Leggi la prima parte dello speciale su Takashi Miike QUI.

Tom Mes, noto critico cinematografico e unico essere umano certificato ad avere visionato ogni singolo lavoro di Miike, era il nostro Messia. Il suo volume, Agitator – The Cinema of Takashi Miike, il nostro Vangelo. Poi successe l’inaspettato: il nostro piccolo segreto divenne il piccolo segreto di tutti. Miike faceva il cammeo in Hostel, Miike veniva invitato a Venezia e a Cannes, Miike veniva omaggiato con una mega retrospettiva a Torino. Mi ricordo perfino un articolo su Ciak, rivista che aveva nel nostro piccolo mondo di archeologi dell’assurdo cinematografico lo stesso effetto di una corona d’aglio in un convegno di vampiri.

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Cosa sarebbe successo? Infilare una scena dove una prostituta viene affogata in una piscinetta piena di feci in film a bassissimo budget è una cosa (Dead or Alive), pensare a una trovata così “colorita” proiettata a un Festival di caratura internazionale è un’altra. Ecco allora nascere il Miike autore. Arriva l’iperviolenza carica di significati di Izo, l’amore queer di Big Bang Love Juvenile A, il blockbuster finanziato dagli intellettuali nipponici The Great Yokai War.

Tre titoli che avrebbero lanciato chiunque nell’olimpo dei registi da tenere d’occhio, se non addirittura in quello dei grandi. Ma non Miike. Agli occhi del suo nuovo pubblico lui ormai era il regista preferito di Eli Roth e Tarantino, quello che fa i film dove succede di tutto. E allora ha più risonanza il suo episodio in Master of Horrors che tutta la seconda parte della sua carriera. Chi Miike lo conosce bene, legge in quell’oretta di prodotto televisivo un urlo di rabbia (“Volete ancora gli spilloni? Allora eccovi gli spilloni!”), tutti gli altri sbrodolano. Da questo punto di vista il punto più basso raggiunto dal Nostro è il remake di Django, un polpettone farcito di tutte quelle cose che le nuove legioni di fan gli chiedono.

L’obbligatoria marchetta del Taranta – tanto per avere il bollino di certificazione “cool” -, la violenza stilizzata, l’umorismo metacinematografico… Non a caso il film è un disastro. Ben lontano dagli ossequiosi remake che il Nostro è solito girare dei film a cui è realmente affezionato (vedi il magnifico e livido The Graveyard of Honour del Maestro Fukasaku e la prima parte di 13 Assassins, anche se qui tutti paiono ricordarsi solo delle mucche in fiamme).

La seconda vita di Takashi non trova una sua direzione. L’ex teppista di Osaka, il ragazzo che sognava di diventare un campione di motociclismo avviatosi alle produzioni televisive solo per i requisiti infimi dell’annuncio di lavoro, doveva rimanere lo spauracchio dei censori. Ma uno scavezzacollo (negli Stati Uniti lo definirebbero daredevil) come il nostro non riesce a stare fermo e decide di reinventarsi Re Mida del botteghino. Parte in prima con la trasposizione cinematografica del videogame Yakuza, ribattezzato per l’occasione Like a Dragon e ancora ben imbevuto del suo strano umorismo iconoclasta, per poi perdere ogni freno inibitore con il filotto seguente. Yatterman, i due Crows Zero e (solo parzialmente) l’ultimo Ace Attorney sbancano il botteghino nipponico.

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La ricetta è semplice: attori e attrici magnifici (nel senso puramente estetico, i ricordi della iperbolica coppia Riki Takeuchi/Show Aikava sono ormai persi), una forte matrice manghesca/videoludica, franchise imbattibili e una regia che non fa fatica a spazzare i mestieranti solitamente adibiti a queste operazioni. Difficile pensare che una combo simile non attiri gente al cinema. Anche perché, seppur nella loro quasi mediocrità, i film in questione sono effettivamente belli. Soprattutto i due Crows Zero riservano un pugno di scene epiche, gasanti come pochi prodotti del filone school-rumble sono stati riusciti a essere. A pensarci bene “C’era una volta Miike” è un titolo quanto mai fuorviante: l’unico esponente di quella scuola iperviolenta (a cui lui stesso aveva dato il via) a essere rimasto in attività è lui.

La scuola francese pare essersi dispersa al vento, così come quella spagnola. Del capomastro Roth ci si ricorda solo il ruolo in Inglorious Basterds. Pensare di vendere oggi come oggi un film basandosi solo sulla quantità di frattaglia sparsa lungo il suo metraggio è come dichiarare di essere rimasti indietro cinque anni, ai tempi dei cartonati di Martyrs al multisala. Quello che pare andare per la maggiore paiono essere solo trasposizioni da altri linguaggi. Un po’ realistiche, un po’ ironiche. Sulla falsariga dei Vendicatori. O, se volete, di tutto quello diretto da Miike dall’epoca delle bolla torure porn a oggi (puntate di Ultraman comprese). La verità è che Miike non se ne è mai andato. Semplicemente è già arrivato alla prossima tappa del cinema popolare. Ecco perché non lo vediamo più.

Questo speciale è tratto da Players 19, che potete scaricare gratuitamente dal nostro Archivio.



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