Spiacente di deludere tutti quelli che avevano già dato dei “bolliti” o, comunque, avevano considerato definitivamente conclusa la parabola creativa della band di Essex.

Con Spirit e il conseguente tour mondiale i Depeche Mode, si rivelano in ottima forma e ancora ai vertici delle loro possibilità musicali. In tutto l’album i suoni elettronici sono più nitidi che mai e la voce di Dave Gahan è probabilmente più forte di quanto sia mai stata. Non solo, sono anche chiaramente disposti a sperimentare ancora dal punto di vista sonoro, come segnalato dalla collaborazione con James Ford del techno duo Simian Mobile Disco in veste di produttore.

I Depeche Mode non sono mai stati la band più ottimista del mondo dal punto di vista dei testi, anzi si può tranquillamente affermare che nei trentasette anni della loro carriera il trio abbia dipinto un quadro desolante della società odierna e gli slogan di Going Backward non si risparmiano certo.

“Noi non siamo evoluti / Non abbiamo alcun rispetto / abbiamo perso il controllo.”

Spirit pone la religione e l’amore in una posizione di secondo piano, credo sia l’album più apertamente politico della band, in decenni, forse di sempre. L’atmosfera che prevale è scura, industriale e sintetica e, soprattutto durante la prima parte dell’album, le canzoni marciano a ritmo lento con i synth posti in modo intermittente, per riempire i vuoti. Il risultato è un ambient ampio e grintoso che induce un po’ all’apatia e alla depressione, in contrasto con la rivoluzione che i testi richiedono.

Le liriche di Martin Gore concedono qualche sprazzo di positività nella solo strana canzone d’amore obliquo You Move, ma dura poco: con The Worst Crime si parla addirittura di “preparare i cappi”; in Scum ci si domanda chi “tira il grilletto”; mentre Gore riassume a grandi linee tutto lo spirito dell’album con Fail, cantando “La nostra coscienza è in bancarotta / Oh, siamo fottuti”. Il senso di incertezza e l’ansietà del vivere quotidiano, insomma, sono lo “Spirit” che permea tutto questo 14° album dei Depeche.

Tra i brani più significativi spiccano Going Backward che è tutta Depeche Mode nel suo ritmo funky-pop e con testi di denuncia duri ed immediati e il singolo Where’s the revolution. Sono brani che testimoniano di uno stato d’animo pieno di rancore, in cui prevalgono la parti più scure della esperienza umana, tra cui l’apatia, l’odio di sé, la rivolta politica e la disperazione: difficile non leggere tra le righe l’effetto di Trump, della Brexit e dell’aumento degli estremismi.

So Much Love invece evidenzia come la band abbia la tendenza a scrivere musica che non sia solo emotivamente provocante, ma che contenga anche una particolare combinazione di disperazione e di speranza tranquilla e trepida.

Poison Heart è altrettanto amara, una ballad che non sfigurerebbe nel repertorio di Nick Cave, con i classici cori gospel femminili, una forte distorsione e un lento, martellante battito, che contrasta con la voce melodiosa, ma cantilenante di Gahan.

Cover Me, invece, abbraccia un tantino Bowie e ha qualche atmosfera progressive che la avvicinano ai Porcupine Tree.

Dal punto di vista strettamente musicale l’essenzialità nell’uso degli strumenti è un valore aggiunto nella valutazione complessiva dell’album; molto spesso le atmosfere sono costruite in crescendo e gli strumenti vengono aggiunti in maniera via via sempre più emozionale.

Se ne desume che l’influenza del produttore James Ford, sulla carta percepita come un tentativo di scuotere negli arrangiamenti le sonorità della band, in realtà non sia stata poi così significativa e altro di meglio non ci si poteva aspettare da questo Spirit. Un nuovo, ottimo album realizzato da una band che anche in questa occasione ha saputo imprimere una svolta così marcata al loro tipico industrial e sinth-rock.



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