Cadono le foglie (ok, almeno in teoria) (Claudio, una parentesi dopo tre parole, iniziamo male e già raddoppi, NdR) e su Players nascono rubriche. Dureranno più o meno dell’autunno? Chissà. Nel frattempo, ecco a voi recensioni brevi di film recenti. Buona visione. 

Napoleon

Io amo troppo la Francia. Ho sempre voluto la sua gloria” confessa un accigliato Joaquin Phoenix nei panni di Napoleone, esiliato dai suoi concittadini sull’isola d’Elba dopo la disastrosa campagna di Russia. Eppure nel nuovo film di Ridley Scott di questo amore del generale che fu console e poi imperatore non ci sono in effetti grandi tracce po’, benché in effetti non manchino le passioni. Su tutte Giuseppina (una divina Vanessa Kirby), moglie non sempre fedele, ma indispensabile per la costruzione dei suoi successi: si può ridurre a casualità, a coincidenza, il fatto che il divorzio per ragioni di Stato coincida con l’inizio della fine nella parabola politica e militare di Napoleone?

Joaquin Phoenix stars as Napoleon Bonaparte and Vanessa Kirby stars as Empress Josephine in Apple Original Films and Columbia Pictures theatrical release of NAPOLEON.  Photo by: Aidan Monaghan
Photo by: Aidan Monaghan

Scott non è interessato alla vita pubblica del suo protagonista o alla dimensione storica, giusto abbozzata in qualche fugace dialogo. Al centro delle due ore e mezza di pellicola c’è invece il Bonaparte privato, riportato alla sua dimensione umana attraverso le pulsioni, dal sesso all’appetito, senza trattenersi dal ridicolizzarlo. Dietro Napoleone non c’è solo una grande donna, ma ben due, con l’ombra della madre che da fuori scena funge da filo conduttore alla sua ambizione sfrenata, alimentata non già da amor patrio, ma da un desiderio di grandezza personale che la Francia ha saputo cavalcare finché utile al proprio scopo. Attraverso il filtro di Ridley Scott emerge un Bonaparte in fondo ben poco rivoluzionario, un uomo dotato di talento che ha costruito la sua grandezza sulla capacità di abbracciare le ragioni di Stato con gli stivali immersi nel sangue altrui, fino ad incarnare le Stato e a guidarlo seguendo le proprie sfrenate ambizioni di grandezza, riscuotendo il credito maturato con la patria nel momento della (doppia) caduta. 

 

 

The Marvels

In quanto pilastro della cultura pop di questa decade, il MCU è motore trainante di un’intera categoria di articoli sul suo stato di salute, ora entusiasti ora disfattisti sulla base degli umori percepiti del pubblico. Oggi siamo nella fase di demolizione e persino quelli bravi, quelli per cui gli ospedali di Gaza smettono di funzionare senza un motivo sufficientemente importante da essere citato, hanno accompagnato l’uscita di The Marvels preannunciando imminente fine della relazione amore tra spettatori e Marvel cinematografica. Nonostante la diffusa aura di disfattismo che l’ha accompagnato, appesantita anche dall’assenza di promozione dovuta allo sciopero degli attori, The Marvels è uno dei migliori film recenti dei Marvel Studios, nonché un ritorno alle formule più semplici dei primi anni. 

(L-R): Iman Vellani as Ms. Marvel/Kamala Khan, Brie Larson as Captain Marvel/Carol Danvers, and Teyonah Parris as Captain Monica Rambeau in Marvel Studios' THE MARVELS.
Photo by Laura Radford. © 2023 MARVEL.

Pur in mezzo a questo diffuso scetticismo e nonostante le diffuse difficoltà produttive, la pellicola diretta da Nia DaCosta è solida, grazie anche e soprattutto all’entusiasta contributo Iman Vellani, la giovane interprete di Miss Marvel. Di sicuro aiuta anche la durata contenuta (un’ora e mezza) e la dimensione auto-contenuta del film, che ovviamente si ricollega al precedente Captain Marvel, ma a differenza dell’ultimo capitolo di Ant-Man riesce a proporsi come un storia indipendente dal suo universo narrativo, e non una mera tessera di un mosaico molto più grande. Senza strafare The Marvels porta a casa una prima parte spassosa, giocata sulla gimmick del continuo scambio tra le tre protagoniste (Iman Vellani, appunto, oltre a Brie Larson e Teyonah Parris) che ne sottolinea la complementarietà, e una seconda parete efficace, nonostante una villain non certo memorabile, giocata sul tema dei sensi di colpa e delle conseguenze. Anche se, con ogni probabilità, The Marvels verrà ricordato più che altro per lo squarcio su nuove lande inesplorate del MCU svelato nella sola scena post credit, oltre che per lo sviluppo narrativo legato al personaggio di Miss Marvel nell’epilogo. 

