L’attesa era (volutamente) spasmodica. Darren Aronofsky e la Paramount avevano steso una cortina di riserbo ferreo su mother!, quanto mai risoluti ad evitare spoiler e a far lievitare le aspettative. Tant’è che, un paio di mesi fa, la presenza a Venezia – e poi a Toronto – dell’ultima fatica del regista di The Wrestler era stata messa in dubbio.
Ed ecco invece sbarcare in laguna, in concorso e in prima mondiale, questo finto horror che vede Jennifer Lawrence isolata nella bellissima villa di campagna del marito Javier Bardem, poeta superstar in cerca d’ispirazione, alle prese (da sola!) con la ristrutturazione del nido d’amore distrutto in un incendio. Una casa piena di silenzi riempita solo dall’ego del pur amorevole consorte, via via sempre più smanioso di nutrirsi del suo stesso status di celebrity, finché dal nulla compaiono i coniugi Ed Harris e Michelle Pfeiffer a portare scompiglio sempre crescente nell’asettica routine della coppietta.
L’insinuante senso di malessere che striscia lungo i muri e sui pavimenti prelude all’emergere di conflitti interiori che in realtà non arriveranno. Perché l’analisi sui generis che Aronofsky fa del desiderio di fama e del potere corrosivo della celebrità finisce per esplodere in un crescendo poco esplicativo ma terribilmente kitsch.
Il buco nero di paranoia in cui precipita la protagonista ritratta dalla Lawrence (incapace di dare davvero corpo a un’ansia divorante) ha ovviamente caratteristiche oniriche. E mother! riesce a tenere viva l’attenzione dello spettatore finché sembra costruire un intreccio in apparenza pronto a sfociare nel thriller psicologico.
Ma quando il regista inizia a scoprire le sue carte, in film non regge il peso delle aspettative – sia quelle create dalla sua campagna promozionale, sia quelle intessute dal racconto stesso. La pellicola, così, si ritrova a indulgere a inflessioni da B-movie pur realizzate con gran dispendio di mezzi. Aronofsky muove la macchina da presa come impazzito nel precipitare degli eventi, mai preoccupato di dare alla storia di mother! degli appigli, dei punti fermi.
Così, quando un finale presuntuoso e rivelatore fa luce sul senso della vicenda, l’occhio è troppo stanco, stordito dal debordare di un’immaginazione senza freni, per essere disposto a giustificare l’inutile, sovraeccitata sciarada in nome di disegno, di un significato. E, forte, assale la sensazione di aver assistito a un incontrollato fiume di tecnica e di visione che, a conti fatti, porta con sé ben poco, e poco nasconde dietro alla sua chiassosa apparenza.
Bardem è inaspettatamente a suo agio in un ruolo per nulla istrionico, qua e là apatico ad arte, mentre la Pfeiffer, ormai smessa la maschera della sua imbarazzante bellezza giovanile, è bravissima nel ritrarre un’inquietante presenza troppo onesta per piacere davvero. Ma le performance poco possono fare alle prese con una sceneggiatura a modo suo così assurdamente feroce: l’intero film finisce per eccedere, e sono i suoi eccessi a cannibalizzarlo.
Alla Mostra di Venezia l’accoglienza è stata gelida, accompagnata da fischi e dissensi. Difficile prevedere il viaggio che mother!, che approda al Festival di Toronto una volta lasciato il Lido, farà nelle sale, dove arriverà in anticipo di quasi un mese con un’uscita americana a metà settembre. Il segreto ossessivo con cui ne è stata custodita la trama si rivelerà un boomerang? O davvero l’importante è che se ne parli?
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