Per quanto oggi si stia occupando prevalentemente di interpretare movimenti bislacchi da parte di gente per lo più turbata, il gruppo di sviluppatori conosciuti come Rare gode ancora di quel glorioso alone di intoccabilità mistica attribuibile solo a chi ha scritto pezzi di storia del videogioco.
Con tale pesante fardello i Retro Studios, graziati nel curriculum dal miracoloso ripescaggio metroidiano, hanno dovuto affrontare la realizzazione del nuovo Donkey Kong, l’ultimo platform prodotto da chi, tra i grandi nomi del panorama attuale, i platform li sa ancora fare.

Ben distante dalla coraggiosa riproposizione che vide Samus guadagnare un’intera dimensione spaziale, Donkey Kong Country Returns si configura come un vero e proprio seguito in linea con la trilogia passata. Gli adeguamenti meccanici necessari a renderlo fruibile al giorno d’oggi sono prevedibilmente da ricercarsi nel sistema di salvataggio (ora automatico alla fine di ogni livello) e nella presenza di segreti che vanno al di là del seriale reperimento di vite extra.

DonkeyKongCountryReturns

L’immaginario estetico pennellato dai Retro non si discosta dagli standard della serie o dai canoni del genere: a un contesto per lo più tribale si va a sostituire ora il tempio antico, ora la miniera abbandonata, ora le assi scricchiolanti di un galeone o le profondità roventi di un vulcano. Per quanto alcune scenografie prestino il fianco a una ripetizione concettuale (dopo il setting “foresta” compare quello “giungla”), l’impressionante modellazione di ogni elemento in scena rimane solo un lodevole contorno alla splendida varietà di situazioni e acrobazie richieste per guadagnare il traguardo di ogni segmento.

Il sapore amarcord dell’opera è garantito, oltre dalle eccellenti musiche remixate dai precedenti episodi, dal valore citazionistico di alcuni ritorni come Cranky, il rinoceronte Rambi, e le scorribande sui carrelli minerari. Per contro stupisce l’assenza di alcune caratteristiche tipiche della serie come i livelli con illuminazione dinamica, quelli subacquei o la possibilità di controllare personaggi aggiuntivi; sebbene Kong possa sin dai primi momenti contare sull’aiuto di Diddy sotto forma di energia aggiuntiva e comodo Jetpack, sarà solo con la presenza contemporanea di un secondo giocatore umano che il giovane scimmiotto diventerà giocabile a tutti gli effetti.

La puntualità straordinaria di ogni singolo elemento messo in gioco risulta evidente affrontando un livello in modalità time attack, dove si potrà constatare il certosino posizionamento di ogni elemento per fare in modo che il giocatore sfrutti ogni rimbalzo sul nemico, salto millimetrico e rotolata per arrivare in fondo senza quasi mai arrestare la sua corsa. Una sfida completamente accessoria ma che garantisce ore di studio, impegno e divertimento aggiuntivo a chi voglia scavare a fondo nell’impegno profuso dai Retro Studios.

A tal proposito non si può non ritenere fallimentare la scelta di rendere obbligatorio l’utilizzo di input motori nel controllo del protagonista. Per quanto si lotti con le impostazioni, non si troverà nel menù una configurazione che permetta di eludere la necessità di agitare il wiimote per eseguire alcune elementari azioni (come la corsa), a completo detrimento della precisione richiesta in alcuni millimetrici passaggi.

In più, nell’epoca del quick-save tornare ai checkpoint dilatati, al trial & error forsennato e a quel dannato contatore delle vite, decrescente anche in misura di 10 o 15 per livello quale inesorabile manifesto della propria inadeguatezza, non è un’esperienza facilmente digeribile da chiunque. Ciò nonostante Donkey Kong Country Returns riesce nello straordinario intento di nascondere la sua peluria brizzolata sotto una cortina di eccellente qualità, diventando quindi un’ulteriore tacca nella lista di successi di Retro Studios, gruppo americano nelle origini, giapponese nel mestiere, e profondamente Nintendo nel cuore.



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Paolo Savio

Conosciuto anche come "Wis", è un cantante mancato, un chitarrista fallito, un prestigiatore deluso, un videogiocatore frustrato… ed un eccellente tuttofare. Attualmente scrive su Players e delira su “Wiskast: il podcast per videogiocatori gourmet”.

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