“Humanity… not a big fan”
Non vi sarà sfuggito il modo inesorabile con cui sui social, e grazie all’uso dei social, si sta facendo strada l’idea che le opinioni siano tutte paritarie tra loro e che anzi un’opinione equivalga a un fatto, anche scientifico. Be’, se ne è accorto anche Ricky Gervais sia per osservazione che tramite esperienza diretta.
https://www.youtube.com/watch?v=nz5defHp2CU
Humanity, dicevamo, anche se in realtà per il suo primo speciale dopo in sette anni Ricky Gervais ha in mente una porzione precisa dell’umanità: quella che si riversa sui social – twitter nella fattispecie – animata da sacro furore perché qualcuno ha idee diverse, priorità in contrasto con le proprie senza avere intenzione di chiederne scusa: fatto, questo, inaccettabile per la parte di umanità di cui sopra (“people don’t care about the argument, they say “who’s saying the argument?”).
Ma nonostante lo spettacolo spazi tra vari temi fino a toccare quello dell’elaborazione del lutto, è evidente che Ricky Gervais aveva proprio voglia di usare il palco per chiarire organicamente – con il suo consueto tono beffardo e smaliziato – alcuni concetti senza essere sommerso da replies e notifiche.
“The subject of that joke is stereotypes”
Nel 2016 la conduzione della cerimonia dei Golden Globes guadagnò a Gervais una coda di polemiche più lunga e velenosa del solito: al centro del contendere le battute del comico all’indirizzo di Caitlyn Jenner, battute giudicate transfobiche. Gervais, ovviamente, difese la sua conduzione soprattutto via twitter e lo spettacolo è sì un modo per farsi beffe di tutti quelli che avrebbero voluto censurarlo in qualche modo, ma anche di fornire – decostruendo la struttura di una battuta – una piccola lezione su come una battuta funziona (oppure no) e perché.
Chi segue Ricky Gervais sa che il comedian è ateo e grande attivista per il riconoscimento e il rispetto dei diritti degli animali (“animal avenger” recitava la sua bio su twitter) e sono proprio queste due posizioni capitali a essere prese ad esempio per irridere le reazioni indignate di chi, saltando a più pari il significato del messaggio, si concentra su aspetti marginali per manipolare un testo fino al punto da renderlo autoreferenziale e lesivo delle proprie opinioni.
“I’ve always wanted people to know they can laugh at bad things without being bad people”. È questo il messaggio ultimo di uno show sarcastico, dissacrante e divertente – salvo per una parte evitabile, per chi scrive – che ha messo al suo centro atavici meccanismi psicologici e sociologici umani, ma declinati nell’era dei social.
Lo show è da qualche giorno disponibile su Netflix.
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