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futurama season 8

Futurama Season 11 (Claudio)

Un bel pezzo di ciò che Players è oggi viene dal (fu) Serialmente (e vale lo stesso per diversi altri siti che leggete abitualmente) e se c’eravate potete immaginare quale sia il nostro rapporto con Futurama. Se non c’eravate potete provare a immaginare che per questioni generazioni eravamo tutti troppo piccolo per capire davvero i Simpsons quando sono sbarcati sulle reti Mediaset e giunti al momento della maturità si sono invertiti i ruoli: i Simpsons sono diventati troppo stupidi per noi. Per anni però abbiamo vissuto nel mito della golden age di Groening vissuta in replica, assorbita fino a renderla trama portante del nostro tessuto culturale e quindi citazione per ogni momento, memetica dell’internet a 56k. Futurama invece era nato per noi, eravamo abbastanza adulti per coglierne la satira sociale filtrata attraverso la fantascienza e sufficientemente maturi dal punto di vista emotivo per apprezzarne anche le sottotrame amorose, tenere e inclusive prima che non volere il genocidio di chi è diverso fosse considerato woke.

Il nostro rapporto con Futurama è andato avanti esattamente come le storie di quel periodo, non ci si è mai davvero persi di vista, è stato bello vederla riapparire nella nostra vita e scoprire grazie alla seconda run del 2008-2013 che non abbia in fondo perso il vecchio smalto. Questa volta invece è stato diverso.

La formula magica di Futurama in fondo è semplice: usa la fantascienza per immaginare l’estremizzazione futura di tendenze odierne e poi ci aggiunge l’umorismo, a volta di grana grossa, a volte passato attraverso il setaccio della critica sociale. L’ultima stagione di Futurama sembra aver perso il primo talento: non c’è più molto di futuribile sotto la patina di robot e macchine volanti, la società degli anni ‘3000 è diventata un mero riflesso della nostra. Gli autori hanno certo tante attenuanti; il mondo di oggi viaggia a una velocità decisamente superiore rispetto a quello di anche solo 20 anni e le idee invecchiano in un lampo; inoltre là fuori c’è una complessità molto più difficile tanto da districare quanto da deridere senza rischi di alienarsi fette di stramboidi (che comunque fanno parte del pubblico, i CEO questa roba ce l’hanno ben chiara).

A tratti però pare che Futurama ormai non ci provi nemmeno a guardare il domani e il quinto episodio incentrato intorno alla perfida Momazon ne è un esempio brillante. Quel che è peggio, è come se oggi avesse paura di prendere posizione su temi spinosi e allora episodi come Rabbia Contro il VaccinoZapp Viene Cancellato diventano così un tentativo di svicolarsi da questione spinose facendo passare ogni opinione come parimenti stramba. Per fortuna che qua e là qualche sprazzo di ciò che Futurama ha saputo essere emerge ancora, come nell’ultimo episodio che riprende la tradizione metafisica della serie. Per il resto il sapore è troppo quello di dimenticabile umorismo democristiano, che a memoria non ha mai fatto ridere nessuno.

loki season 2

Loki Season 2

La TVA rischia di essere cancellata per sempre. Terrificante, vero? Ecco, appunto. Tutta la seconda stagione si avvita sullo scongiurare un evento catastrofico che di fatto si traduce in un enorme sbadiglio cosmico. I protagonisti corrono avanti e indietro nel tempo, saltano di là e di qua per trasmettere una concitazione, un senso d’urgenza per qualcosa che davvero non potrebbe interessare meno. La parte peggiore è vedere uno spreco di talento e di potenziale come il binomio Loki/Hiddleston che avrebbe meritato ben altro, una storia più originale e interessante, una scrittura più avvincente e meno scontata, insomma qualcosa che sfruttasse l’enorme appeal di un villain atipico che si era fatto amare come pochi, grazie anche all’espressività di Tom Hiddleston che aveva dotato il personaggio di fascino e stratificazione, ma che in questa seconda stagione è limitato a un continuo aggrottamento di sopracciglia per trasmettere preoccupazione o tristezza, di e per cosa è irrilevante, come tutto ciò che accade. In definitiva, la seconda stagione di Loki sembra un rip-off di Doctor Who e di tutte le declinazioni del “wibbly wobbly, timey wimey stuff “che abbiamo già conosciuto nella serie inglese.

La speranza è che con questa seconda stagione Tom Hiddleston sia finalmente libero dalla Marvel e da un personaggio che dopo avergli dato tutto, ha iniziato a togliere restringendo le possibilità di essere altro sul grande schermo.

questo mondo non mi renderà cattivo

Questo Mondo Non Mi Renderà Cattivo

“Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone” scrive Calvino e credo sia un’intuizione calzante anche per gli esseri umani. Ci viene sempre consigliato di non pensare per negazioni, di indirizzare la nostra attenzione verso ciò che vogliamo piuttosto che concentrarci su quello che non vogliamo eppure in grammatica due negazioni affermano, e il dire “no” sottende un potere tutto speciale, quello di creare un argine, una separazione, tra noi e quello che riconosciamo come da respingere. Comprendere cosa va contro ciò che sentiamo nel nostro io più profondo è fondamentale per capire quale forma dare alla nostra esistenza: noi siamo anche l’assenza di quello che non ci appartiene e che rigettiamo come altro da noi.

