La prima stagione di Killing Eve ha sorpreso e ammaliato, Phoebi Waller Bridge nel realizzarla è riuscita a piegare e riscrivere le regole dello spy thriller consegnandoci una storia inusualmente al femminile e proprio grazie a questa nuova soggettiva è stato possibile esplorare i topoi del genere in un modo inaspettato, fresco e intrigante cosicché il consunto canovaccio della spia sulle tracce del killer si è arricchito di considerazioni e sfumature insolite assumendo di colpo i connotati avventurosi del terreno inesplorato.

A fine stagione la sequenza di chiusura più che un cliffhanger, sebbene ne avesse le caratteristiche urlate, era sembrata più la scelta di lasciare ciascun spettatore solo con sé stesso nel trarre le proprie conclusioni. L’urgenza narrativa era quella di raccontare la storia che aveva portato fino a quel punto, il desiderio di vedere il dopo sembrava più un voler stiracchiare un piacere che aveva già raggiunto il suo apice. Eppure due protagoniste così magnetiche, graziate dall’interpretazione di attrici talmente carismatiche la cui combinazione ha dato vita a rara alchimia, meritavano una seconda occasione per brillare, e la storia tutto sommato poteva prestarsi a un ritorno, magari ampliando e dotando di confini più netti l’esistenza dei 12, un’organizzazione dal fine ultimo insondabile e dai contorni nebulosi.

Eccoci dunque arrivati alla seconda stagione di Killing Eve. La firma non è più quella di Phoebi Waller Bridge, che comunque resta in veste di produttrice, ma quella di Emerald Fennel che si trova a dover disfare una tela dall’ordito pressoché perfetto per rifilarla in qualcosa di diverso che non faccia rimpiangere la prima creazione.

Ci è riuscita dunque? La risposta è ambivalente. La seconda stagione di Killing Eve merita il nostro tempo e ci ripaga con una festa per gli occhi, ma arrivati in fondo all’ultimo episodio la nota dominante è quella dell’insoddisfazione: è inevitabilmente diversa dalla prima, narrativamente più debole, meno coerente, concentrata sull’attrazione tra le due protagoniste e pervasa da un erotismo folle e ipnotico che avrebbe meritato di essere veicolato da una storia solida e invece in luogo di una trama snodata nell’arco della stagione abbiamo tanti plot che si rivelano poco più che pretesti per dare a Eve e Villanelle qualcosa da fare. [Dal prossimo paragrafo SPOILER]

killing eve 2

La seconda stagione è dunque in sostanza un letale corteggiamento tra Villanelle e Eve, con Eve sempre più irretita, turbata ma pronta a spostare un po’ più il là il confine del moralmente accettabile. Gli altri personaggi sono semplicemente danni collaterali: la collega di Niko, la donna dell’anonima alcolisti, Hugo, e perfino Peel. Quanti psicopatici con manie di controllo si possono incontrare nella vita? Nel caso di Villanelle almeno due e a pochi mesi di distanza! Julian, il finto buon samaritano che l’ha segregata in casa con l’intenzione di trasformala in una inerme bambolina completamente dipendente da lui, è la prova generale per l’incontro con Peel, un milionario magnate dell’hi-tech che allo spettatore ha ben poco da offrire oltre allo stravisto campionario da sociopatico: telecamere di videosorveglianza per il proprio piacere, piacere nel vedere sgozzate le donne, piacere nell’esercitare un controllo totale sugli altri. Alla fine Peel riesce a malapena a brillare di luce riflessa grazie all’incontro con Villanelle e la sua funzione si esaurisce rapidamente nel momento in cui Villanelle lo riduce al topo ammazzato che il gatto di casa ci lascia sullo zerbino per testimoniarci il suo amore.

Il ritorno di Killing Eve è estremamente gratificante per gli occhi, la composizione di quasi ogni scena è degna di un quadro vivente e anche quando assistiamo a sanguinosi omicidi non possiamo fare a meno di non apprezzare il gusto e il senso scenico di Villanelle i cui abiti, va notato, sono in realtà sontuosi costumi di scena in opposizione all’abbigliamento di Eve pratico, anonimo, votato all’invisibilità tranne che nell’unica volta in cui, sentendosi minacciata da una collega del marito, sfoggia un abito super sexy: Eve ha infatti bisogno del pericolo, della minaccia e del sapore della conquista per uscire, anche metaforicamente, dai suoi panni e diventare compiutamente il tipo di partner – in crime e d’amore – che Villanelle sente di aver trovato il lei.

Il problema per Eve è che gli psicopatici come Villanelle si stancano in fretta delle cose, delle situazioni e sopratutto delle persone: i loro sentimenti non sopravvivono alla perdita di interesse, decaduto il quale resta solo il vuoto. La bravura di Jodie Comer, e i suoi occhioni dallo sguardo buffamente divertito anche nei momenti più truculenti, ci fanno quasi dimenticare che stiamo assistendo alla messa in scena di un killer amorale, privo di qualsiasi empatia, immune al senso di colpa, governato solo dalla ricerca di un piacere che la distolga dalla noia di un’esistenza banale. A queste condizioni Eve mente a se stessa rappresentandosi come la persona in controllo della situazione e l’ascendente che innegabilmente esercita su Villanelle la rende più simile a un vanity project che a un grande amore.

killing eve 2

La seconda stagione si conclude in modo perfettamente circolare alla prima  ma la serie è stata rinnovata per una terza stagione e porterà la firma di Suzane Heathcote: per quanto a fine serie sarà interessante confrontare l’annoverarsi di penne femminili di giovani e talentuose autrici, Heathcote si troverà nella difficile posizione di dover congegnare una storia dopo che la serie, per la sua seconda volta, dà la netta impressione di aver già detto tutto.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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