Finto documentario, almeno in apertura, A proposito dei Ricardo scava nei giorni che rischiarono di oscurare la stella di Lucille Ball, regina della tv americana che tra il ’51 e il ’57 regnò dagli schermi della CBS con I Love Lucy: nel 1953 l’ombra del maccartismo può rendere l’accusa di essere comunista una condanna a morte (artistica).

Aaron Sorkin, Oscar per la sceneggiatura di The Social Network e altre tre nomination all’attivo, sviluppa la sua terza regia attorno alle trappole del successo di una delle sit com più amate di sempre, capace di influenzare pesantemente anche l’economia americana (se in tv c’era I Love Lucy, la gente usciva a cena molto meno).

Per la Ball è una settimana pesante: i tentativi di far valere la sua acuta visione artistica su un set dominato da uomini; i dubbi sulla fedeltà del marito e co-protagonista Desi Arnaz, da cui divorzierà solo anni dopo, nel 1960; e un’accusa lasciata cadere in radio dal giornalista gossip Walter Winchell: una vecchia iscrizione al partito comunista. Sarà la fine del programma e di una carriera?

A proposito dei Ricardo sembra vivisezionare le origini dello scandalo, il malessere della sensibilità femminile alle prese con un machismo meno esibito ma più strisciante, la misera etica professionale di un mondo in cui le fortune nello show business si fanno e si disfano. Ma dopo l’incipit concitato e un improvviso rallentamento, il film torna indietro e guarda alle radici del sodalizio artistico e sentimentale del duo Ball- Arnaz: quando lei, attrice di belle speranze, fa girare la testa al contesissimo sex symbol di origini cubane che, all’epoca, era poco più del cantante di un gruppo che sbancava nei club di New York.

L’intreccio di passato e presente è confezionato con scrupolo chirurgico, ai limiti del meticoloso. Ma per una storia simile – e per il clima sociale e politico che le fa da sfondo – meno viva e meno sentita in Europa che in America, l’altra faccia della medaglia è la difficoltà nell’accendere un’emozione istintiva e non solo cerebrale. La connessione emotiva con Lucille Ball, qui, non passa dalla sceneggiatura di Sorkin, tanto accurata quanto algida, ma dalla sensazionale prova di una Nicole Kidman al suo meglio.

La Kidman va oltre il mimetismo: acuta e a tratti magnificamente pensosa, affronta un tour-de-force interpretativo palpitando di amore e di sdegno. Anche sotto un make-up che la ringiovanisce rendendola più simile alla Ball ma non ne oscura il temperamento. Dopo il Golden Globe come miglior attrice drammatica e la nomination al Critics’ Choice e allo Screen Actors Guild Award, molti scommettono su una quinta nomination all’Oscar.

Al film resta anche l’interessante lavoro di ricostruzione che sembra mettere in scena un pezzo di storia della televisione USA: gli Studios e le loro dinamiche, la scoperta progressiva dei tempi televisivi, una regia che (la Ball lo capiva) doveva rendersi sempre meno statica. E i giochi di potere fra sponsor, produttori e l’allure divistico di chi ci metteva la faccia. Ce lo ricordano le levate di scudo di Arnaz, sorprendentemente interpretato da un Javier Bardem a metà strada fra fisicità debordante e quel sofferto narcisismo che lo stesso Arnaz pare non saper gestire.  Così, Sorkin riesce a lasciare il segno con l’epilogo di A proposito dei Ricardo, grazie al suo scavare fra i dubbi, personali e professionali, di Lucille: la catarsi è un nuovo inizio, ma c’è un prezzo da pagare. Non andiamo oltre per evitare spoiler, ma anche perché, in fin dei conti, c’è qualcosa nel finale del film che pare ricordarci come non tutto il male venga per nuocere.



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