Un ragazzo legge fumetti sul divano.

 

Come dite? Aprile è quasi finito e stiamo parlando dei fumetti di marzo? Giusto, bando alle ciance.


Divided States of Hysteria di Howard Chaykin

Una donna coperta da un burka con la bandiera america nella cover di Divided States of Hysteria

Howard Victor Chaykin è uno a cui la controversia piace, ci sguazza e quando non c’è se la va a cercare. Divided States of Hysteria è proprio uno di quei casi emblematici in cui Chaykin la polemica se la va a cercare entrando a gamba tesa in una discussione già di per sé divisiva nel panorama culturale, con la proverbiale delicatezza dell’elefante nella cristalleria. Concepita durante la presidenza Trump, Divided States of Hysteria mette in scena un’America dilaniata dalle divisioni ideologiche, conseguenza di un enorme attentato suicida che ha reso New York una distesa di rovine e radiazioni. In questo scenario si muove Frank Villa, ex agente federale che ha sulla coscienza la colpa di non essere riuscito a prevedere e sventare l’attentato, in cui per altro ha perso moglie e amante. Finito nel florido settore delle carceri private, Frank assembla una squadra di galeotti per provare a evitare il prossimo, devastante attentato, organizzato di concerto da suprematisti bianchi, suprematisti neri e mafia, con il supporto della finanza internazionale. Già da questa prima sintesi della sinossi è evidente che la satira di Chaykin è decisamente di grana grossa e non ha intenzione di perdersi in questioni di lana caprina. L’obiettivo di Chaykin sembra essere quello di far infuriare il più ampio spettro immaginabile di sensibilità, ecco quindi che gli USA raffigurati sono quelli più smaccatamente trumpisti, in cui tuttavia l’autore si sofferma sulle contraddizioni più estreme: l’attentato di NY è stato compiuto da donne mussulmane gravide, una dei membri de gruppo di Villa è una ragazza trans finita in prigione per aver reagito a un tentato omicidio durante un’orgia da parte di uomini dalla mascolinità fragile, mentre negli sprazzi di vita quotidiana assistiamo a cecchini neri che mirano ai bianchi dalle finestre e mercanti ebrei che non nascondono la propria avidità. L’impressione è che Chaykin abbia voluto prendere le conseguenze più estreme di qualunque posizione sul politicamente corretto per metterle insieme e mostrare come gli approcci più radicali non possano che avere conseguenze ancora più divisive su una nazione che già adesso fatica a trovare un terreno comune su cui muoversi. Nella sua critica, Chaykin va giù piatto, facendo di tutta l’erba un fascio, e tranciandola con un colpo secco senza compiere particolari distinguo. Non si può dire che l’approccio di Chaykin sia retrogrado: il personaggio che ne esce meglio da Divided States of Hysteria, quello a cui l’autore pare interessato e a cui regala la maggiore profondità di sfaccettature è senza dubbio la ragazza trans. Allo stesso modo, però, non si può ignorare come la falce di Chaykin si abbatta su tutti indistintamente, non facendo differenze tra le istanze dei diversi movimenti, tra chi richiede parità di diritti e chi invoca superiorità basate su pregiudizi raziali o sessuali. Lo sguardo di Chaykin è di sicuro lontano da quello europeo e per questo la sua critica, grottesca e feroce, non può essere compiuta in un articolo riepilogativo come questo (arriverà nei prossimi giorni un’analisi più dettagliata, promesso). Divided States of Hysteria resta in ogni caso una lettura estremamente interessante, anche per la sua natura di critica allegorica al mondo apportata attraverso il fumetto, senza snaturare la funzione del medium: Chaykin ha delle idee e lascia che sia la sua narrazione a esporle. Certo meglio di molti fumettisti nostrani che nascondo la loro frustrazione per uno spirito non più adatto ai tempi in commenti o vignette social. C’è anche un altro elemento da tenere in considerazione: Divided States of Hysteria è probabilmente la vetta artistica di Chaykin che in questa occasione affianca al suo tratto ruvido e spigoloso una ricerca grafica della tavola che prova a trasmettere il costante rumore fondo in cui si muove la nostra attenzione nel costante dibattito pubblico quotidiano. Senza dubbio, al di là della condivisione o meno del messaggio, siamo di fronte a uno dei fumetti più interessanti di questi mesi.

