Non si tratterà del filmone che molti forse stavano aspettando, ma The Cloverfield Paradox (Julius Onah, 2018) è il prodotto che, a seguito dei precedenti Cloverfield (Matt Reeves, 2008) e 10 Cloverfield Lane (Dan Trachtenberg, 2016), ha finalmente messo a punto un nuovo e interessante approccio alla serializzazione cinematografica: realizzare sequel o prequel scavalcando la linearità e la coesione diegetiche mostrando che, al di là della ricchezza di un universo narrativo, esiste una maniera completamente diversa di trattare un’idea, un high concept, un brand – che poi è più o meno quella sfruttata in Ubik, l’indimenticabile capolavoro scritto nel ’69 da Philip K. Dick.

Dopo l’uscita nelle sale e il successo raggiunto, (nelle sue svariate apparizioni) l’universo Cloverfield non ha fatto altro che suggerire quanto il titolo, quel termine – letteralmente campo di trifogli – avesse poco a che fare con il fenomeno raccontato nel primo film e quanto, invece, rappresentasse un chiaro suggerimento: la dichiarazione di una generale instabilità e l’avvertimento di una potenziale catastrofe. Catastrofe che, per quanto gigantesca ed estendibile fino allo “spazio sconosciuto”, o intima e minimale consumata tra quattro mura domestiche, si sarebbe abbattuta ed eclissata tra le pieghe del tessuto spaziotemporale lasciando solo qualche debole traccia.

Cloverfield è un caso aperto attorno a un reperto video documentante un’imprevedibile invasione aliena – che perciò si racconta nei modi del found footage e attraverso i canoni del monster movie – ma è anche l’indirizzo di un’abitazione che è contemporaneamente una prigione e un riparo – che quindi si esprime spostando l’attenzione dalla mostruosità aliena vigente all’esterno, a quella umana interiore, sfruttando il thriller psicologico e il dramma da camera – e infine è la classificazione di un paradosso che ha causato l’avvento di creature mostruose sul pianeta terra – perciò un sequel/prequel che non si limita a essere un film di fantascienza, ma che della fantascienza tout court si nutre, generando una caotica ipertestualità – l’infe(sta)zione corporale aliena de La Cosa, Alien e Punto di non Ritorno, fino al disorientamento spaziotemporale e identitario messo in scena da Star Trek a Coherence – massimizzando così il portato simbolico e moltiplicando le possibilità narrative del franchise.

Proprio come l’Ubik del romanzo di Dick, Cloverfield è nelle cose, è nelle persone, è nei luoghi, ma è anche un fenomeno di regressione, di entropia (non è un caso se il prossimo capitolo sarà ambientato durante la seconda guerra mondiale). Di conseguenza l’operazione appare così squisitamente metatestuale e vertiginosa che gli si può perdonare tutto: dalla sciatteria formale, alle blande soluzioni derivative, dalla labilità narrativa alla ruffianeria compositiva (irregolarità che, di solito, si concedono volentieri ai curiosi B-movie, qual è The Cloverfield Paradox). L’intuizione di J. J. Abrams, demiurgo dell’intera operazione, non risulta vincente solo sul piano del piazzamento commerciale, ma anche e soprattutto nell’aver saputo fondere indissolubilmente trama e marketing, nell’aver applicato allo sviluppo del plot lo storytelling management.

E’ proprio il fatto di rivelarsi sempre diverso e imprevedibile a garantire l’originalità di Cloverfield e a suggellare il rapporto con un pubblico ormai scafatissimo, soprattutto perché quest’ultimo non è costretto a misurarsi solo con i contenuti, i testi, i generi, ma anche con i paratesti, i media e la pubblicità. Non è allora la storia narrata all’interno dei film a stimolare interesse e generare curiosità, bensì le connessioni (palesi e occulte) tra questo e quel film, tra questo e quel genere, tra questo e quel media, fissando i termini di una nuova modalità fruitiva.

Il filo conduttore non è la vicenda, ma il protocollo. Non ci si chiede “cosa succederà la prossima volta”, ma “cosa sarà la prossima volta” (un film d’animazione, una serie, lo spot di un profumo).
Se vi aspettavate una buona storia, magari nuova, magari al cinema, avete perso la bussola giroscopica…



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