“Humanity… not a big fan”

Non vi sarà sfuggito il modo inesorabile con cui sui social, e grazie all’uso dei social, si sta facendo strada l’idea che le opinioni siano tutte paritarie tra loro e che anzi un’opinione equivalga a un fatto, anche scientifico. Be’, se ne è accorto anche Ricky Gervais sia per osservazione che tramite esperienza diretta.

Humanity, dicevamo, anche se in realtà per il suo primo speciale dopo in sette anni Ricky Gervais ha in mente una porzione precisa dell’umanità: quella che si riversa sui social – twitter nella fattispecie – animata da sacro furore perché qualcuno ha idee diverse, priorità in contrasto con le proprie senza avere intenzione di chiederne scusa: fatto, questo, inaccettabile per la parte di umanità di cui sopra (“people don’t care about the argument, they say “who’s saying the argument?”).

Ma nonostante lo spettacolo spazi tra vari temi fino a toccare quello dell’elaborazione del lutto, è evidente che Ricky Gervais aveva proprio voglia di usare il palco per chiarire organicamente – con il suo consueto tono beffardo e smaliziato – alcuni concetti senza essere sommerso da replies e notifiche.

“The subject of that joke is stereotypes”

Nel 2016 la conduzione della cerimonia dei Golden Globes guadagnò a Gervais una coda di polemiche più lunga e velenosa del solito: al centro del contendere le battute del comico all’indirizzo di Caitlyn Jenner, battute giudicate transfobiche. Gervais, ovviamente, difese la sua conduzione soprattutto via twitter e lo spettacolo è sì un modo per farsi beffe di tutti quelli che avrebbero voluto censurarlo in qualche modo, ma anche di fornire – decostruendo la struttura di una battuta – una piccola lezione su come una battuta funziona (oppure no) e perché.

Chi segue Ricky Gervais sa che il comedian è ateo e grande attivista per il riconoscimento e il rispetto dei diritti degli animali (“animal avenger” recitava la sua bio su twitter) e sono proprio queste due posizioni capitali a essere prese ad esempio per irridere le reazioni indignate di chi, saltando a più pari il significato del messaggio, si concentra su aspetti marginali per manipolare un testo fino al punto da renderlo autoreferenziale e lesivo delle proprie opinioni.

I’ve always wanted people to know they can laugh at bad things without being bad people”. È questo il messaggio ultimo di uno show sarcastico, dissacrante e divertente – salvo per una parte evitabile, per chi scrive – che ha messo al suo centro atavici meccanismi psicologici e sociologici umani, ma declinati nell’era dei social.

Lo show è da qualche giorno disponibile su Netflix.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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