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Guardati di Elisabetta Romagnoli

Occhi di pantera nella cover di Guardati

Guardati (Guàrdati o Guardàti, voi come l’avete letto?) è la nuova graphic novel di Elisabetta Romagnoli, la prima pubblicata per Tunué. Guardati nasce proprio da una chiacchierata tra Elisabetta e Simona Binni, responsabile della collana Ariel di Tunué, che ha invitato l’autrice a partecipare ai volumi della collana con una storia al femminile. Nasce così il racconto di Iris, ragazzina e poi adolescente con un ricco e vivace molto interiore, ma con grosse difficoltà a interagire e integrarsi coi suoi coetanei. A supporto di Iris interviene il padre, figura centrale nel suo sviluppo personale, che in tenera età riesce affiancare Iris nella lotta con i mostri interiori che la attanagliano, ma che si rivela meno capace di capire le necessità di Iris in adolescenza, finendo per tarparle le ali impedendole di seguire le sue passioni. Nelle tre parti che costituiscono la sua graphic novel, Elisabetta Romagnoli è bravissima a costruire le figure di Iris e il padre senza risultare giudicante; soprattutto nello sguardo sul papà, benché visto sempre dagli occhi di Iris, emerge la misura di Romagnoli, attenta nel delinearne i contorni opprimenti, senza tuttavia dimenticare la dimensione genitoriale che si esprime attraverso comprensibili preoccupazioni orientate verso la felicità e la soddisfazione futura dei propri figli. La dimensione della narrazione è profondamente intima e non si fatica a cogliere il coinvolgimento autobiografico dell’autrice che, durante un incontro di presentazione, ha detto di non aver ancora parlato alla sua famiglia della trama del volume e di non sapere come verrà percepita quando i genitori la leggeranno. L’abilità di Romagnoli però si esprime anche in altri modi, ad esempio nell’eleganza con cui amalgama il suo tratto leggiadro, cartoonesco, fatto di colori tenui e visi splendidamente espressivi, all’interno di una storia seria e delicata. C’è un ultimo dettaglio infine che va citato: la musica è il filo conduttore di tutto il racconto, più precisamente sono le canzoni di Red Hot Chilli Pepper a scandire la crescita di Iris. E infine c’è la pantera, compagna onirica della protagonista che presta i suoi incandescenti all’efficacissima copertina. 

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L’attesa di Keum Suk Gendry-Kim

