Trent’anni fa, la Rockstar/Cd Projekt/Naughty Dog dell’epoca, Cinemaware, assurta a leggenda per i capolavorissimi Wings, Rocket Ranger, Defender of the Crown e una serie (Tv Sports) di simulazioni sportive di alto livello, commercializzò uno strepitoso ibrido tra action e strategia intitolato Lords of the Rising Sun. La critica, ai tempi, non lo comprese appieno e il gioco nel corso degli anni è ingiustamente sparito anche dai radar del retrogaming, ma ebbe sul sottoscritto un impatto devastante: assieme ai film di Akira Kurosawa e Yôji Yamada, divenne il manifesto della combinazione Giappone + Epoca feudale, in assoluto il mio preferito tra tutti i “setting storici” possibili.

Erano quindi anni e anni che aspettavo un titolo del genere (puntavo molto su un episodio di Assassin’s Creed, ma sti maledetti hanno visitato tutti i paesi e le epoche possibili tranne questa), e direi che mi è andata bene perché Ghost of Tsushima è de facto un Assassin’s Creed “fatto bene”. Molto bene. Non siamo nel ristretto giro dei capolavori assoluti a-la-TLOU2 (giro in cui c’è solo TLOU2, a ben vedere), e forse nemmeno dei titoli più blasonati e premiati dalla critica (e spesso non dal sottoscritto), ma è una delle migliori esclusive disponibili per Playstation 4 e il gioco “definitivo” per tutti gli appassionati di quel periodo storico.

L’intera operazione trasuda un grande amore e rispetto per il tema/ambientazione/location trattati: in quest’ottica il molto generoso 40/40 di Famitsu non stupisce, visto che di solito il Giappone è spesso maltrattato quando viene rappresentato dagli occidentali (indipendentemente dal medium utilizzato…e comunque anche Cinemaware era stata ossequiosa, vedi i corsi e ricorsi). Affetto per il Sol Levante a parte però, Ghost of Tsushima sa risplendere di luce propria: scorrazzare per il Giappone è affascinante, il senso di progressione soddisfacente, i combattimenti sono sufficientemente appaganti (il top sarebbe stato un approccio alla Bushido Blade, ma era commercialmente impensabile, anche se una citazionicina c’è), la storia è appassionante e dal punto di vista tecnico l’intero pacchetto è confezionato come meglio non si potrebbe. Persino i collectibles, che normalmente evito come la peste, qui paiono avere un senso. Insomma, dal pur non disprezzabile Infamous, i ragazzi di Sucker Punch sono cresciuti parecchio e il lungo tempo dedicato allo sviluppo del gioco è stato ben utilizzato.

Leggendo le recensioni in giro per la rete, ho notato che in molti si sono concentrati sul fatto che il gioco non presenta reali innovazioni (nè in temini di meccaniche ludiche, nè di altro genere) né è caratterizzato da una ostentata autorialità (Sucker Punch non ha certo lo stesso “peso” di Rockstar o CD Projekt (per tacere di Tusaichi) e può quindi essere maltrattato (vedi la risibile questione dei sottotitoli, sistemati in men che non si dica) senza che si levino gli scudi. In realtà Ghost of Tsushima potrebbe insegnare parecchie cose a chi produce open world, sia in termini di accessibilità che di immediatezza e non stupisce troppo che fallisca proprio quando vuole emulare o scimmiottare i poco pragmatici esteti del medium (un esempio su tutti: il vento che dovrebbe indirizzare il giocatore sui diversi obiettivi non serve quasi a nulla, visto che chi ha uno scarso senso dell’orientamento ricorrerà comunque alla mappa), ma in linea di massima trattasi di dettagli trascurabili.

Insomma: come canto del cigno di PS4, Ghost of Tsushima è davvero tanta roba, non può dirsi il primo della classe in nessuna delle singole parti che fanno un videogioco, ma il risultato globale è nettamente al di sopra della mera somma dei singoli componenti. Gloria quindi a Sucker Punch e, per me, almeno 100 ore di gioco garantite.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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