Una pace raggiunta a fatica, un mondo capovolto e la sensazione di essere costantemente sul filo del rasoio. INDIKA, sviluppato da Odd Meter, è il viaggio di una protagonista trasportata dagli eventi e da un mondo pieno zeppo di incomprensioni e ingiurie, in cui nulla è assolutamente come appare e tutto, pure quello che non penseremmo affatto, è decisamente diverso da come realmente si palesa.  

Questa non è una recensione classica perché, d’altronde, come potrebbe esserlo? È un classico brainstorming che arriva da lontano, dalle sensazioni ed emozioni che si maturano dopo aver letto i testi di letteratura russa ed esserci rimasti sotto per chissà quanto tempo. Cosa che, aggiungo, è accaduto sin da quando mi sono appassionato ai libri e non ho potuto fare a meno di altrettante opere che hanno delineato una parte fondamentale della mia vita.  

INDIKA, rispetto a molte opere presenti sul mercato, dialoga con l’intimità e la passione, con la scoperta e la meraviglia, facendo qualcosa di completamente assurdo: raccontare uno spaccato di vita con capacità e tatto, con amore e dedizione, mentre palesa i drammi umani e dimostra di essere non semplicemente una classica storia scontata. In un mercato del genere, non si è più abituati a riconoscere le opere d’arte per quello che sono davvero: INDIKA, nelle sue otto ore, mette in mostra uno spirito illustre e appassionato, dimostrandosi esattamente questo, un grande capolavoro su cui 11 bit studios ha voluto (giustamente) puntare.  

La suora protagonista di INDIKA inquadrata di spalle mentre procede in un villaggio innevato.

ESSERE UNA SUORA 

INDIKA ha fatto molto parlare di sé per la sua protagonista, una giovane suora che, senza stare troppo a sottolinearlo, si ritrova in un mondo complesso. È la più bistrattata e mal considerata di tutte, bella e innocente, costretta a una vita di rinunce a causa di un pentimento giunto in giovane età, che l’ha portata a dover mutare completamente il suo comportamento, divenendo una persona con un grosso peso sulla schiena, a sua volta talmente tanto invadente da essere sintomo di una brutale sofferenza.  

Senza fare esagerati spoiler, il racconto di INDIKA prosegue su binari brillanti e interessanti, costringendo il giocatore ad affrontare innumerevoli eventi che, diciamocelo, dimostrano evidenti doti narrative. È su questo che il titolo punta molto, più che sul resto: sulla scrittura, un mezzo che in INDIKA, come in altrettante opere destinate a diventare fenomenali, utilizza con cognizione e coscienza di sé.  

Un bambina si muove in uno stagno, intorno a lei un pontile e una barchetta, tutto raffigurato in pixel art.

La storia, lunga sei ore se si vuole prendersela con calma, esplora i patemi dell’animo umano e capovolge le sicurezze stesse di ognuno di noi. In essa è raccontato il pentimento e la paura, ma soprattutto l’ipocrisia della chiesa ortodossa, un movimento che, oltre a schiacciare il pensiero libero, costringe le persone a doversi rifugiare in loro stesse, impedendo agli altri di vedere cos’è realmente reale e cosa, al contrario, è affilato come una spada. Per tutta l’esperienza di gioco, infatti, INDIKA dimostra una maturità senza eguali, riuscendo a tenere incollato il giocatore soprattutto grazie al suo approccio spensierato e libero. Presenta situazioni sopra le righe, poiché la ragazza, mentre avanza nel suo viaggio per consegnare una importante lettera, si ritrova a parlare con il Diavolo, una sorta di grillo parlante che, proprio come Senua di Hellblade, affascina e seduce.  

L’AVVOLGENTE STRUTTURA LUDICA DI INDIKA

INDIKA è un’esperienza che preferisce fare della narrazione il suo massimo punto di forza, limitandosi – anche se il termine risulta riduttivo – a proporre lunghe camminate e un’interazione con gli oggetti che ha attorno. La visuale è alle spalle della giovane, che però muta nel corso dell’opera, come anche alcune scene in cui è costretta a muoversi, mondi generati improvvisamente come se fossero stati plasmati su SNES che cambiano inevitabilmente il senso di tutto e mostrao, inoltre, un interessante spaccato di vita della protagonista.  

Il tutto, comunque, si unisce a un approccio ludico sano e ben implementato, a sua volta legato alla storia, che è il reale filo conduttore dell’esperienza: al suo interno, la ragazza si muove libera e spensierata, mentre approccia enigmi di qualunque genere e affronta situazioni in cui è necessario riflettere accuratamente sul da farsi per farla avanzare nell’esperienza. Certo, ci potrebbero volere alcuni istanti per riuscire a capire come muovere un dispositivo che non ha molta voglia di collaborare, ma ciò che coinvolge e fa brillare è come sia stato pensato tutto quanto, come esso s’incastri e plasmi il giocatore, mentre ogni cosa cambia e muti in base alle scelte del giocatore e alle sue esperienze.  

È questo il bello: un mondo dominato dalla paura e dalla superstizione che, grazie al medium videoludico, mostra intimità e sogno, deliziando il giocatore con un’esperienza che non si vedeva da anni. Ma anche con un’esperienza d’autore e di originalità spiccata che arriva da un team di persone che, lasciando la loro casa, ne hanno trovata un’altra in quei pixel che tanto amano. 

Il game design è semplice, certo, ma perché complicarsi l’esistenza? A volte è necessario preferire altro, qualcosa di più leggero e meno intricato, per emergere e dimostrare di essere realmente importanti. INDIKA ci dimostra che l’uomo può migliorare e cambiare: ecco cosa definisce un vero capolavoro. Un capolavoro che meriterebbe 10 e lode, per quanto mi riguarda. Anche se qua non usiamo i voti, è giusto dirlo al team: siete fantastici.  

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