Una bambina disegnata a matita nella cover de L'attesa

La popolarità dalle nostre parti di Keum Suk Gendry-Kim dice molto di quanto spazio il fumetto si sia guadagnato nelle abitudini culturali italiane nell’ultimo decennio. Lontana dagli stili grafici e dagli intrecci del manga, Keum Suk Gendry-Kim è un’autrice più intimista, che affronta temi impegnativi quali la situazione delle comfort woman coreane o l’autismo. Keum Suk Gendry-Kim è un’autrice di culto, anche in Italia. A marzo, durante la presentazione de L’Attesa in una libreria milanese, l’evento organizzato da Bao è stato affollato da un folto pubblico che ha tempestato di domande l’ospite, spesso poste direttamente in coreano, sui temi più disparati, dalla genesi dei suoi volumi alle probabilità che il processo di pace tra le due Coree riprenda. Proprio la divisione dell’isola coreana in due parti belligeranti è il tema portante de L’Attesa, fumetto ovviamente costellato di suggestioni autobiografiche in cui Keum Suk Gendry-Kim racconta la vita quotidiana di Gwi-Ja, oggi anziana signora che si è vista separare dal figlio primogenito durante la guerra di Corea. L’attesa del titolo è quella per i ricongiungimento familiare intercoreani, giornate organizzate dai governi del Sud e del Nord in cui i cittadini possono brevemente riabbracciare i propri cari bloccati oltreconfine al termine del conflitto. Tra le pagine bianche graffiate dallo stile leggero eppure fortemente espressivo Keum Suk Gendry-Kim c’è molto altro, la sofferenza di un popolo che si traduce in sofferenze individuali quotidiane, ma anche il tormento delle aspettative e dell’inadeguatezza di una figlia, quella di Gwi-Ja, che ha fatto promesse alla madre e che non è in grado di mantenerle. L’Attesa è una storia toccante, nel senso che riesce a penetrare le barriere di qualunque lettore e andare a toccare il fulcro delle emozioni, con delicatezza, ma anche dolorosamente. Riciclo il consiglio che Michele Foschini ha dispensato durante la presentazione con l’autrice: leggete L’Attesa a piccole dosi, pronti ad avere gli occhi lucidi al termine di ogni capitolo. 

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Spider-Punk: Anarchy in the USA di Ziglar & Mason

Spider-Punk nella copertina dell'omonimo fumetto

Negli ultimi tempi ho un po’ perso di vista Spider-Man. La gestione del personaggio portata avanti dalla sceneggiatore Dan Slott mi ha divertito all’inizio, con la mente di Doc Ock nel corpo di Peter Parker, poi l’entrata in scena dello Spider-verso (declinazione ragnesca del multiverso) ha smorzato il mio entusiasmo. La declinazione multiversale del buon vecchio arrampicamuri di quartiere ritengo funzioni bene in un contesto contenuto come quello dei film di animazione, e ben poco su carta. Forse sono vecchio io e legato alle avventure più urbane e metropolitane di Spidey, va a sapere. Ad ogni modo, dal Spider-verso sono emerse anche cose buone, come questo Spider-punk, uno dei tanti Spider-Man a fare la sua comparsa nella saga, in cui del personaggio era stata raccontata giusto una breve origin story. Con questa mini-serie, invece, il duo Ziglar (testi) e Mason (disegni) ci porta con un po’ più di calma su Terra-138, l’universo in cui i panni di Spider-Man sono indossati da Hobie Brown, giovane punk che non solo ha abbellito la maschera con degli spuntoni metallici, ma anche fatto saltare la testa dal corpo al presidente Osborn con un colpo di chitarra ben assestato. La storia non presenta particolari legami di continuity e può serenamente essere letta anche per chi è sostanzialmente all’oscuro di tutti gli eventi ragneschi recenti, un po’ come se fosse un what if dei vecchi tempi: e se Spider-Man fosse un punk? Beh, vivrebbe in un mondo in cui il presidente è venomizzato, Hulk ha la cresta e il patriota con lo scudo si chiama Capitan Anarchia. La trama imbastita da Cody Zinglar è scanzonata, costellata di scontri tra versioni nazi-punk dei cattivi storici come Kraven e le controparti adolescenti degli eroi classici, che in questo universo vivono in semi-clandestinità. I disegni di Justin Mason colgono alla perfezione il clima allegro, dando corpo alle trovate dello sceneggiatore (lo Spider-Van!!!!) e raffigurando eroi davvero punk, smilzi e cool, perfettamente supportato dai colori di Jim Charalampidis, caratterizzati da tinte scure, acide, in cui abbondano gli elementi grafici come retini e linee cinetiche, ma che sanno fare spazio a tavole più solari. Una lettura leggera e perfetta per chi vuole leggere Spider-Man senza farsi carico di tutte le svolte narrative delle storie in continuity. 

