Nella letteratura ufficiale non ve n’è traccia, così come nel dibattito generalizzato online, ma molti appassionati – come la sottoscritta – preferiscono operare una distinzione tra lo splatter e il gore. Proposti da sempre come sinonimi – Wikipedia docet – pur avendo origine in luoghi e tempi distinti, i due termini condividono in realtà solo il referente, poiché se la quantità non sembra rappresentare una vera discriminante, è evidente che essi riferiscono, del sangue, proprietà ben distinte. Il termine splatter, ad esempio, deriva da “to splat”, che significa “schizzare”. E’ dunque presumibile che il sangue in oggetto sia copioso e pulsante, ma soprattutto vivo. A causa del suo comportamento vitale e dinamico, infatti, il sangue mostrato si contraddistingue per il colore vivido e la viscosità fluida, offrendosi come elemento duttilmente grafico. Va da sé che nello splatter le atmosfere legate alla presentazione del sangue sono grandguignolesche, caricaturali e fortemente ironiche.

In Tarantino, ad esempio, la violenza si esprime attraverso effetti sanguinolenti di questo tipo. Discorso diverso per ciò che riguarda il gore, il cui significato, ossia “sangue rappreso”, esprime del sangue una natura morta. La posa è statica o quasi e la sua viscosità è densa, grumosa, appiccicosa, mentre il colore è più scuro, profondo, “già versato”. La sua apparizione, perciò, non può essere esplosiva e grafica come quella dello splatter, ma piuttosto silente e deturpante. Se nello splatter la carne è viva, nel gore è più facilmente morta e, non di rado, fatta a pezzi, maciullata o putrefatta. Di conseguenza anche le atmosfere si fanno più cupe e angoscianti, il sangue smette di essere ironico o divertente e sottolinea lo status dolente e angosciante delle cose, richiamando (al limite) un particolare humour dalle tonalità rigorosamente black. Volendo fare un paragone, guardando alla struttura narrativa e ai motivi drammatici, si potrebbe suggerire che lo splatter stia al gore come il giallo sta al noir. Solitamente la patria dello splatter è lo slasher, genere cinematografico in cui si esprime al massimo delle sue potenzialità, mentre il gore appare nomade, con una predilezione per i territori del body horror e del torture porn.

Nonostante fu proprio George Romero – pare per primo – a servirsi del termine “splatter” in occasione dell’uscita del suo Dawn of the Dead (1978), ritengo che lo zombi movie sia proprio quel sottogenere in grado di presentare al meglio il doppio statuto del sangue cinematografico. Infatti, se i carnefici (gli zombi) sono entità morte, corrotte, putrescenti, evidentemente gore, le vittime (gli esseri viventi) rappresentano figure essenzialmente splatter. Il male e i villain, infatti, si esprimono incarnando e perpetrando il gore, mentre il bene e gli eroi, nell’horror, lo fanno cedendo splatter, anche perché se il sangue gore perturba e annulla ogni speranza, il sangue splatter allarma e grida aiuto.

Insomma, stabilire se un horror sia gore o splatter resta una faccenda piuttosto complicata – dal momento che entrambi vantano la loro quota rappresentativa in gran parte dei film di genere – ma una distinzione è forse possibile laddove uno dei due prevalga sull’altro, e non solo per ciò che concerne la qualità e quantità ematica, bensì per le tematiche, le atmosfere e le peculiari ragioni dell’orrore.
La lunga premessa si è data come necessaria per introdurre un horror, non proprio di recentissima uscita, che ha scatenato numerose e diverse reazioni. Raw (Julia Ducournau, 2016), il lungometraggio presentato al Festival di Cannes 2016 – dove ha vinto il premio della stampa – uscito da poco nelle sale francesi, narra le vicende di Justine (Garance Marillier), una giovane che si appresta a entrare nella prestigiosa facoltà di Veterinaria già frequentata dalla più spigliata sorella maggiore. A causa del suo temperamento mite e del suo carattere introverso, Justine è completamente ignorata dagli studenti più anziani e obbligata, senza sconti, al disgustoso rito di passaggio riservato alle matricole: ingurgitare un rene di coniglio sotto formalina. Dopo il primo difficile assaggio – essendo essa vegetariana – e una reazione allergica imprevista, la ragazza comincerà ad avvertire strani e insaziabili appetiti.

L’originalità di Raw, che pare prendere il via dall’epilogo di Carrie (Brian De Palma, 1976) – da cui preleva la nota doccia insanguinata e con cui apre ufficialmente il film – risiede nel progressivo avvicinamento e contatto della protagonista con il corpo e la carne altrui, fino a violare ogni pulsione naturale e deontologia. Diversamente da Carrie, il cui rapporto con se stessa e con gli altri appare perlopiù platonico e si realizza in termini di virtualità (telecinesi), Justine parte da una situazione in cui non c’è tempo per crogiolarsi nella propria unicità e mostrarla agli altri – facendosi all’occorrenza amare o odiare – ma subisce indiscriminatamente le angherie di gruppo in quanto matricola. La doccia di sangue, allora, non è uno scherzo ad personam, bensì un rito di passaggio collettivo. Justine è bullizzata non per ciò che è in quanto individuo, ma per ciò che rappresenta nell’ecosistema sociale dell’università. Sarà l’avvicinamento ai corpi e il recupero della carnalità a permettere alla ragazza di uscire dall’anonimia e di caratterizzarsi come soggetto istintuale più che intellettuale, agente più che pensante.

La Ducournau costruisce in questo modo uno zombi che acquista personalità ed empatia invece di rinunciarvi, una figura abbastanza inusitata sia negli z-movie sia nei cannibal movie. Se un esperimento simile era già stato tentato con il romance Warm Bodies (Jonathan Levine, 2013), è con Raw che si realizza quell’equilibrio perfetto – di romeriana memoria – tra corpo fisico e corpo sociale, tra mostruosità e umanità, tra emancipazione e omologazione e tra gore e splatter, concentrandoli però in un unico soggetto. Il processo di trasformazione che accompagnerà Justine, infatti, non solo la renderà uguale a tutti gli altri ma in modo diverso, disumana ma paradossalmente più umana, una donna dagli impulsi insopprimibili e uno zombi dotato di controllo, ma diverrà contemporaneamente vittima e carnefice, oggetto splatter e soggetto gore, energicamente viva e disgustata e irrimediabilmente morta e famelica, imprigionata in una narrazione tra il serio e il faceto. E fino ad oggi non si era ancora visto nulla del genere…



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2 Comments

  1. Bellissimo pezzo. Ma justine morirà alla fine, folgorata da un fulmine? ;)

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