Poche cose sono più terrificanti di una potente famiglia in declino. Tra queste, le strade di Baltimora. Da Arrested Development a The Wire, l’epica delle strade americane.

Baltimora non è una città sexy. Non come Miami, Los Angeles, New York, Chicago o Washington. Baltimora è diversa. Una delle città dal maggior tasso di criminalità degli USA, da sempre governata da democratici, in gran parte abitata da afroamericani e da altre minoranze etniche, è l’incubo di chiunque voglia dare dell’America una visione solare e semplice. È un organismo complesso, a seconda di molti malato. E David Simon ci ha vissuto e lavorato tutta la vita.

Un reporter di cronaca nera di grande talento, ha lavorato per decenni nella redazione del Baltimore Sun, dove ha raccontato con grande attenzione la vita quotidiana degli angoli della città dove lo spaccio della droga è vita quotidiana, carriera e morte per migliaia di persone. Quello che per molti è solo un problema da risolvere, per Simon è diventato un mistero da capire. Ha studiato il modo nel quale dagli angoli gli affari della droga arrivano a influenzare la finanza legittima, la politica, i rapporti con l’estero. Ha cominciato a mettere assieme i fili di un sistema complesso e tragico, tanto più perché domina in una città da sempre governata da politici democratici, attenti a sottolineare l’importanza di programmi di assistenza, del sociale, del pubblico.

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Alla fine degli anni ’90, dopo aver visto il mondo del giornalismo cambiare con l’avvento della rete e di nuovi modelli di diffusione, Simon ha deciso di espandere i suoi orizzonti e occuparsi di narrativa. Il suo primo libro, Homicide – A Year on the Killing Streets, diventa immediatamente un classico, e viene portato in televisione con una serie televisiva con l’aiuto di un altro baltimoriano, Barry Levinson. Simon viene coinvolto nella scrittura della serie e conquista la fiducia dei produttori della HBO. Dopo la pubblicazione del suo secondo libro, The Corner: a year in the life of a inner city neighborhood, coscritto con Ed Burns, un ex poliziotto, Simon produce una serie di sei episodi ispirata al libro.

Impressionati dall’ottima qualità della miniserie, I vertici della HBO decidono di commissionare a Burns e Simon una nuova serie, The Wire, incentrata su un gruppo di poliziotti di Baltimora che, per cercare di incastrare uno dei cartelli più influenti nel traffico di droga della città, mette su una pattuglia di radiosorveglianza incaricata a monitorare le conversazioni degli investigati. Da questa premessa la serie si sviluppa per raccontare il mondo dello spaccio di droga e il modo in cui influenza praticamente ogni aspetto della vita di Baltimora.

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The Wire racconta per cinque stagioni mondi diversi ma collegati tra loro. Parte con i quartieri poveri e la politica degli angoli di spaccio; poi passa al porto della città, cuore dell’importazione di droga; nella terza stagione investiga il rapporto tra polizia, ordine e politica; nella quarta racconta la scuola, nella quinta in giornalismo. I protagonisti della serie sono in gran parte gli stessi dalla prima stagione all’ultima, ma il loro ruolo nella storia cambia radicalmente da stagione a stagione.

Comprimari della prima stagione diventano protagonisti nella quarta, e viceversa. Per quanto siano collegate tra loro, ognuna delle stagioni vive di vita propria, grazie ad uno dei migliori casting della storia della televisione. I personaggi di The Wire sono memorabili, iconici, epici. E non per questo sembrano meno reali. Da McNulty a Omar, Bubbles, Stringer Bell e Kima, ogni protagonista è definito con precisione chirurgica e grande attenzione alle fragilità della loro personalità. Sono esseri umani, spinti da motivazioni spesso miopi, ma sempre intense e credibili.

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La tesi fondamentale che attraversa la serie è che la lotta alla droga sia persa in partenza. James McNulty, Kima Greggs, William “Bunk” Moreland e i loro colleghi scoprono puntata dopo puntata i dettagli di un sistema complesso, mentre gli spettatori guardano anche dall’altra parte della staccionata, dove un esercito di spacciatori guidato da Avon Barksdale e Russel “Stringer” Bell domina il traffico di sostanze pesanti, dando lavoro a interi quartieri.