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Intial D di Shuici Shigeno

Il retro di un auto nella copertina di Initial D

In Giappone, sul finire dei ’90, il prezzo della Toyota Sprinter Trueno AE86 è schizzato alle stelle. Il motivo? Si tratta dell’auto guidata da Takumi Fujiwara in Initial D, manga di Shuichi Shigeno divenuto a quel punto un cult. Il successo di Initial D non è uno di quelli scontati: l’opera nasce dalla passione del suo autore per le auto e per il fenomeno delle corse clandestine notturne tra bande di giovani, che in quel periodo destava parecchia preoccupazione nell’opinione pubblica giapponese. Initial D è un azzardo che Kodansha si sente di cavalcare pubblicando la storia a capitoli sul magazine Young Magazine. Grazie alla capacità di Shuichi Shigen di cogliere lo spirito e le atmosfere di quel mondo, ma grazie anche ai suoi disegni iper-dinamici e dettagliatissimi per quanto riguarda la riproduzione delle vetture, Initial D diventa presto un cult. Dalle nostre parti, tuttavia, Initial D è arrivato solo in altre forme: l’anime trasmesso da MTV o le numerose conversioni videoludiche. Sembra strano, ma questa è la prima edizione del manga e per l’occasione J-POP ha fatto le cose in grande, proponendo i dodici volumi in un’edizione deluxe (arricchita da redazionali e lavorazioni sulla cover) a cadenza bimestrale. Come tradizione del genere, Initial D non parla solo di auto, anche se le corse clandestine notturne sono al centro degli eventi, ma anche delle tribù che vi ruotano attorno, composte da ragazzi poco più che maggiorenni dal fortissimo senso dell’onore. Per darvi un’idea, il protagonista Takumi è diventato un pilota abilissimo sulle tortuose strade della periferia montana grazie al padre che, ancora minorenne, lo inviava nottetempo a consegnare il tofu ai suoi clienti. Per evitare che il prezioso carico si rovinasse, Takumi doveva rispettare una sola regola: non versare nemmeno una goccia del bicchiere d’acqua poggiato sul cruscotto. Non sentite anche voi il fomento? E sì, la D del titolo sta per drifting, ben prima di Fast & Furious

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Catwoman – Città Solitaria di Cliff Chiang

Catwoman con Gotham sullo sfondo nella cover di Città SOlitaria

Immaginarsi il futuro di un personaggio è un meccanismo narrativo ormai codificato che trova in Il ritorno del cavaliere oscuro una delle sue vette. Ed è all’opera di Frank Miller che in qualche modo si ispira Cliff Chiang in questa sua graphic novel da autore completo (sceneggiatura, disegni e colori) per la linea Black Label di DC Comics con protagonista Selina Kyle, in arte Catwoman. Quella che ritroviamo in Città Deserta è una Selina invecchiata da dieci anni di carcere, orfana dei suoi affetti e dei suoi averi dopo la Notte dei Folli in cui Batman e tutti i suoi aiutanti hanno perso la vita. Dopo l’abolizione delle maschere, Gotham gode di pace da un decennio sotto il governo del sindaco Dent, ma la forbice sociale dilania ancora la società, nonostante i progressi compiuti grazie ai soldi lasciati da Bruce Wayne alla città. Chiang ci presenta una Catwoman che deve fare i conti con l’età e gli acciacchi fisici, piuttosto limitanti per una donna che ha fatto dell’agilità la sua professione, ma anche con i dilemmi di una nuova vita. Ne è valsa la pena? Correre di notte sui tetti ha aiutato qualcuno più delle case popolari e dei centri di aggregazione costruiti con l’eredità di Bruce? Chiang si aggancia a questo dubbio che da sempre accompagna il cavaliere oscuro per raccontare una vicenda profondamente supereroistica, costellata di comprimari alcuni scontati altri decisamente meno, senza tuttavia mai rinunciare alla profondità della sua analisi del personaggio e del contesto, favorito dall’ambientazione futuristica che lo priva di vincoli narrativi, grazie alla libertà creativa che la DC lascia ai suoi autori attraverso l’etichetta Black Label. Oltre a ciò, Città Solitaria è un piacere per gli occhi costante. Chiang è in forma smagliante e confeziona tavole di una bellezza rara per ritmo, colorazione e grazia, illustrando sequenze complesse con una chiarezza di lettura massima, senza mai sacrificare la dolcezza del tratto o l’espressività dei suoi personaggi. L’edizione Panini poi è davvero splendida, un cartonato con sovracopertina che se aperta diventa un poster con diversi studi dei personaggi. 

