Un frame da Avatar: La via dell'acqua

Cosa stavate facendo tredici anni fa, in questi giorni? Domanda difficile, me ne rendo conto, ma la risposta è più facile di quanto si possa credere. Con ogni probabilità, stavate guardando Avatar, stavate per andare a guardare Avatar, o eravate in procinto di guardare per la seconda (terza, quarta…) volta Avatar. So che state provando a negare, ma è la stessa storia di quel politico che nessuno votava e ha governato all’incirca per vent’anni. Ma sto divagando, il punto era un altro: sono volati questi tredici anni, non vi pare? E no, non mi sto riferendo al fatto che quel politico è ancora al governo, quanto al fatto che in questi giorni con ogni probabilità finirete in un cinema a vedere Avatar: La via dell’acqua

Ecco, una volta usciti dal cinema dopo aver visto Avatar: La via dell’acqua mi sono messo a pensare a quante cose cambiano in tredici anni. Alcune tantissimo, altre per nulla. Tredici anni fa, per esempio, la tecnologia 3D applicata al cinema mi sembrava sostanzialmente inutile. un artificio destinato a durare poco e che poco o nulla aggiungeva alla visione. Nonostante i disperati tentativi dei produttori tv di mettervi in casa uno schermo capace di riprodurre questa meraviglia tecnologica nel salotto di casa (non ci sarete cascati, vero?), il tempo mi ha dato ragione è il 3D è una di quelle cose che quando ti tornano in mente ti viene da dire a chi hai vicino: “oh, ma ci pensi che andavamo al cinema a vedere i film in 3D?!”. Cameron, di sicuro, è tra quelli che ci pensa ancora. 

I protagonisti di Avatar: La via dell'acqua

Vero è che tredici anni fa uscivo dal cinema con un mal di testa feroce e degli occhialini sgangherati tenuti per buona parte del tempo sulle gambe per i fastidio che mi dava l’effetto durante il film. Oggi, invece, il 3D di Avatar: La via dell’acqua è quasi piacevole. Quasi, resta qualche sfarfallio nelle scene più veloci, ma nel complesso quanto meno infastidisce (e probabilmente influisce averlo visto nella Sala Energia dell’Arcadia di Melzo, l’esperienza più vicina ai fotogrammi sparati direttamente sulla retina). Certo, il 3D resta inutile, ma questo è un altro discorso, e per affrontarlo dovremmo parlare dello sforzo compiuto da Cameron per mettere sempre e comunque qualcosa davanti ai personaggi in scena (un pesce, un insetto volante, granelli di polvere, un piolo di una scala!) per trasmettere la sua urgenza di farti avvertire la profondità della scena. Pur non aggiungendo nulla, fa comunque la sua bella figura e in diverse inquadrature sa anche regalare un certo senso di meraviglia, che non questa.

Quello che non è cambiato di una virgola in tredici anni è il senso di James Cameron per il cinema, nel bene e nel male. Se dal punto di vista tecnico Avatar: La via dell’acqua è semplicemente mostruoso, una bella scossa a Hollywood da questo punto di vista dopo la mediocrità degli ultimi anni (anche in Marvel) dovuta a diversi fattori tra cui spiccano le condizioni di lavoro imposte agli studi di vfx, dal punto di vista della narrazione è un film vecchio, c’è poco da girarci intorno. Mi verrebbe da dire che il minutaggio è invece decisamente da da film moderno (o da sequestro di persona), ma su questo terreno Cameron aveva imposto un precedente già col primo capitolo. 

Una scena di Avatar: La via dell'acqua.

Il senso per il cinema di Cameron però si esprime anche attraverso la costante ricerca di evoluzione del medium, che a sua colta si traduce in un film come Avatar: La via dell’acqua che solo a Cameron sarebbe stato concesso di fare oggi. E certo non cambierà la storia del cinema, ma impone a tutti di confrontarsi d’ora in poi con un nuovo standard tecnologico nel motion capture e nella messa in scena digitale e più in generale scuote le grosse produzioni americane da un torpore in termini di portata e di immaginazione in cui da troppo tempo si erano accomodate. Il resto è abbastanza trascurabile, d’altra parte lo era anche nel primo Avatar, anzi forse in questo caso la trama è un po’ meno derivativa, per quanto ugualmente banalotta e stereotipata, ma cambia poco: volete forse dirmi che non andrete comunque a vederlo, come tredici anni fa?

 

 

 

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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