Xavier Giannoli incanta Venezia adattando Honoré de Balzac per raccontare una storia di ambizione e corruzione: anche gli ideali più nobili hanno un prezzo nella Parigi della Restaurazione.
Il giovanissimo Lucien (Benjamin Voisin) lascia la natia Angoulême, dove scriveva poesie d’amore ispirato dalla nobile e sposata Louise (Cécile de France) quando lei decide di portarlo nella capitale. Le minacce del marito di lei non lo spaventano, ma la mossa si rivela un azzardo. La società monarchica si rivela spietata col nuovo arrivato: lo isola e gli chiude le porte.
Le regole dell’etichetta nobile soffocano i teneri sentimenti di Lucien e Louise. Il ragazzo, però, deve sopravvivere: scopre che ogni parola può valere denaro e passa così dai versi amorosi agli articoli di un giornale liberale, che scrive inebriato dal potere che sembrano dare. Lo show business dell’epoca, fatto di attori e attrici oltre che di romanzieri le cui fortune si fanno e si disfano, legge con avidità e cerca consensi: per averli è disposto a pagare.
Così le illusioni del ragazzo annegano nella spirale della corruzione in cui il successo di una pièce passa attraverso i soldi che si è disposti a investire per comprare un critico o la claque. Ma l’arroganza non paga e, dopo la fase ascendente della sua parabola, Lucien conoscerà l’amarezza bruciante di quella discendente. I nobili si rivelano ancora une volta più astuti di lui: come possono accettare che un bourgeois uscito dal nulla faccia il bello e il cattivo tempo? E quando la politica monarchica attacca la libertà di stampa, il conto sarà salatissimo.
La ricchezza visiva e l’attenzione al dettaglio sono pendant di una narrazione sovrabbondante anche nell’uso della voce fuori campo che spiega, analizza, commenta: Illusions perdues ritrae con accuratissima puntualità la crisi dei principi post-napoleonici fra specchi e stucchi. Nella Parigi di Balzac l’illuminismo è lontano. Soprattutto quando si entra nelle redazioni, in cui la compra-vendita dei favori mescola faziosità e albori dell’advertisement. Naturalmente senza regole e senza etica.
Ecco quindi che, oggi, il film suona come un attacco al sistema dell’informazione, soprattutto in un’era in cui gli influencer dei social rendono ancora più liquido il confine fra la comunicazione e i suoi corollari. Anche se a Venezia il regista, proprio in conferenza stampa, si è affrettato a chiarire che il suo non è un film su o contro il giornalismo.
In epoca contemporanea, infatti, Illusions perdues rischia una deriva demagogica. Ma la narrazione solida e l’abilità nel tagliare e ricucire il romanzo di Balzac lo portano oltre: fastoso e debordante, il mix di critica sociale e dramma intimo è ben congegnato, e la ricetta filmica conserva un (leggerissimo) gusto bohémien, pur senza indulgere agli stereotipi. Il piacere del racconto che Giannoli porta davanti alla camera è poderoso, comanda gli aspetti estetici del film, e nello sguardo prima innocente e poi ambiguo di Benjamin Voisin concentra bramosia, tormento e voglia di riscatto. Non c’è spazio per eccessi di romanticismo.
Cécile de France è perfetta nei panni della nobile bella e infelice. Notevole il parterre dei comprimari, dall’illetterato editore Gérard Depardieu all’amico-nemico di penna Xavier Dolan fino a una marchesa d’Espard di feroce perfidia interpretata da Jeanne Balibar.
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