Nelle infinite discussioni di politica avute con mio padre durate l’adolescenza, per lo più dopocena di fronte alla coda del TG, ricordo come il mio vecchio sostenesse che la lotta di classe, già colpita dalle bombe nelle piazze, fosse definitivamente finita di fronte allo slogan “Lavorare meno, lavorare tutti”. Sui fondamenti storici di questa affermazione probabilmente ci sarebbe da discutere, ma non è questo il luogo; parafrasando, però, il senso che usciva da quelle chiacchierate infinte è che una volta arrivati a un certo livello di benessere collettivo, la lotta si è frantumata non solo di fronte alle bombe e alla repressione, ma anche di fronte agli interessi particolari, così le battaglie di tutti sono diventate tante piccole battaglie di alcuni, a volte persino in contrasto tra loro. L’argomento è potenzialmente infinito, me ne rendo conto, ma per anni mi sono chiesto perché una riflessione di questo tipo non abbia mai trovato spazio a sinistra. Le conseguenze dell’aver trascurato il tramonto della lotta di classe e i motivi di questo cambiamento (alcuni ben individuabili nelle bombe nelle piazze e negli eventi del 2001 di Genova) sono evidenti nella nostra società attuale e fotografati con lucidissima precisione da Emiliano Pagani e Vincenzo Bizzarri nella loro recente graphic novel, Nemici del Popolo

Lotta di classe, me ne rendo conto, è una formula vetusta in entrambi i suoi elementi: la lotta è ormai sbiadita (soprattutto in Italia, ma il discorso si adatta un po’ a tutto l’occidente) all’inizio del millennio non per caso, mentre quello di classe è un concetto superato anche a sinistra. Si torna un po’ al discorso del mio babbo: nel momento in cui abbiamo iniziato a stare bene quasi tutti, abbiamo iniziato a guardare altrove. Non necessariamente verso il disimpegno (lecito anche quello, per altro), ma anche verso istanze di altro tipo, ambientali o di genere; ma per citare un motto letto spesso di recente, “l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio” e per di più, mentre eravamo in altre faccende affaccendati, arroccati nei nostri privilegi, i diritti conquistati in anni di lotta (di classe, senza dubbio) sono stati lentamente, ma inesorabilmente erosi. È una semplificazione, certo, eppure è un filo logico imprescindibile per capire l’oggi in cui si svolge Nemici del Popolo (che poi è esattamente quello fuori dalle nostre porte). 

L’intuizione, brillante e riuscita, di Emiliano Pagani ( già autore del celebre Don Zauker) al tavolo della sceneggiatura è quella di trasformare le istanze in personaggi. Così c’è Fabio, poco più che ventenne, operaio, calciatore, figlio di Annibale, anche lui operaio nella stessa fabbrica che ha deciso di delocalizzare licenziando tutti, in prima linea nella lotta sindacale davanti ai cancelli. Giulia è la ex di Fabio, lavora in un centro di accoglienza per immigrati poco lontano dalla fabbrica e aspetta un figlio da Fabio. Ora però Giulia sta con Alessandro, carabiniere. Ciascuno incarna più sfaccettature e la coppia Giliua-Alessandro ne è l’esempio più evidente, materializzazione della retorica sull’impegno radical chic e della visione romanticamente pasoliniana delle forze dell’ordine, che Pagani espone senza remore nel mostrare le rispettive fallacie. Poi c’è una pistola, che fa capolino all’inizio del racconto e resta lì, in attesa che qualcuno spari come vorrebbe Checov. Ancora una volta, è una semplificazione, ma efficace, e funziona.

Il tramonto della lotta di classe è stato accompagnato, se non in parte causato, dalla nascita di movimenti che proponevano soluzioni semplici a problemi complessi. Pagani e Bizzarri con Nemici del Popolo mettono in atto invece una diversa forma di attivismo artistico, tanto banale quanto sottovalutata: fornire spiegazioni semplici, comprensibili e radicate nel quotidiano a problematiche complesse. C’è una scena nella prima parte della storia in cui Fabio dice a Giulia, nel pieno di una litigata, che “sembra di essere su una fiction di RAI1”. È un espediente furbo di Pagani, perché in termini di struttura narrativa davvero Nemici del Popolo sfrutta la stessa grammatica della fiction nazionalpopolare, ma con un approfondimento delle diverse e complesse tematiche che attraversano il racconto di ben altro livello rispetto all’appiattimento della prima serata televisiva. (Solo l’ultima scena cede a un sentimentalismo che personalmente apprezzo poco, ma che immagino serva a regalare una prospettiva di speranza in una storia altrimenti solo tragica). 

Il ritmo della vicenda è scandito dalle tavole di Vincenzo Bizzarri che compensa gli sfondi spesso un po’ indefiniti con un tratto realistico attraverso cui fa recitare le figure, su cui di contro spiccano i piccoli dettagli grotteschi che caratterizzano i personaggi: come Annibale con le sue smorfie esagerate nelle discussioni davanti ai cancelli o i denti aguzzi dell’amico di Fabio mosso da una brama feroce. Il tratto di Bizzarri si ingrezzisce poi nelle bozze che intervallano la narrazione, una storia nella storia che introduce un ulteriore livello di lettura. Si tratta della graphic novel fantasy che Mirco, anche lui operaio della fabbrica, ha realizzato e sta cercando di pubblicare. Il rifiuto che riceve è un intermezzo satirico sui meccanismi dell’editoria, ma anche sulla bolla in cui il fumetto italiano si è ritratto per sottrarsi al confronto con la realtà.

Pagani e Bizzarri invece hanno deciso con Nemici del Popolo di farci i conti con la realtà, anche la propria. C’è una lunga sequenza in cui Annibale presenta numerosi suoi colleghi attraverso le velleità coltivate nel tempo libero per evidenziare come la condizione di operaio sia diventata una vergogna da nascondere. Al contempo però è una dimostrazione lampante di una visione del mondo sempre più diffusa in cui il lavoro non è più al centro, né della collettività né della personalità individuale. Se però l’identità collettiva di classe si è disgregata, non è però mutato il rapporto di squilibri tra sfruttati e sfruttatori che caratterizza tutti i conflitti del racconto e della quotidianità oltre le tavole del fumetto: capitale e lavoratori, stranieri e italiani, uomini e donne.

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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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