Ovvero: se ascoltando The Love You Save dei Jackson Five non riuscite a non tenere il tempo, vi meritate il diritto di stilare una Top Five. 

Non so se vorrei incontrare un uomo come Rob Fleming. Non perché non mi piacerebbe, ma perché mi somiglierebbe troppo. E la grandezza del primo Nick Hornby sta proprio lì: tratteggiare con la sua penna la figura di un trentacinquenne comune. Come nel 1996, anche ora. O almeno, di molti dei trentacinquenni che conosco. O anche, perché no, dei trentenni. Scrivo questo articolo il giorno di Pasqua e oggi, durante il pranzo con tutta la famiglia, uno dei vecchissimi zii (uno a cui i problemi di Rob Fleming, a trentacinque anni, avrebbero fatto il solletico) mi ha detto, così, dal nulla: “Alla tua età, mia mamma aveva già sei figli”. Ecco, da lì in poi la bottiglia di Sauvignon non si è più spostata dalla mia visuale. E penso di aver tratteggiato facilmente la figura di una trentenne (o quasi) del 2015, che poco si scosta da quelli di venti anni fa. Gli stessi che hanno letto – e amato – questo libro. In effetti, vent’anni sono tanti, ma alcuni libri – vivaddio – invecchiano bene. Anzi, alcuni romanzi riescono a rimanere contemporanei. E Alta Fedeltà è uno di questi. 

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Come si fa quando si è grandi, quando si è maturi? Alla fine – e bravo chi l’indovina – tutto si risolve in una maldestra collisione in mezzo al soggiorno. Io mi alzo in piedi per andare al gabinetto, lei dice che mi fa strada, sbattiamo l’uno contro l’altro, io l’agguanto, ci baciamo, ed eccomi di nuovo nel regno della nevrosi sessuale. 

Storiche sono le Top Five, con cui Rob cerca di dare un senso alle cose che gli accadono, agli avvenimenti della sua vita. Una, su tutte, quella che apre il romanzo:  le cinque più memorabili fregature di tutti i tempi. Ovviamente stiamo parlando di fregature ricevute da parte di una donna. Chi di noi non vorrebbe avere la possibilità di bussare alla porta delle sue ex, quelle che hanno contato davvero, quelle che in qualche modo hanno dato una direzione alla tua vita sentimentale e che, guarda caso, non riesci a dimenticare e a volte nemmeno a perdonare? Molti di noi vorrebbero farlo. Io ne avrei sicuramente un paio, di ex, a cui chiedere spiegazioni. (Anche se devo ammettere che non vorrei mai che si presentasse alla mia porta qualche ex che sostiene che gli abbia spezzato il cuore, ma questo è un altro discorso). 

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Snob, pop, con un eleganza british che provoca piacevoli brividi lungo la schiena – soprattutto se non si riesce a rimanere indifferenti al groove dei pezzi prodotti dalla Motown e altre storiche label, quelle che Rob tanto ama – “Alta Fedeltà” non è un libro che può piacere a tutti, questo è certo, ma non perché sia datato. Non è questione d’età, è questione di gusto. E il gusto o ce l’hai o non ce l’hai. Come conferma Barry, il commesso del negozio di Rob, quando strapazza quel povero potenziale cliente solo perché questi chiede I Just Called To Say I Love You di Stevie Wonder. “Che male ti ha fatto?” chiede il protagonista, dopo che l’uomo ha lasciato il negozio. “Lo sai che male mi ha fatto. Mi ha offeso col suo terribile cattivo gusto“, risponde Barry.
Amo questa scena nel libro, e mi piace molto anche nel film, che non ha la stessa potenza del romanzo (ed è ambientato a Chicago e non a Londra), ma c’è un John Cusack in stato di grazia e un Jack Black da manuale. Insomma, il film è godibile. Ma torniamo alla versione cartacea, l’originale. 

Leggero, a tratti frivolo, ma con stoccate di bruciante profondità, è un romanzo che si legge con facilità, ma che in qualche modo riesce a lasciare il segno. E non solo per gli amanti della musica, che è il punto fermo dell’intera opera, nonché l’unica certezza del protagonista. Ma per quello che racconta.

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Sembra quasi che se metti la musica (e i libri, probabilmente, e i film, e il teatro, e qualsiasi cosa procuri emozioni) al primo posto, non riuscirai mai a chiarire la tua vita amorosa, e non arriverai mai a considerarla come un prodotto finito. Ci troverai sempre qualcosa da ridire, starai sempre in subbuglio […] Forse noi viviamo troppo protesi verso un apice, dico noi che assorbiamo emozioni da mattina a sera, e di conseguenza non riusciamo mai a sentirci semplicemente contenti: noi dobbiamo essere o disperati, o al settimo cielo, e questi sono stati d’animo difficili da raggiungere in una relazione stabile e solida. Forse Al Green è responsabile di molte più cose di quante mi sia mai reso conto. 

Insomma, Rob Fleming di poco si discosta dai suoi coetanei di adesso. Sfido qualunque trentenne di oggi (attenzione, della categoria a cui appartiene il protagonista: non sposato, lievemente immaturo, sicuramente egoista ma colto, brillante e dotato di personalità) a non riconoscersi nel ritratto tracciato da Hornby. Quindi no, Alta Fedeltà non è assolutamente fuori moda. E’ una piccola pietra preziosa – sebbene leggera – che cela al suo interno alcune pagine che riescono a dare un senso all’incertezza in cui noi trentenni (ci) siamo calati.
E adesso andate su Spotify o YouTube e ascoltatevi It’s a good feeling di Smokey Robinson & The Miracles. 



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1 Comment

  1. Secondo me sì, è o può essere ancora lo specchio di una generazione. Le tematiche affrontate dal libro sono e saranno SEMPRE attuali. Mi verrebbe da dire che l’unica cosa che è cambiata davvero è il mezzo per fruire della musica, ma leggo spesso che gli album stanno tornando di moda e quindi…

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