In Questo Mondo tutto si oppone a qualcosa, la periferia geografica all’inesorabile marginalità umana che porta a una guerra tra poveri orchestrata altrove per ridurre i cittadini a note di colore locale, perché là dove la persona viene spogliata della sua soggettività politica diventa facile innescare un distraente scontro tra chi ha poco e chi ha nulla. Sarah si oppone alla condanna di essere colei che porta la luce dell’illuminismo etico e morale nelle coscienze altrui a un costo che però è la sola a sostenere. Zerocalcare si oppone all’inedia maligna che spinge a restare sul divano aspettando la chiamata del destino, al lassismo istituzionale ma, soprattutto, si oppone alla forza più potente che ci sia in natura che non è l’amore, non è l’odio, ma è il senso di colpa: lui ce l’ha fatta, la periferia è per Zerocalcare una scelta non una inevitabilità, a queste condizioni può ancora essere tutt’uno con le cause in cui crede, e sta comunque facendo abbastanza? La risposta la fornisce Secco: spesso ci sentiamo più importanti rispetto a come ci percepiscono gli altri che vanno avanti come sanno e come possono indipendentemente da noi, proprio come fanno tutti i personaggi che si radunano per presidiare ciò che appartiene loro, nel caso di Questo Mondo un angolo di sopravvivenza etica, umana e politica.

La formula scelta è un meccanismo perfetto in cui i tropi narrativi dell’interrogation montage e dell’interrogation flashback consentono flashback, appunto, con l’obiettivo telescopico che si modula per mettere a fuoco episodi e riflessioni a distanze più o meno ravvicinate nel tempo, permettendo digressioni per presentare, elaborare e dislocare elementi che concorreranno a creare il quadro d’insieme. Una persona con meno talento e credibilità sarebbe risultata cinica e pedante, oltre che egoriferita, soprattutto nell’espressione di un prodotto artistico in cui è impossibile procedere con la mitologica divisione tra opera e artista. Zerocalcare, però, oppone alla deriva saccente una riflessione messa in campo con chirurgica onestà, oltre che attraverso la consueta disincantata ironia di chi conosce i suoi polli e nello spiegare sé stesso (perché utilizza “nazista” anziché “fascista”, per esempio), in realtà procede a illustrare l’auspicabile metodologia da impiegare per arrivare a formulare un’opinione informata e agire di conseguenza.

A trovare il pelo nell’uovo, il fatto che venga data voce in extremis ai rifugiati indesiderati, sballottati da un punto all’altro come se fossero scorie radioattive, è troppo poco per smarcare quelle persone dall’essere poco più di un plot device per parlare di altro.

Per chiudere con un’altra citazione: “If nothing we do matters, then all that matters is what we do” e come vediamo accadere in Questo Mondo non mi Renderà Cattivo quello che facciamo è sempre resistere a un deserto di disumanità che sempre più spesso ci si oppone.

Beckham

David Beckham è l’ex golden boy del calcio inglese: bello e conteso per le campagne pubblicitarie come un modello, capace di smuovere folle adoranti come una rockstar, trend setter al punto che ogni nuovo taglio di capelli fornisce materiale su cui scrivere per settimane e, per i tabloid inglesi e i professionisti del gossip, un personaggio con l’appetibilità da membro della famiglia reale. Nel 1992, con la nascita della Premiere League ecco nascere anche una nuova tipologia di campione: la superstar, e David Beckham è stato il primo e il più eclatante rappresentante di questa nuova categoria.

Nelle quattro puntate il documentario diretto da Fisher Stevens deve rendere conto di tutti questi aspetti dell’atleta facendo in modo che l’appeal da star hollywoodiana non fagociti quello che è Beckham prima di essere tutto il resto, incluso il marito di Posh Spice, ovvero uno straordinario talento del calcio. Il titolo Bend It Like Beckham del film del 2002 si riferisce proprio a uno dei talenti più peculiari del giocatore, quello di imprimere alla palla una traiettoria curva che gli consente in entrare in rete anche dai calci d’angolo, anche aggirando la barriera.

Il documentario ci mostra tutto questo attraverso le interviste allo stesso Beckham, ai suoi genitori, amici, all’ex storico allenatore che lo ha visto crescere, sir Alex Ferguson, e naturalmente attraverso le parole di Victoria Adams perché la storia dell’uno è inevitabilmente anche la storia dell’altra. Ma è da subito evidente il taglio che si è voluto dare: I Beckhams hanno subito delle ingiustizie che hanno lasciato il segno e sono qui sia in cerca di un’elaborazione catartica, sia per puntare il dito contro.

Se il rapporto conflittuale con il padre e con Alex Ferguson si mantengono sempre in una condizione di dare/avere – entrambi padri-padrone fondamentali per la crescita del calciatore ed entrambi desiderosi di avere il pieno controllo sulla vita dello stesso – l’ex allenatore della nazionale inglese, Glenn Hoddle, ne viene fuori malissimo: nel momento di massima fragilità del giocatore, un rosso rimediato durante i mondiali del 1998, Hoddle ha offerto alla stampa e a un’intera nazione già sul piede di guerra contro Beckham un capro espiatorio per la sconfitta. Victoria Adams a tal proposito: “You’re a kid at 23. Glenn Hoddle was a man. I wouldn’t say a man actually, he was an older person“. In quel momento storico Beckham è stato l’uomo più odiato d’Inghilterra e il calciatore riflette su quanto tutto ciò che ne è conseguito abbia pesato sulla sua condizione psicologia ed emotiva di allora, in un momento in cui era tabù parlare della salute mentale. Beckham parla di questo e di tutto quello che è venuto dopo, delle sue scelte professionali, della transizione da ragazzo a uomo e padre di famiglia, degli anni nel dream team del Real Madrid, dell’esperienza losangelina e di come l’attenzione mediatica e l’ossessione per il suo matrimonio da parte della stampa hanno quasi messo a rischio il matrimonio stesso. In definitiva, nonostante il campione non abbia avuto il director’s cut sul prodotto finale, David Beckham con questo documentario firma l’editoriale sulla sua vita.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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