I soldati semplici spesso hanno meno di dieci anni. Ma quello che è un sistema agghiacciante per molti è un’opportunità di carriera per chi nasce nei “ghetti” della città. È un modo per farsi rispettare, per diventare ricchi, per restare nella leggenda. Gli spettatori di The Wire sono come mosche sui muri di un sistema complesso e tragico, dove ogni passaggio sembra fatto apposta per uccidere la speranza di un mondo diverso. I poliziotti inseguono gli spacciatori, ma i pezzi grossi sono integrati in business legittimi e i loro guadagni continuano a sostenere il sistema anche se i capi finiscono in prigione.

E il traffico di droga dà benessere a centinaia di persone, indirettamente, è talmente integrato alla città da non poter essere completamente debellato senza dare un colpo letale all’organismo/città. Per chi ha letto Gomorra, ci sono molti parallelismi con il nostro paese. Ma dove Saviano ha trasportato i lettori in mezzo alle tragedie napoletane con potenti scorci pieni di emozione, piccoli momenti che fanno capire la portata di un sistema gigantesco, Simon racconta storie dove, passo dopo passo, vediamo tutti i giocatori fare il loro ruolo e capiamo tutti i passaggi di qualcosa che sembra tanto tossico quanto inevitabile.

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Simon è il tipo di persona che condivide l’idea che uno stato forte sia necessario. È stato a capo del sindacato dei giornalisti nel suo giornale. Proprio per questo ha sempre visto come una tragedia il modo in cui la pubblica amministrazione della sua città ha sprecato le risorse pubbliche in una inquietante trama di corruzione che ha congestionato la città fino a farla diventare uno dei posti più pericolosi del paese.

The Wire non punta il dito contro un esperimento sbagliato: è il racconto di un sogno finito a marcire, ma i cui contorni gli autori considerano ancora buoni e giusti. È grazie a questo punto di vista che il racconto acquisisce dei contorni tragici e davvero sentiti. C’è la sensazione che Simon e Burns abbiano conosciuto a un certo punto tutti i loro protagonisti, o almeno i loro equivalenti nel mondo reale. Molti interpreti della serie hanno vissuto la realtà che la serie racconta, hanno vissuto decenni dietro le sbarre e temendo per la loro vita, ogni giorno. Questa autenticità è accompagnata da grandissima lucidità ed empatia, e dà ad ogni episodio una forza emotiva straordinaria.
< Ma l'arma più potente di The Wire è che, a differenza di altre serie molto rispettate come The Sopranos, non c’è mai un momento di pesantezza nel racconto. È la dimostrazione scientifica che per raccontare cose importanti si deve far divertire chi guarda. Gli episodi scorrono a incredibile velocità, ogni storia è raccontata con enorme attenzione al dettaglio e con grandissimo ritmo: finito un episodio è molto difficile resistere alla tentazione di guardarne un’altro.

Seguire The Wire è un altro modo per capire che alcuni meccanismi fondamentali della narrativa, che spesso vengono visti con sospetto perché fondamentali per le Soap Opera, sono assolutamente essenziali per una storia efficace. La voglia di seguire le vicende dei protagonisti e il modo in cui influiscono il loro lavoro appassiona e affascina. Per quanto il sistema attorno a loro sembri resistere, molti dei nostri eroi riescono a trovare un posto diverso nel loro mondo. A volte migliore, a volte radicalmente peggiore. Come Simon stesso ha detto più volte, noi possiamo cambiare noi stessi, non il mondo. The Wire sembra avvalorare questa tesi, ma allo stesso tempo non può fare a meno di togliersi il cappello con affetto di fronte a quei folli che il mondo vogliono cambiarlo, in ogni caso.

