Libri novembre 2020

Le uscite più quotate del mese sono tutti bravi a consigliarle prima, mentre io arrivo dopo a mese concluso e a conti fatti, con i titoli esplosi con il passa parola o i cult nascosti nella loro piccola nicchia. In questa rubrica tiro i conti del mese letterario appena trascorso, elencandovi i titoli che, passato l’incanto della novità del titolo e del profumo della carta appena stampata, ho finito per sfogliare e leggere per davvero (talvolta per intero) a novembre 2020. libri di novembre 2020

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Il diavolo e l’acqua scura

“Volevo creare una di quelle storie alla Agatha Christie in cui, alla fine, ci si ritrova in una stanza e si rivela chi è l’assassino”. Non fa mistero dello proprie ambizioni Stuart Turton, il giallista del momento, né Neri Pozza occulta minimamente il tentativo di associazione grafica d’idee con la copertina di Il diavolo e l’acqua sporca.

I toni verde petrolio, le texture e i livelli sbalzati da libro game in copertina vi hanno ricordato Le sette morti di Evelyn Hardcastle (tra i nostri libri del 2019, ndClod)? Missione compiuta Neri Pozza! Questo infatti è il secondo (possente) tomo firmato dall’autore, che si rivela ben più ardito nel concetto di “omicidio in crociera” della sua musa. Dimenticate sonnacchiose crociere sul Nilo; stavolta il cadavere spunta su un veliero carico di spezie che dalle Indie orientali attraversa gli oceani verso Amsterdam nel XVII secolo. Presenza demoniaca o diabolico complotto? Con le sue 500 e passa pagine di enigmi e colpi di scena, Turton tenta il colpaccio: avvicinare il pubblico di Wilbur Smith senza perdere quello della Christie. Sempre più in odor da Ed Sheeran dell’editoria inglese, contando che è il suo secondo romanzo.

Ogni tanto sono un po’ banale anche io nel consigliarvi letture da recuperare, ma sembra proprio la sfida avvincente in grado di tenervi compagnia per un bel pezzo, senza però rimanere incompiuta col segnalibro a metà sul comodino.

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La danza del nano e altri racconti

Edogawa Ranpo sempre più prezzemolino dell’editoria italiana. Magari non l’avete ancora notato, ma da un paio di anni a questa parte è tutto un fiorire di antologie dei suoi racconti brevi a tema horror, giallo, questo e quest’altro. Saltiamo il passaggio in cui lo comparo a x o y giallista classico occidentale. Se è così gettonato, forse forse Edogawa Ranpo merita di essere l’Edogawa Ranpo di sé stesso: giallista classico giapponese per antonomasia, influenzato dai colleghi occidentali ma poliedrico e versatile per generi e ispirazioni, così da creare uno modo d’essere (giallo) tutto suo.

Qui faccio un po’ le pulci a Atmosphere Libri, sostanzialmente perché sono una personcina che non sa stare zitta nel constatare l’ovvio. Se tutti pubblicano Ranpo, a un certo punto per quanto vasta la produzione di Ranpo finirà no? Ecco. Quindi ecco spuntare volumi antologici che comprendono anche scritti di carattere saggistico a firma dell’autore. Però. Il criterio con cui è messo insieme il volume è tutt’altro che mercenario, tanto che poi alla fine “Dickens il pioniere” è forse il passaggio migliore del tomo. Perché non rivedere un autore che conosciamo attraverso uno sguardo per cui la sua produzione “è cosa altra”?

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Parigi

A Iperborea sembrano pettinatissimi, stilosi e troppo nordeuropei per curarsi di cosa guardino le masse su Netflix di questi tempi, ma l’uscita del volume della collana di The Passenger dedicato a Parigi cade sospettosamente a ridosso del fenomeno Netflix, Emily In Paris. Dopo Berlino, Parigi: si passa quindi dalle nazioni alle capitali? Chissà. Sopprimo qui il mio rigugito polemico su chi meriti cosa e per amor di sintesi postulo che sì, se c’è una capitale europea che a scatola chiusa giustifica l’esistenza di un volume antologico di articoli, saggi, fotografie e spunti su sé stessa, è (l’aura di) Parigi.

Anche se il volume di ripropone di sfatarne i miti, di raccontarla oltre l’aspetto turistico, nella sua multietnicità architettonica e culturale. Come ogni volume sulla Parigi vera, che rinfranca l’allure della Parigi magica. Qualcuno di noi ha mai visto una parisienne berretto nero e baguette sotto il braccio con la french immacolata? No. Ogni volume di questo tipo si promette di raccontarci che Parigi non è così e quella creatura mitologica è la sorellina dell’italiano coi baffoni suonatore di mandolino? Sì. Continueremo comunque a credere in lei e nella Parigi romantica e magica, comprando The Passenger anche solo per la sua grafica e cromia deliziosamente parigine? Che domande. Non sto nemmeno a consigliarlo a qualcuno nello specifico, perché se siete dei piccoli Emily o l’avete già comprato o vi ho già convinto a farlo.

