In un mondo connesso e dominato dall’inglese, spesso i trend del mercato angloamericano sono percepiti come equivalenti a una scala mondiale. Nel 2016 potrebbe essere uscito uno splendido romanzo fantasy filippino o un’incredibile novità fantascientifica italiana, ma a livello di critica e di fandom, lo scettro di titolo più popolare dell’annata passa sempre per un’edizione scritta o tradotta in inglese.

Chi s’interessa di SFF avrà già sentito parlare del libro di Yoon Ha Lee, il primo romanzo lungo dell’autore e primo volume dell’immancabile trilogia di genere. Sulla base dei criteri empirici a disposizione dei lettori, Ninefox Gambit è sicuramente uno dei successi fantascientifici dell’annata: ha centrato la nomination sia allo Hugo sia al Nebula (ed essendo un esordio può sperare anche nella vittoria nelle categorie dedicata). Secondo i Locus Awards è il miglior esordio fantascientifico del 2016, in attesa di vedere come andrà a finire l’Arthur C. Clarke Award. Il romanzo è stato recensito da tutti i siti di riferimento, dalla critica letteraria che ancora legge fantascienza (aka non quella italiana), dai blogger e dagli youtuber che nella nicchia sono trend setter. Figurava nella lista di letture raccomandante da un’autorità di settore come Locus ed è comparso anche qua e là tra i desiderata dei lettori italiani in dialogo con le case editrici nostrane.

Lo scrittore 38enne texano (ma di origini sudcoreane) Yoon Ha Lee avrà di certo chiuso con soddisfazione il 2016, in attesa di vedere cosa succederà durante la premiazione allo Hugo Awards. Al Nebula gli è andata male, dato che la vittoria è andata a All the Birds in the Sky di Charlie Jane Anders, con cui dovrà vedersela di nuovo allo Hugo.
All the Birds in the Sky, nei fatti, è già il libro del 2016 del comparto SFF: è persino entrato nella classifica dei 10 romanzi da leggere di Time. In questo caso però si parla di fantastico, un genere che da tempo e con le dovute premesse ha saputo farsi accettare e amare anche dal pubblico generalista.

Qui invece parliamo di fantascienza pura, quella ritenuta ostica soprattutto da chi non la legge e invoca a sua difesa astronavi e alieni, riferendosi a esempi di decadi fa o di altri media (in sintesi: l’obiezione Star Wars) per giustificare il proprio categorico rifiuto.
Ninefox Gambit le astronavi le ha, con tutto il corredo fuffa aerospaziale e tecnologica di rito per non poter proprio svicolare. Anzi, il centro del primo romanzo della trilogia The Machineries of Empire è proprio il macchiavellico tentativo di oltrepassare le inespugnabili difese di un’astronave caduta nelle mani di un’eresia e rivoltatasi contro l’impero.

Nonostante la biografia di Yoon Ha Lee spunti tutto l’elenco di chi presta attenzione alla diversità anche nelle letture (è di origini sudcoreane, è un trans che descrive se stesso come queer, vive in Louisiana con suo marito), per il suo esordio ha scelto un genere caposaldo dell’autore maschio-bianco-etero-americano: la space opera di stampo militare. Non è nemmeno un tentativo sovversivo alla Ancillary Justice  di rivoltare le fondamenta del genere come le conosciamo oggi. Ninefox Gambit è un romanzo avvincente che combina azione, strategia militare e colpi di scena, il cui obiettivo primario sembra essere l’intrattenimento. Istanze social justice e arcobaleni nello spazio profondo? Poco o nulla, soprattutto se pensiamo ad autori come Kameron Hurley. Yoon Ha Lee insomma si legge come John Scalzi e Cixin Liu.

L’aspetto più affascinante del suo romanzo è indubbiamente la complessa regolazione del suo sistema politico. Il mondo di Ninefox Gambit è tutto divisibile per sei: l’esarcato divide la società in sei classi e tutto lo scibile umano è regolato da un complesso sistema matematico detto calendrico. Come ogni mondo futuribile, serve qualche capitolo per interiorizzare la valanga di neologismi, ma a ben vedere le complesse equazioni che governano persino la guerra non sono poi molto lontane dalla magia. L’interesse di Yoon Ha Lee non è quello di spiegarle razionalmente, quando di utilizzarle al pari di un elemento esotico e inconsueto, con cui condire un intreccio classico. La trama infatti è quella della giovane ufficiale caduta in disgrazia che si offre volontaria per una pratica poco ortodossa: diventare il corpo ospitante della coscienza di un geniale stratega vissuto secoli prima e passato alla storia per la più sanguinosa ribellione mai tentata contro l’esarcato.

Estratto dal suo corpo e trasformato in un’arma immortale, il generale sarà l’elemento geniale ma ambiguo con cui farà i conti la protagonista: la volpe del titolo è l’emblema degli Shous, la classe addetta all’intelligence, ambigua e manipolativa. Ad essere manipolato però è proprio il generale, ridotto a uno spirito con cui animare il fantoccio di turno per risolvere i problemi. La ribellione che si sta nel frattempo consumando su una delle astronavi più importanti dell’esarcato sembra però molto più di un semplice moto popolare. Gli eretici stanno tentando di tornare all’eptarcato precedente, scomparso dopo l’annientamento e la cancellazione della settima fazione.

Questa corruzione calendrica va sedata al più presto: in un mondo governato dai numeri sono in realtà fede e ritualità a mantenere la stabilità di governo. Ogni deviazione dalle equazioni emanate dal governo e dal suo calendario può compromettere l’efficacia delle difese di una stazione e l’operatività di un plotone. Governo o eresia, vince la versione a cui credono le persone, quasi al pari di una fede religiosa: più si attengono ai dettami matematici, più questi acquistano potenza. Quali saranno i veri piani della volpe immortale? Perché è scoppiata una ribellione proprio su quella nave e perché si è deciso di impiantare il generale nel corpo della protagonista?

La risposta è un buon romanzo d’esordio, decisamente divertente da leggere ma che, come molte volte avvenuto negli ultimi anni, è incapace di fare il passo successivo e di farsi ricordare veramente. Yoon Ha Lee ha uno stile di scrittura già maturo, molto più raffinato di quello frettoloso di Kameron Hurley, eppure ricordo molto meglio i passaggi di The Stars Are Legion letto in primavera che quelli di questo romanzo appena ultimato.

Certo nella difficile convivenza in un solo corpo di un’identità maschile e femminile si può sentire un certo qual richiamo all’esperienza dell’autore, ma qui siamo di fronte a un romanzo che intrattiene in maniera convincente, ma nulla di più. Ninefox Gambit è probabilmente il romanzo fantascientifico del 2016 – uno di quelli su cui nemmeno una certa frangia conservatrice del fandom italiano avrà nulla da ridire – e questo ci permette di trarre una serie di considerazioni sull’annata appena conclusa. Il 2016 si è chiuso senza che il genere abbia partorito il titolo capace di rivoluzionare tutto o entrare nella storia. D’altronde di romanzi davvero importanti non se ne scrive certo uno ogni anno. Dita già incrociate per il 2017.



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