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Amebe di Motoro Mase

Il cofanetto contenente i uattro numeri di Amebe

Chissà se la pandemia ha condizionato in qualche modo il lavoro di Motoro Mase su Amebe, nuova serie dell’autore di Demokratia. Lo stress ha preso il sopravvento sulle nostre vite, trasformandoci in macchine perennemente insoddisfatte, incapaci di sentirsi al proprio posto nel mondo. Lo stess è di sicuro una malattia… ma se fosse una malattia mortale? Nel Giappone fantascientifico di Mase lo stress ha iniziato a comportarsi come quei piccoli organismi unicellulari che si aggregano fino a formare un’ameba. Il corpo dell’ospite umano inizia a trasformarsi in una melma giallastra che lascia intatta solo la testa. Se completata, questa mutazione porta l’organismo ospite a esplodere, disperdendo spore nell’ambiente e contagiando altri umani. La scoperta porta a una situazione di emergenza nell’intera nazione, mentre la scienza brancola nel buio e le istituzioni cercano un modo per curare lo stress di cui soffre la popolazione prima che questo trasformi gli ospiti in amebe. Uno dei pregi di Amebe è senza dubbio la sua dimensione contenuta: quattro volumi, raccolti anche in un cofanetto, al cui interno la storia si dipana e si conclude. All’inizio, come d’abitudine, il racconto di Mase procede per episodi, presentandoci singola situazioni drammatiche in cui lo stress ha condizionato o sta per condizionare la vita di un cittadino. Col passare delle pagine tuttavia iniziano a emergere collegamenti che conducono verso il finale in cui tutte le linee narrative trovano coesione, omogeneità… e persino speranza nel futuro, presenza abbastanza rara nelle opere di Mase. Scrivere e disegnare (con il suo consueto realismo, a tratti quasi distaccato e giornalistico) di pandemia durante una pandemia, non deve essere stato facile. 

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Eternity. Rovine metaforiche visitate dai turisti (Vol. 2)

La copertina di Eternity 2.

Cosa diavolo ho appena letto? Se lo sono chiesti almeno una volta tutti i lettori di Eternity – o forse è quel che spero per sentirmi un po’ meno ottuso. Il primo numero esercita il fascino dell’enigma che si schiude a poco a poco; pur essendo fondamentalmente un’opera pop, è scritta in un linguaggio che si ritrae alle facili interpretazioni; occorre qualche sforzo e più di una rilettura per trovare una chiave interpretativa che si adatti alla serratura. Con questa seconda uscita Bilotta non si smentisce e, anzi, prosegue con il suo personalissimo modo di specchiare questi nostri tempi disagiati, fatto di personaggi memorabili, teatralità e tempi dilatati. Ritroviamo Sant’Alceste impegnato in una lenta e rassegnata deriva. Nell’aria però c’è un fermento che nemmeno lui può ignorare (anche se forse vorrebbe). Il motivo di tanta eccitazione? Il ritorno di Tito Forte, lo sanno tutti. Il mondo cambia più in fretta di quanto tu sia disposto ad accettare, caro Tito, e persino un vecchio campione dei salotti televisivi paga dazio allo scorrere del tempo. Una parola di troppo, un’uscita fuori bersaglio ed è un attimo perdere le redini della situazione. Sant’Alceste è un osservatore taciturno del disfacimento sociale – oltreché umano – del conduttore televisivo, il quale si scopre essere nient’altro che un’immagine costruita ad arte e non più adatta ai tempi che corrono. Verità inaccettabile, per uno come lui. Attraverso una serie di tappe, cadono ad uno ad uno tutti i capisaldi della sua vita precedente, segnando di pari passo una metamorfosi che terminerà in un epilogo assurdo e straniante: ti saluto integrità morale, amica immaginaria di anni; addio dignità, con questo ridicolo costume (ri)entro nell’Eternity. Una Roma matiabazariana fa da cornice a una tragicommedia pirandelliana che sembra non conoscere fine poiché, come ci ricorda lo stesso Bilotta: ognuno vive il suo quarto d’ora di celebrità… in eterno.

