La necessaria quanto interessante retrospettiva su Park Chan-wook, presentata all’interno del Florence Korea Film Fest di quest’anno giunto ormai alla sua 15esima edizione, è stata arricchita con una Masterclass che, al netto di qualche domanda meno curiosa e meno specifica, ha rivelato le aspirazioni, i trucchi di mestiere e il peculiare approccio alla materia cinematografica del regista più amato della new wave coreana. La Masterclass, svoltasi all’interno del cinema La Compagnia, è stata moderata da Marco Luceri – coordinatore per la regione toscana del SNCCI (Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani) – e Luigi Nepi – segretario dello stesso SNCCI e docente presso l’Università di Firenze.

La sala, gremita di studenti provenienti da diverse regioni italiane, di critici e giornalisti di settore, è stata raggiunta da Park Chan-wook alle 11:00 di sabato 25 marzo 2017, dove ha avuto luogo un lungo e incalzante dibattito in cui il regista ha messo in fila una serie di risposte precise e articolate, e in coda alla quale si sono rivelate decisive le domande proposte dagli spettatori.

Dopo una breve introduzione tesa a presentare il percorso del regista, in cui non sono mancate le curiosità sulla relazione più intima e personale di Park Chan-wook con il cinema – le prime visioni e l’influenza dei genitori, cinefili intenzionati a impartire un’educazione cinematografica al figlio – si è passati al momento in cui il regista, dopo la folgorazione avuta con la visione The Housemaid (Kim Ki-young, 1960), abbia deciso di intraprendere la strada della regia, ma non prima di affinare le sue conoscenze attraverso lo studio e la pratica. Nonostante le delusioni iniziali Park ammette di non aver mai desistito e, dopo un’estenuante gavetta nelle vesti di critico cinematografico – “non si guadagnava molto con gli articoli e quindi ho dovuto scrivere tantissimo per mantenere la mia famiglia” – di aver finalmente ottenuto i suoi primi riconoscimenti. D’altra parte appare evidente che la sua estrema abilità nel maneggiare la grammatica cinematografica e nell’esprimere in modo fulgido e immediato un’idea, un’atmosfera o un’emozione non possano che derivare da un’attenta analisi dei classici della cinematografia mondiale – tra i suoi punti fermi Park cita La Strada (Federico Fellini, 1954), La Donna che visse due volte (Alfred Hitchcock, 1958) e Il Gattopardo (Luchino Visconti, 1963).

Alla domanda su quali fossero le sue fonti d’ispirazione per la realizzazione di un film, Park ha rivelato quanto l’accesso, la selezione e la trattazione siano molto eterogenei, mettendo in luce un rapporto istintivo e passionale con la quotidianità. “L’idea di Old Boy, ad esempio, proviene dal noto fumetto giapponese. Lady Vendetta si riferisce al caso, visto al telegiornale, di una donna che uccise un bambino, la cui particolarità risiedeva nel fatto che la donna fosse incinta, una cosa che mi ha profondamente turbato. Nel caso di Thirst sono intervenuti più fattori: il primo risaliva ai tempi in cui, da bambino, andavo in chiesa e vedevo il prete che beveva il vino facendomi pensare ai vampiri, mentre il secondo è che ho sempre voluto fare l’adattamento di Teresa Raquin di Zola”. Rispetto all’adattamento di storie scritte o solo sentite, fruite o apprese indirettamente, per Park Chan-wook la difficoltà maggiore risiede non tanto nella costruzione della vicenda, rispetto alla quale opera i necessari tagli e le dovute equipollenze, bensì nella resa dei sentimenti e delle emozioni, ai quali dedica particolare attenzione.

In seguito Luigi Nepi rivolge al regista una domanda sull’elemento del mistero presente nei suoi film, una domanda che forse tradisce qualche perplessità sulla natura del cinema di Park Chan-wook che, più che di mistero, si occupa di perversione, con un’interessante ripartizione tra una perversione negativa, foriera di perdizione e morte, e una perversione positiva, legittimata da spirito d’altruismo e missione salvifica. Park, infatti, risponde che “Il mistero è sicuramente un elemento importante, ma non è ricercato, piuttosto è inevitabile. Penso che non sia un’esagerazione sostenere che il mistero sia un elemento presente in tutti i film, anche se questi non appartengono al genere thriller o horror”.

Riguardo agli aspetti più tecnici della regia, specie attinenti agli elementi della camera script, Park Chan-wook ammette di lasciare poco spazio all’improvvisazione, preferendo ricorrere all’uso di uno storyboard, in cui le inquadrature, i movimenti di macchina e il montaggio sono già preventivamente stabiliti. La cosa, chiaramente, denota un controllo totale del regista cui spetta la prima e l’ultima parola, un coinvolgimento che riferisce un approccio decisamente autoriale: “Nello storyboard c’è già tutto quello che si vedrà a editing finito”. L’aneddoto sul noto long-take di Oldboy chiarisce meglio la questione e rivela che l’esiguo margine di modifica può dipendere dagli attori: “Questa è la scena che ho modificato più volte sullo storyboard perché se all’inizio avevo pensato di realizzarla in sessanta inquadrature, successivamente ho deciso di renderla in un’unica ripresa, anche per andare incontro a Choi Min-sik che era completamente esausto”.

Alla richiesta dei critici circa le differenze esistenti tra il modello produttivo hollywoodiano e quello coreano, Park riferisce coerentemente di aver riscontrato qualche difficoltà nella realizzazione di Stoker (il film statunitense del regista). Per quanto soddisfatto dal risultato, anche grazie alla mole di investimenti e maestranze impiegati, il fatto di aver dovuto sottostare alle direttive della Major lo ha in qualche modo limitato: “In genere, in Corea, il regista ha più potere, quindi è stato un po’difficile rapportarmi con quel mondo. Però, visto che l’obiettivo degli studios era comunque quello di fare un bel film, le nostre discussioni sono diventate estremamente produttive. Il processo è stato stressante, ma il risultato ha rappresentato un arricchimento”.

Le domande del pubblico hanno riguardato perlopiù le relazioni di Chan-wook con l’universo cinematografico tout court. Rispetto al cinema contemporaneo il regista ha espresso apprezzamenti per i colleghi Yorgos Lanthimos e Jeff Nichols, mentre è stata l’amicizia con Bong Joon-ho a rendere possibile il suo coinvolgimento in veste di produttore nel progetto Snowpiercer.

Durante la Masterclass Park Chan-wook ha manifestato una passione e una sensibilità fuori dal comune, atteggiamenti che rendono i suoi film, per quanto non scevri da aberrazioni etiche ed estetiche, estremamente raffinati, in cui la priorità sembra proprio quella di voler rintracciare i legami più viscerali e spirituali dell’esistenza.



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