello che accade in X-Men: Apocalypse che chiude una volta per tutte l’arco narrativo iniziato con l’ottimo X-Men: First Class e proseguito con il godibile Days of future past.

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Soverchiati dagli eroi Marvel/Disney, gli X-Men, che nel 2000 avevano dato inizio all’ondata di pellicole superoistiche con una trilogia spettacolare ma non del tutto riuscita, con Apocalypse tornano a rivendicare un ruolo di rilievo in un panorama oggi fin troppo affollato, grazie alla sempre felice alchimia tra i due attori/protagonisti (James McAvoy: Charles Xavier / Professor X e Michael Fassbender: Erik Lehnsherr / Magneto, impeccabili come al solito) e alla presenza di un villain finalmente degno di questo nome. Già, perchè anche se il personaggio En Sabah Nur / Apocalisse non permette all’ottimo Oscar Isaac di dimostrare il suo infinito talento, lo script di Simon Kinberg lo rende quanto meno credibile come minaccia per l’esistenza stessa del genere umano.

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Come prassi vuole quando il numero di eroi aumenta, la narrazione procede per accumulo e non tutti le new entry del cast convincono: i nuovi cattivi (o presunti tali), soffrono a causa del poco spazio e dello scarso spessore loro attribuito dalla trama (la peggiore è la monosillabica Psylocke, interpretata da Olivia Munn che per quanto bella, proprio non riesce a sfondare), mentre tra i buoni spicca la giovane Jean Grey, cui l’ottima Sophie Turner dà al tempo stesso spessore, fragilità, carisma e fascino. Su tutti, come accaduto in Days of Future past, svetta (o sfreccia?) il divertente Peter Maximoff / Quicksilver, interpretato alla perfezione dallo stralunato Evan Peters che, dopo aver stracciato in simpatia il suo clone in Age of Ultron, ha stavolta l’onore di mettere la sua firma sulla sequenza più entusiasmante ed esilarante del film e, a questo punto, dell’intera trilogia.

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X-Men: Apocalypse alterna bieco e comprensibile fanservice (l’inutile cameo di Wolverine, che però serve a legare assieme tutti i film della saga, spin-off compresi) ad una narrazione omogenea e ben progettata che offre momenti altamente spettacolari (gli effetti speciali oramai hanno raggiunto livelli parossistici) e, non pare vero, anche sequenze più intime e commoventi, come il finale, in cui alcuni personaggi chiave si “congedano” dal loro pubblico e altri si scoprono innamorati (no, purtroppo non Fassy e McAvoy…).

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Bryan Singer oramai dirige col pilota automatico (questo è il suo quinto film sui supereroi sugli ultimi sette girati in tre lustri) e, anche se ha inevitabilmente perso la furia creativa che lo aveva reso celebre ai tempi de I Soliti Sospetti e Dr. House, è ancora un regista affidabile e dimostra di avere sempre un qualcosa di più rispetto ad un onesto mestierante.

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Per una volta i prequel si sono dimostrati migliori rispetto alle opere originali: se non siete ancora andati in overdose da supereroi (ma coraggio, entro il 2020 ci saranno solo altre 30 opere del genere, contando saghe principali, nuovi esordi e spinoff assortiti) X-Men: Apocalypse piace, talvolta esalta, va promosso e, per usare una metafora sportiva, sta nella colonna sinistra della classifica, in zona Champions. Ecco, magari con un preliminare da giocare.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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