Oggi Simon racconta di essere disilluso dal potere del giornalismo. La sua precedente carriera, a cui ha dedicato metà della sua vita, a suo avviso ha poche capacità di cambiare le cose, di creare coscienza, di dare vita alle storie che racconta. Ma così come Truman Capote e Hunter S. Thompson avevano riscritto le regole del giornalismo negli anni ’60, il lavoro di Simon, e The Wire in particolare, sembra una nuova frontiera per il racconto della realtà.

La Baltimora descritta dalla serie, a detta di chi la vive e conosce, è completamente autentica, un angolo oscuro del sogno americano sul quale Simon ha fatto luce, aiutandone a definire i problemi. E grazie a cinque stagioni praticamente impeccabili, milioni di persone oggi sono a conoscenza di un sistema complesso, tragico e fondamentale per capire gli Stati Uniti. The Wire è la dimostrazione che i fatti non possono davvero colpire senza emozioni. Trascende l’idea di serie televisiva: è testimonianza, lirica del quotidiano, e intrattenimento di altissimo livello.

CONSIGLI DI VISIONE

Originale o doppiata?

The Wire pone un’attenzione maniacale verso il linguaggio, e i dialoghi della serie sono un capolavoro di fluidità e naturalezza. Il doppiaggio ammazza la personalità di una serie che è costruita attorno ad un luogo specifico e alle sue caratteristiche linguistiche e culturali. Attenzione però: la versione originale, per gli stessi motivi, è difficilmente comprensibile anche per i madre lingua inglese, a meno che non siano nativi di Baltimora. I sottotitoli sono obbligatori.

Se vi è piaciuta questa serie, guardate:

Treme, la nuova serie di David Simon, condivide la straordinaria attenzione al dettaglio del suo predecessore, e parte del cast, ma è più vicino ad un affresco della New Orleans post Katrina piuttosto che ad una narrativa compatta, da noir, come The Wire. La cosa migliore da fare quando in astinenza da The Wire è riguardare The Wire. La densità della serie permette di riguardare tutte e cinque le stagioni più e più volte, anche grazie all’ottima qualità degli inserti speciali nei cofanetti DVD.

L’eredità della serie:

La tentacolare narrativa di The Wire, unita alla sua attenzione alla precisione dei fatti e alla naturalezza delle interpretazioni, ha cambiato le regole della narrazione televisiva e ha ispirato molte delle migliori serie degli ultimi anni. The Chicago Code, oltre a essere un’ovvia prosecuzione dell’ottimo The Shield, ha un tono ed un’attenzione al ritmo della narrativa che ricorda molto la serie di Simon. Ma anche serie all’apparenza molto lontane come Game of Thrones hanno molti punti in comune con l’epica di Baltimora. Lo stile sobrio e l’attenzione ai personaggi della nuova epica HBO hanno un respiro allo stesso tempo epico e forte attenzione al quotidiano del mondo che raccontano, esattamente come la serie di Simon. Ma la serie che sembra aver raccolto con decisione l’eredità di The Wire è, sorprendentemente, non ospitata da una canale via cavo. The Good Wife, sotto una patina di serie legale molto standard nasconde il racconto di una città, Chicago, che è sviscerata in maniera molto simile alla Baltimora di The Wire. È molto più patinata, e 22 puntate a stagione producono inevitabili momenti morti; ma The Good Wife racconta il quotidiano con una lucidità molto vicina al suo ispiratore, con una particolare attenzione al rapporto tra media e politica che ha ben pochi eguali. E, non casualmente, nelle sue tre stagioni ha ospitato quasi tutto il cast di The Wire, in un arcobaleno di cammei.

 

PUNTATE PRECEDENTI:

Introduzione – Lost

1 – Buffy L’ammazzavampiri   

2 – Twin Peaks 

3 – Friday Night Lights

4 – The Office

5 – The West Wing

6 – Freaks and Geeks

7 – 24

8 – Spaced

9 – Battlestar Galactica (2004)

10 – The X-Files

11 – Arrested Development

 



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Emilio Bellu

Scrittore, cineasta, giornalista, fotografo, musicista e organizzatore di cose. In pratica è come Prince, solo leggermente più alto e sardo. Al momento è di base a Praga, Repubblica Ceca, tra le altre cose perché gli piace l'Europa.

