Non è nemmeno più interessante rilevare come Steven Soderbergh riesca a cavar fuori in tempi record (meno di 40 giorni di riprese) un film che cammina sulle sue gambe e che della sua dimensione alternativa a Hollywood fa una risorsa e un vanto. Dopo il fiasco e le pressioni per non realizzare il notevole Behind the Candelabra il tuttofare workaholic di Hollywood prima ha divorziato col cinema, annunciato che più avrebbe girato un film, poi si è messo a produrre questo e quello. Come ampiamente immaginavamo, l’addio è durato una manciata di mesi. Una pausa obbligata per altri, per lui che è abituato a calendari da una decina di progetti l’anno, dirigendo, montando, producendo e musicandone almeno un paio, un’eternità.
Dopo aver preso attentamente le misure dello spazio al di fuori dagli studios con pellicole più o meno riuscite ed esagerate, l’uomo dietro al successo della saga di Ocean’s è tornato con La truffa dei Logan, il film meno sottile possibile per indicare un modello produttivo e dire: ecco l’alternativa.

Il problema è che è una via praticabile praticamente solo per lui, che dal nulla o quasi ha tirato su 29 milioni di dollari, il solito cast più che uber stellare e ha girato la versione scanzonata e volutamente priva di patinatura della rapina cinematografica che gli ha fatto fare il colpaccio (pun intended) al botteghino. In questo quadro non bisogna poi dimenticare che Soderbergh si è spinto fino a occuparsi personalmente della vendita dei diritti sul mercato internazionale e del reperimento delle sale su territorio statunitense. Certo il botteghino non è stato clamoroso, ma considerando che il è un film ricolmo di star al netto assoluto di ogni forma possibile di promozione, è comunque notevole come il regista e produttore sia riuscito a scovare i soldi per chiudere l’impresa in attivo.

Dal punto di vista cinematografico, tanto di cappello a Soderbergh: Logan Lucky è un signor caper movie, il cui schema produttivo porta chiaramente la firma del regista sì, ma nella sua veste migliore. I colori sono brillanti ma non esagerati come in Magic Mike, la regia è adrenalinica e dinamica ma senza gli eccessi di (oh my, cosa sto per rievocare) Knockout – Resa dei conti e Effetti collaterali. Insomma, Soderbergh smette di cazzeggiare e si dà una regola e dei limiti, pur continuando con le sue sperimentazioni. Forse perché la posta in gioco è troppo importante, dato che sta dirigendo il film che è risposta al gigantismo produttivo della saga degli Ocean’s. Anzi, forse l’unico limite di questo film è che – pur non sfigurando a confronto con i fratelloni delle major – manca un po’ di mordente, di quel qualcosa di graffiante che, nel bene e nel male, imprime nella memoria ogni fatica di Soderbergh.

Ha del paradossale poi pensare che Soderbergh sia in grado di tirare fuori il film indie irriverente con un cast quasi ricolmo di stelle quanto la versione che va a “parodiare”, ma si sa che nessuno resiste a una sua chiamata, forse per il fatto che andare sui suoi set è la via più veloce a una vacanza dal regime hollywoodiano, entro i confini nazionali. Oltre al suo feticcio Channing COLLO Tatum, qui va segnalato un compagno d’insofferenza verso lo star system di Soderbergh: impossibile non notare quanto Daniel Craig si diverta in una veste “galeotta” dal look assurdo e dai tratti paradossali, lontana mille miglia dall’ingessato comportamento di Bond.

In tutto questo discorso rimane centrale la trama del film. Driver e Tatum sono due bizzarri fratelli reduci dalle missioni all’estero con l’esercito da cui hanno portato a casa solo un’invalidità condivisa: uno è zoppo, l’altro ha una protesi al posto del braccio. Di fronte alla disoccupazione incombente, stavolta COLLO non si dà allo strip tease, bensì prende un voglio di carta e verga un piano in 10 punti surreale ma geniale per rubare gli incassi di una corsa automobilistica tra le più importanti in Carolina del Nord. Ad assistere i due fratelli Logan ci sarà la sorella sciampista dalla guida sportiva impeccabile e appunto il carcerato Daniel Craig dai capelli platino. I personaggi sono così coeniani nel loro essere degli sfigati ai margini che lo spettatore intuisce solo a tratti la genialità di un piano che – tra le altre trovate – ha l’evasione programmata per un solo giorno di Craig, giusto il tempo di fargli preparare una bomba e rientrare in cella, senza che nessuno se ne accorga.

La sceneggiatura è il discrimine che forse lancia il film in territori impensabili per gli ultimi lavori di Soderbergh all’insegna di beh, la trama ce la pensiamo quando ce ne sarà bisogno, sceneggiatura firmata da Rebecca Blunt. Che di fatto non pare esistere, tanto che solo Driver e Soderbergh hanno affermato di aver incontrato di persona. Chi si nasconde dietro questo nom de plum? Il primo indiziato è Soderbergh stesso, ma non avrebbe gran senso. Forse ci ha visto giusto chi ha indicato la moglie del regista – che con la comicità ci lavora – ma che non voleva che il soggetto venisse ridotto a “Soderbergh gira il film della moglie”.

Nessun rischio, dato che si è accuratamente evitato di fare menzione di questo progetto, passato praticamente in sordina. Non proprio nei circuiti cinefili, dove è stato discretamente apprezzato. In attesa di vedere la prossima follia di Soderbergh (vai, faccio un film horror girato solo con un Iphone!) vale la pena di sovvenzionare questa uscita in un periodo un po’ morto di Lucky Red.

Il blog di Elisa è GerundioPresente.



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