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Atlante dei batteri: Un mondo di bellezza contagiosa

Se il mondo fosse un luogo migliore, mi basterebbe una riga: la fanta-fonte d’ispirazione di Moyashimon di Masayuki Ishikawa . Ahimé, la stragrande maggioranza di voi non legge manga e lo dichiara anche con un certo tono d’orgoglio, per cui ricominciamo.

Amici amanti della non fiction scientifica che l’ironia sì ma la fiction no, ho il titolo per voi. Ci vuole un certo grado di humour sottile per dedicarsi a un tomo tutto sul mondo dei batteri nel 2020 della pandemia, ma per fortuna in casa Marsilio non hanno resistito all’occasione di pubblicare lo scritto del giornalista Ludger Wess, uno che ci rammenta che: “Animali e piante vanno e vengono. I batteri restano.” Il Covid-19 è un virus e già ha dimostrato la nostra scarsa efficienza nella competizione per la sopravvivenza. Sapete invece chi non teme concorrenza? I batteri. Non fatevi ingannare dalla loro nomea paciosa rispetto ai virus, sono delle acque chete che colonizzano ogni angolo della galassia.

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La valle oscura

Bisogna ammettere che in Adelphi sono stati i primi (in Italia) a credere nelle possibilità letterarie del lato oscuro della Silicon Valley. Qualche tempo fa Essere una macchina di Mark O’Connell divenne un titolo chiacchieratissimo, laddove la saggistica a sfondo tecnologico il più delle volte fa alzare gli occhi al cielo a chi è nerd più nelle grafiche delle t-shirt che per interessi e dilemmi morali.

Sempre in questo filone s’inserisce la risata con retrogusto di brivido che Anna Wiener promette di regalare con La valle oscura, che attraverso il suo memoir (il genere più in del momento, non solo in Italia) ****ritrae quotidianità e inquietudini di un sistema economico, aziendale, generale ed emotivo, riconducibile all’era delle start-up. Dovrebbe essere feroce ammonimento, ma è una sorta di felice fallimento: se quelli di cui parli (male) ti applaudono ammirati, ce l’hai davvero fatta? Nel dubbio ha l’abbraccio accademico di Jia Tolentino, firma amatissima dalla Silicon Valley quando ha voglia di essere introspettiva e fare autocritica (cfr. Trick Mirror, altro libro del momento). Consiglio e regalo di Natale facile facile per gli ammiratori di O’Connell. Mi sale sulla punta della penna (o meglio, su quella dei polpastrelli che sfiorano la tastiera) una battuta cattivissima su le ragioni aestethic (seriamente si usa questa parola non ironicamente?) per cui regalare due libri della stessa altezza, dello stesso editore e dello stesso argomento per non turbare l’instagrammabilità della libreria, ma poi sembra che non ve lo stia consigliando, invece sì. (E io ci aggiungo anche La vita segreta, così fate tre, in scala di tonalità. NdCLod)

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Tamarisk Row

Per i categoria bizzarro, se non proprio matto come un cavallo, ma non per questo qualitativamente trascurabile, consiglio sempre di buttare un occhio sulle uscite Safarà, una casa editrice con un catalogo tutto fuorché prevedibile.

Metà delle loro uscite sembrano dettate dal mio subsconscio (ne riparleremo), l’altra metà guardo la copertina e penso “ok, questo non è proprio per me”. Il pregio? La grande capacità di trasmettere un sensazione letteraria nettissima attraverso scelte grafiche molto impattanti. Guardo il cavallo blu che campeggia sul nuovo romanzo dell’australiano Gerald Murnane e penso “mhhhh, questo palesemente non parla a me”.

Tuttavia, a differenza di altri esimi colleghi, sono ancora cosciente del fatto che i miei gusti non dettino i confini dell’apprezzabile in ambito letterario, per cui se amate quel narrativa statunitense dura e pura delle sconfinate distese e infanzie anaffettive e siete disposti a spostarvi di qualche migliaio di chilometri per arrivare nella polverosa Australia in un ippodromo immaginato da un bambino che rappresenta tutto il suo microcosmo…beh, avete già trovato il romanzo che citerete o regalerete, sicuri di stupire tutti i vostri compagni di letture con le vostre scoperte da intenditori.

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Ragazza donna altro

Che fortuna scrivere di uscite letterarie in Italia. Rischio di passare per ricercata citando il romanzo vincitore del Booker Prize 2019, quando nel mondo anglofono tirar fuori Bernardine Evaristo dal cappello a fine 2020 è quasi banalità al potere. Almeno post Booker, perché non siamo mica unici depositari dell’ovvio: basta dire che il Booker questo romanzo l’ha diviso con I testamenti di Margaret Atwood, LOL. Avete notato che il Booker dopo essersi aperto agli Stati Uniti sta diventando via via più inconsequenziale? No? Che vi sia da monito la prossima volta che propongono di fare l’Eurovision in America.