(Flavio Del Prete)

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Fine Print 1 di Stjepan Sefic

Una donna a letto con due diavoli nella cover di Fine Print

Stjepan Sefic è un autore croato che si è messo in luce con alcuni lavori notevoli per Top Cow. Dopo di che, qualche anno fa, ha iniziato un progetto personale quasi per scherzo, pubblicando online una serie tra fantasy ed erotico, Sunstone. Sefic è graziato da uno stile divino, una mano dolce che sa esprimere anatomie realistiche immerse nell’estetica di questi anni, un po’ Tumblr e un po’ Instagram, che fa uso di riferimenti fotografici per i volti, davvero molto espressivi, senza però cadere mai negli eccessi da Land. Fine Print è una serie che si inserisce in quello che ormai è il suo universo narrativo personale, condiviso con le opere della moglie, Linda Sejic, ma perfettamente leggibile a sé stante. Racconta la storia di Lauren, ex bruttina impacciata del liceo divenuta top model, che tuttavia ha compiuto una lunga serie di scelte sbagliate, anche in campo amoroso, che l’hanno portata a perdere per colpa propria il grande amore della vita. Si dà il caso, tuttavia, che tra gli dei ci siano creature interessate all’amore umano, ma anche al desiderio, e una di queste divinità propone a Lauren un patto. Cosa è disposta a fare Lauren per alleviare la perdita dell’amore? Se masticate un po’ l’inglese, sapete che i fine print sono quelle clausole, scritte in piccolo in fondo ai contratti, che tuttavia ricoprono spesso un’enorme importanza e se infrante posso portare a conseguenze poco piacevoli. Le cose per Lauren, insomma, non saranno facili. Fine Print è una lettura fuori dagli schemi, perchè di fondo è un fumetto erotico scritto e disegnato con una fortissima nota ironica e tantissima, indispensabile, eleganza. Nulla di pruriginoso, insomma, ma anzi una riflessione per nulla scontata sull’amore, sulle scelte, sugli sbagli e sul ruolo che il sesso gioca nella nostra vita e nelle nostre relazioni, per di più disegnata in maniera divina, che di certo non guasta. 

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Essex County di Jeff Lemire

I cinque protagonisti di Essex County disegnati di spalle nella cover del volume.

Su Essex County non c’è molto da dire: si tratta di una delle opere più importanti e apprezzate di uno degli autori più importanti e apprezzati del panorama USA, Jeff Lemire. Essex County è un omaggio di Lemire ai suoi luoghi d’origine, uno studio sul passare del tempo, sui legami familiari e sui rapporti di amicizia. Si tratta dell’opera di un Lemire giovane, ma già capace di una padronanza del medium invidiabile, fondata su uno stile grafico che esprime tutta la sua potente espressività attraverso il bianco e nero. A marzo Panini ha riportato Essex County in libreria e fumetteria con un volume molto bello, brossurrato, stampato sua carta di un bel bianco acceso, che accentua i neri di Lemire. I tre capitoli di Essex County sono preceduti da un’introduzione firmata da Darwyn Cooke (scusate) ed è seguita da succoso e interessante materiale extra. Essex County è un fumetto splendido, non c’è molto altro da aggiungere. 

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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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