Cominciamo con il far notare che, ad ottantasette anni suonati, Mr. Eastwood dirige egregiamente film ad alto contenuto di spettacolarità, aggiungiamoci poi che negli ultimi tempi si dedica alla narrazione di fatti di cronaca che hanno un solido riscontro con la realtà quotidiana e terminiamo con il sottolineare che questo 15:17: Attacco al Treno è quasi un istant-movie (genere ad alto rischio nel cinema, tant’è vero che di solito se ne occupano le produzioni televisive…), dato che non sono neanche passati due anni dal momento in cui si verificò l’attacco terroristico in questione sul treno Thalys n. 9364 diretto a Parigi.

Queste considerazioni sono necessarie se vogliamo essere obiettivi con l’ultima fatica filmica di Clint Eastwood. Il film è tratto dal best-seller scritto dai tre protagonisti della drammatica vicenda con Jeffrey E. Stern e adattato in sceneggiatura, da Dorothy Bliskal, ma è proprio il fatto che sia un istant book a limitarne di molto le possibilità di spaziare con la trama avanti e indietro nel tempo.

Tuttavia Eastwood, sceglie comunque di raccontare qualcosa del passato dei tre personaggi (Spencer Stone, Anthony Sadler e Alex Skarlatos) che si sono ritrovati ad affrontare un simile episodio pericoloso e ne sono anche diventati i protagonisti nella versione cinematografica (altra scelta rischiosa e coraggiosa, ma molto coerente con l’Eastwood-style). Ed è proprio in questa scelta narrativa, che occupa buona parte del film che, qualcosa non funziona del tutto. In fondo i tre sono dei ragazzoni che hanno alle spalle ben poca esperienza, vengono dalla middle class repubblicana e dopo le superiori hanno scelto di arruolarsi nell’esercito. Insomma, hanno ben poco di non stereotipato o di interessante da raccontare e finiscono per sciorinarci dialoghi e battute banali, appesantendo di molto la prima parte del film.

Le discussioni più serie sul destino e sulla concezione eastwoodiana (un po’ fatalista) che tutti gli eventi siano determinati dalla grande mozione delle forze sociali ed economiche, in cui l’individuo è incidentale, se non del tutto irrilevante, sono stemperate in scene superficiali, ma generalmente simpatiche (e apparentemente improvvisate) dai ragazzi, che parlano tra di loro o alle persone che incontrano durante il loro viaggio. Il tutto conduce, con abilità e con coinvolgente ritmo di montaggio, avanti e indietro negli eventi che permettono lo scaturire dell’attacco terroristico finale – girato con consumato mestiere e spettacolarità e quasi tutto con camera a spalla – da un regista che ci aveva abituato a ritmi più lenti e a movimenti di macchina contenuti e fluidi.

Attacco al treno, insomma, rilancia questi “veri” ragazzi americani, i “veri eroi” politicamente corretti della nostra quotidianità. Certo non lo fa con la stessa intensità e il sorprendente equilibrio che aveva permesso a “Sully” di diventare un gioiellino cinematografico e, tanto meno con la spontaneità e l’immediatezza del capolavoro, del suo Gran Torino… ciò detto, se non è all’altezza di simili pellicole, è giusto comunque collocarlo nel novero del buon cinema drammatico di matrice hollywoodiana.

E’ chiaro che Mr. Eastwood, al contrario di molti degli stanchi pistoleri che ha incontrato nei suoi western e che sono pronti ad abbassare il cappello contro la luce che illumina il viale del tramonto, non ha alcuna intenzione di lasciarsi andare a nostalgie e rammarichi senili, anzi, per dirla tutta, un po’ del suo spirito eversivo che tanto piacque all’America repubblicana e che certo oggi non dispiace a Donald Trump, ancora traspare nei suoi finali dal riscatto esplicitamente revanchista.

Capiterà dunque che, chi andrà a vedere 15:17: Attacco al treno (Parigi- Amsterdam) senza sapere che sta guardando tre giovani interpretare se stessi con l’intenzione di riproporre il momento del loro valore (e diciamolo chiaramente: per quanto il film sia pubblicizzato, un sacco di spettatori – probabilmente la maggior parte – entreranno in sala senza averne alcuna idea!), finirà con l’assistere ad un docu-dramma che rimane abbastanza convincente, con tre non-attori che assomigliano a star del cinema (sono alti e belli, adatti alle parti), ma che sembrano tutti un po’ insicuri nei loro ruoli. Il che per gente che ha sventato un attacco terroristico di quella portata, alla fine sembra davvero un po’ ironico.



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