harry potter return to hogwarts

So you could be watching it in 50 years’ time, easyI will not be there, sadly… but Hagrid will.

Questa considerazione teneramente malinconica di Robbie Coltrane (Hagrid) racchiude il senso di Harry Potter 20th Anniversary: Return to Hogwarts, la celebrazione di una saga cinematografica che continuerà ad accompagnarci nel tempo, generazioni dopo generazioni, crescendo e conducendo verso l’età adulta bambin* che non sono ancora al mondo.

return to hogwarts

Il setting è accuratamente studiato per infondere un senso di calda appartenenza e draperiana nostalgia al fine di consegnare al pubblico un omaggio sontuoso nello stile, ma intimo e sentito nell’intento. Lo speciale è diviso in quattro capitoli, ciascuno dei quali si concentra sulla lavorazione di due film. Ricordiamo che la serie letteraria è formata da sette libri, ma l’ultimo – Harry Potter e i Doni della Morte – è stato adattato in due parti. Il montaggio alterna filmati di repertorio, chiacchierate tra il terzetto principale del cast, interviste a protagonisti, registi e produttori nel contesto di una Hogwarts suggestiva e famigliare che trasmette l’idea del ritorno a casa, tanto per loro quanto per noi spettatori.

Al centro dello speciale abbiamo le conversazioni tra il trio protagonista, Emma Watson (Hermione), Daniel Radcliffe (Harry) e Rupert Grint (Ron). I tre sono letteralmente cresciuti girando – nell’arco di dieci anni – gli otto film che compongono la saga e, nonostante la spontaneità delle reazioni mostrate nello speciale sia in parte una magica illusione frutto di sceneggiatura e regia, che tra loro ci sia un legame profondo e indissolubile è una realtà percepibile anche al di qua dello schermo e oltre ogni finzione. Mentre i giovani attori portavano nelle sale cinematografiche una storia che è anche un coming on age, loro stessi crescevano esperendo in prima persona quel delicato e spiazzante periodo di transizione che è l’adolescenza. Perfino la fama, l’essere costantemente sotto la lente di ingrandimento e, a un certo punto, essere anche braccati dai media, è un’esperienza che accomuna Harry, Ron ed Hermione ai tre che danno loro vita al cinema. 

È interessante notare anche il rapporto di potere tra i tre. Non solo Watson, proprio come Hermione, è la capoclasse del gruppetto, ma in Return to Hogwarts è evidente il suo starpower. Il protagonista della saga è Radcliffe – ed era senz’altro lui il principale oggetto del desiderio dieci anni fa – ma adesso, anche solo nella composizione delle scene in cui i protagonisti interagiscono, è chiaro che la presenza centrale, la star, quella che ha continuato a essere un volto da copertina anche una volta terminata la saga cinematografica è Emma Watson, e continua a esserlo anche oggi nonostante si sia presa una pausa a tempo indeterminato dalle scene. 

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Il leitmotiv tra gli “adulti” del cast è il ricordare come fossero scettici inizialmente, non convintissimi di accettare il ruolo – Ralph Finnes quello di Voldemort, Gary Oldman di Sirius Black, per esempio – mentre adesso sono estremamente consapevoli di essere parte integrante di un prodotto culturale irripetibile che trascende le loro carriere, nonostante non le definisca perché il cast di Harry Potter mette in campo alcuni tra gli attori e le attrici inglesi più talentuosi e carismatici, che sia il cinema che il teatro abbiano da offrire.

Non è un semplice omaggio dovuto quello di Alfonso Cuarón (il regista del Prigioniero di Azkaban) quando dice “I have never done a scene with such an amazing cast in my life” visto che nella scena della Stamberga strillante si è trovato a dirigere Gary Oldman, David Thewlis, Timothy Spall e Alan Rickman, oltre naturalmente a Radcliffe, Grint e Watson che a quel punto erano già padronissimi dei loro personaggi.

Return to Hogwarts vibra di autenticità soprattutto nel ricordo di chi non c’è più. Tante persone che vent’anni fa hanno intrapreso questo viaggio cinematografico non sono più con noi. La superba Helen McCrory (Narcissa Malfoy), Richard Harris, il primo a indossare le tuniche porpora e gli occhiali a mezzaluna di Silente, John Hurt (Olivander), ma soprattutto lui: Alan Rickman, il professore di pozioni che tutt* abbiamo amato. No, non amato odiare, proprio amato. Il Piton letterario è stato incarnato da Rickman quasi come se un autentico incantesimo lo avesse evocato dalle pagine, e non è un caso se l’ultima scena, l’ultima battuta che chiude e racchiude il senso dello speciale è affidata al suo “Always”.

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Ma c’è un’altra grande assenza, la più pesante: quella di J.K. Rowling. È vero, Return to Hogwarts è un tributo alla saga cinematografica (di cui abbiamo parlato qui), non a quella cartacea (di cui abbiamo parlato qui), ma è chiaro come la creatrice del Wizarding World stia diventando all’interno del suo stesso mondo Colei-che-non-deve-essere-nominata. Viene menzionata un paio di volte dal cast – la chiamano colloquialmente “Jo” – e compare in due occasioni attraverso brevissimi interventi registrati nel 2019 in occasione di un altro omaggio. La scelta di estromettere l’autrice da qualsiasi tipo di partecipazione diretta e attiva è sicuramente dovuta ad alcune posizioni di J.K. Rowling considerate transfobiche. Warner – che sta per lanciare il terzo capitolo di Animali Fantastici: I Segreti di Silente – e HBO Max di sicuro non vogliono ritrovarsi al centro di critiche, boicottaggi e campagne social contro i loro prodotti.

Allo speciale hanno preso parte, oltre i già citati, Tom Felton, Mark Williams, Helena Bonham Carter, Jason Isaacs, James Phelps, Oliver Phelps, Bonnie Wright, Alfred Enoch, Matthew Lewis, Evanna Lynch. Il produttore David Heyman e i registi Chris Columbus, Alfonso Cuarón, Mike Newell e David Yates.

 



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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