Buon per voi e buon per me, così consigliando questo romanzo in cui un’autrice teatrale afroamericana che finalmente vede sua opera arrivare sul palco al National Theatre di Londra continuo a sembrare così pescatrice di perle. Cara grazia che c’è SUR che fa questi salvataggi in extremis e con queste vesti grafiche stuzzicanti, altrimenti ciao ciao Evaristo, sarebbe ancora materia da lettori avvezzi all’import/export. In due parole: un sacco di persone sono o non sono alla prima teatrale e se ne ripercorrono impressioni, storie e legami con la protagonista. Così a pelle ha una vibrazione A Visit from the Goon Squad (Il tempo è un bastardo), ma in salsa afroamericana e decisamente meno epocale. La faccio troppo facile? Fatemi sapere.

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Così si perde la guerra del tempo

È arrivato quel momento in cui io sfodero un titolo SFF assolutamente spendibile in pubblico e voi alzate gli occhi al cielo e passate al successivo ma no, fermi lì. Dovete sapere che qualche tempo fa io e una notissima Book Influencer di cui non fornirò le generalità ci siamo letteralmente accapigliate via DM su Instagram su questo titolo. Stile catfight tra Bond Girl dell’era Roger Moore, ma con lenzuolate di messaggi al posto dei vestiti sexy strappati in punti strategici. Il motivo? Non eravamo d’accordo sul genere di questa novella scritta a quattro mani. Sì, abbiamo passato 40 minuti a fare l’equivalente di “Azzurro! Rosa! Azzurro! Rosa!” con Così si perde la guerra del tempo nell’infelice ruolo di abito di Aurora. Il tutto in privato, perché abbiamo ancora un briciolo di decenza.

La mia posizione, quella azzurra e riconosciuta dall’universo letterario e non, è che sia un titolo fantascientifico dato che…beh, tutto. L’editore, gli autori, la tematica, la costruzione. La parte fantascientifica ha una costruzione vaga? Beh, non è colpa mia se la gente legge fantascienza e fantastico solo all’acqua di rose, ibridata o scritta da autori che ritengono scrivere SFF sia più semplice che scrivere narrativa “normale”. Volete la fantascienza for dummies? Non venite poi a lamentarvi con me se la costruzione della guerra lungo la linea temporale non è stringente come nella hard science fiction.

La posizione rosa è che sia un romance. Che tenerezza, un mondo in cui un libro con una trama sentimentale è romance, forse l’unico genere con più preconcetti della fantascienza. Perché capito, il romance non ha convenzioni, stilemi, autori e casi editrici di riferimento. Si parla d’amore? Ma allora è romance! Però i romance si leggono, i romance vendono, i romance sono (Emily a) Parigi. Quindi cedo la mia Lione, e vi dico: va bene, è un romance. Non ci credo per mezzo secondo, sia chiaro, ma ci tengo così tanto che diate un’occhiata che va bene, Aurora in rosa, Così si perde la guerra del tempo è un romance. Voi leggete la trama e andate a istinto, perché è il classico titolo “follemente”: o lo si ama o lo si odia, ma follemente.

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Trentatré Haiku

Mi pare abbastanza evidente. Trentatré haiku illustrati bene da Ernesto Morales, grande formato, ottimo regalo, bel libro da tavolino del caffè, ho sempre voluto leggere poesia ma dopo 30 pagine mi fermo. Ecco, trentatré componimenti, ma brevi perché haiku, ce la potete fare.

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NEO La caduta del sole di ferro

Come gli sia venuta a Bussi di scrivere una trilogia young adult distopica ambientata a Parigi sinceramente non saprei, mentre mi è chiarissimo il ragionamento di Edizioni e/o, editore del giallista vivente più amato Oltrape (se per un secondo ci concentriamo intensamente nel dimenticare Fred Vargas). Edizioni e/o ha tirato fuori dal cappello L’attraversaspecchi come primo esperimento fantasy e – oggettivamente – ha fatto il botto. Dove trovare un altro fantasy a prezzo ragionevole con Oscar Vault che si compra di default tutti i titoli vagamente interessanti o premiati del mercato anglofono? Continuando a guardare sul mercato francofono no? Bussi è già un cavallo pregiato della loro scuderia. Il traduttore è sempre Alberto Bracci Testasecca, consentitemi di essere sospettosa.

Impressione? Non venderà un decimo della Dabos. Sapete…manca l’elemento romanc…fantasy contemporaneo. Io però sono moderatamente intrigata, perché le bande rivali di ragazzetti parigini sopravvissuti alla moria generale nella capitale francese con la natura che è qualche passo più avanti di “the nature is healing” è davvero oltre a Emily in Paris (Emily ti esorcizzo, esci da questo post). Sempre meglio che citare Il signore delle mosche, come si fa sempre in questi casi.

Anche solo per il fatto che la capacità di Bussi come scrittore non è in dubbio io dico sì. Sarà anche lui caduto nella trappola del “ma che ci vuole a scrivere un titolo di genere SFF?”. Non ho ancora controllato per bene, ma intendo farlo. Unico particolare che mi indispettisce: il formato enorme del libro. Nel frattempo, se avete piccoli lettori rigolosamente trilogisti a cui volete regalare un titolo al di fuori dell’orbita booktube per fare la figura dei parenti vecchi che regalano cose mai sentite, vi ho già risolto il Natale.

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