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14 Comments

  1. senza ombra di dubbio la serie TV più coinvolgente di sempre

  2. hai scritto “15 serie migliori di lost”…. e le altre 14????

    1. Sono tutte linkate alla fine del pezzo.

  3. Io ho appena finito di vedere la serie solo adesso, sono d’accordo su tutto il post, complimenti.
    Peccato che non si trovino in Italia i dvd, non per sentire il doppiaggio (!), ma per avere i sottotitoli nella nostra lingua, aiuterebbe chi non conosce abbastanza l’inglese.

    1. Guarda che su internet la trovi in italiano

      1. Intendi i dvd o in visione online? Comunque in italiano non voglio sentirlo neanche da lontano, le 5 serie alla fine sono riuscita a vederle ma in originale con sottotitoli – solo mi piacerebbe comprare i dvd per ripagare gli autori di questa grande serie.

          1. Eh…Ci stavo facendolo stesso un pensierino, se riuscissi a studiare un altro po’ d’inglese mi accontenterei anche dei sottotitoli in lingua. Però tutto il cofanetto per adesso non posso, mi sembra si trovi anche solo la prima serie; magari più in là…

  4. Complimenti per l’articolo, mi sono quasi commosso leggendolo perchè snocciola uno ad uno i grandi meriti della mia serie preferita di sempre. Voglio solo sottolineare un punto: The Wire viene oggi giudicata dai critici americani come una delle serie più belle di tutti i tempi ma all’epoca della messa in onda non vinse mai nessun prestigioso premio, nessun emmy e credo che anche in termini di ascolti non segnò record significativi. In Italia rimane sconosciuta a gran parte degli spettatori che in questi anni si sono appassionati agli show. Ogni volta che mi sento di consigliarla ad un amico mi rivolgono tutti un espressione del tipo “se è così bella perchè non ne ho mai sentito parlare?”
    Questi per noi fan sono 2 altri punti di merito, il culto assoluto e il successo “settario” che ne fanno un prodotto non adatto a tutti i palati.
    Grazie infine per la dritta su chicago code e the good wife, mi metterò in pari.

  5. non la conoscevo, grazie è veramente stupenda.

  6. Io ho guardato le prime 2 stagioni. In realtà la prima mi ha un po annoiato ma ho voluto dargli una seconda chance. Che dire: io la trovo sopravalutata. Nettamente inferiore a Breaking bad, per me irrangiungibile e anche al di sotto di Gomorra la serie, in cui ci sono sostanzialmente miglior attori, maggior pathos, migliore trama e intreccio.

    1. caro paolo
      breaking bad è una bella serie senza dubbio, ma a parte in concept molto originale è una serie di facile da seguire poichè molto adrenalinica. the wire è tutto un altro livello.
      mi spiego: il realismo di the wire è qulcosa di incredibile ogni avvenimento, ogni gesto, ogni sequenza è un pugno in faccia perchè è ti mostra la realtà nuda e cruda (non ci sono personaggi alla gus fring tanto per intenderci, ma solo squallidi criminali che cercano di campare come emglio credono). ora sembrarà una bazzecola ma non è mica facile scrivere, dirigire ed interpretare una serie del genere. per fare un paragone: breaking bad è il codice da vinci, un libro avvincente che attira attenzione mediatica, the wire è il buio oltre la siepe, uno dei libri che hanno caratterizzato un epoca e la cultura americana per sempre.
      infine tu citi gomorra, beh in gomorra c’è tanto tantissimo di the wire partendo dallo stile con cui vengono rappresentati i criminali fino al modo in cui la regia da pathos e profondità ai personaggi.
      p.s. the wire è una serie che non può piacere a tutti, ma è innegabile la sua importanza e la sua superiorità nel panorama televisivo. facendo parte del trittico HBO (con OZ e i Soprano) che ha dato il via alla grande serialità televisiva non può essere giudicata in modo superficiale come hai fatto tu.

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