 

 

Thanksgiving

In tutta onestà, mi ero dimenticato di Eli Roth. Non ho idea di che fine abbia fatto il figlio illegittimo di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez dopo Hostel, ma eccolo riapparire quasi dal nulla (quanto meno per me) con questo Thanksgiving, direttamente da uno dei fake trailer di Grindhouse. Siamo nel classico paesino degli States nella notte del Ringraziamento: l’apertura straordinaria di un grande magazzino per un black friday anticipato provoca un gran numero di vittime nella calca, istigata dalle provocazioni di un gruppetto di ragazzi, entrati in anticipo perché una di loro è figlia del proprietario. Un anno dopo, benché le indagini abbiamo stabilito l’assenza di responsabilità individuali, qualcuno in città sta uccidendo tutte le persone coinvolte nel massacro. 

Il killer di Thanksgiving, di spalle, con un ascia dietro la testa.

Thanksgiving è un onesto slasher , con una sceneggiatura abbastanza solida da non fornire immediatamente allo spettatore la chiave del mistero, ma soprattutto consapevole dei suoi punti di forza. Si viaggia a ritmo sostenuto da un massacro all’altro, tutti fantasiosamente architettati e traboccanti di sangue e interiora, con i protagonisti subito consapevoli tanto di cosa stia succedendo quanto dell’intelligenza dello spettatore. La critica sociale è di grana bella grossa e spessa; nessuno ne esce bene, né il gruppo di bellocci, né il ragazzo più raffinato, ma creepy; tanto il padre (un fantastico Rick Hoffman baffuto), proprietario del Mart e responsabile della scarsa sicurezza di quella notte di offerte speciali, quanto la figlia, critica del privilegio in cui sguazza. Tocca allo sceriffo, un Patrick Dempsey accartocciato per risultare meno ordinario dell’uomo più sexy del mondo, occuparsi di questo imprendibile spirito del Ringraziamento che sta regolando i conti col passato trucidando mezza Plymouth. Oh, Eli, ora non facciamo che non ci vediamo più per altri vent’anni, però. 

Anatomia di una caduta

Al di là del materiale memabile, Un giorno in pretura è un programma sottovalutato: da anni è una finestra su ciò che siamo davvero, sulla più banale quotidianità delle vite di chi in televisione ci entra solo da caso di cronaca. Nonostante la stabile presenza in palinsesto, costi di produzione esigui e ascolti invidiabili, Un giorno in pretura è considerato cultura bassa e dunque ignorato. I francesi invece ne ha preso il format e tramutato in una pellicola capace di vincere Cannes 2023. Hai capito i cugini?! 

Un uomo giace a terra nella neve, intorno a lui macchie di sangue. A destra in piedi una donna e un ragazzino, abbracciati, lo osservano sgomenti.

Sandra, scrittrice tedesca di successo, è intervistata da una ricercatrice universitaria nella sua casa tra le Alpi francesi, dove si è trasferita col marito Samuel, ma la musica altissima proveniente dalla mansarda in cui il marito sta facendo dei lavori costringe le donne a interrompere la conversazione. Quando Daniel, figlio della coppia, torna da una passeggiata col cane trova il corpo del padre nella neve davanti a casa, in mezzo a macchie di sangue. Suicidio o delitto? Sandra è l’unica indagata e il rapporto di coppia diventa materiale di indagine tra le aule di tribunale. Accusa e difesa hanno le loro teorie e prospettive, tutte ugualmente credibili, sulla dinamica della caduta. Attraverso gli stessi angoli di indagine finiscono sul banco delle prove anche le dinamiche di coppia, i litigi urlati, le frasi dette per ferire, la difficoltà ad accettare il maggior successo del partner, la distorsione che si può percepire esaminando due vite da un solo punto di vista, le barriere linguistiche. Dietro il dramma giudiziario (oltre ad una qualità attoriale invidiabile, l’avvocato dell’accusa è un villain maestoso) c’è la nostra ossessione per i casi di cronaca e l’incapacità di decifrare dall’esterno le vite altrui. La sola verità è l’inaccessibilità della verità  oggettiva, tanto nel piccolo di una vicenda familiare, quanto nel grande della nostra esperienza col mondo filtrata attraverso i racconti e le immagini; e il dubbio rimane. 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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