Katsuhiro Otomo nasce il 14 aprile 1954 nella prefettura giapponese di Miyagi e fino all’età di diciannove anni, rimane stabile nella zona rurale di Tome-gun a qualche centinaio di chilometri da Tokyo. La sua più grande passione, fin da bambino, è il cinema. Vivendo in una piccola città, per vedere i film americani, i suoi preferiti, deve viaggiare per ore per raggiungere la sala più vicina e poter sognare davanti allo schermo. Tra le pellicole preferite ci sono Easy Rider, Gangster Story e Butch Cassidy. Chissà, forse proprio le scene di quei film, legati al tema dell’abbandono del proprio luogo natale per cercare fortuna altrove, spinsero il ventenne Otomo ad andare a Tokyo, per provare a vivere di ciò che sapeva fare meglio: disegnare fumetti.
Otomo si trasferisce dunque nella capitale giapponese dove intraprende la carriera di mangaka, cominciando a pubblicare storie brevi per varie riviste minori. Il suo primo fumetto importante risale al 1980, richiede quasi quattro anni di gestazione e si chiama Domu-Sogni di bambini.

Domu 2

La parola Domu, il titolo originale, è una sorta di neologismo che unisce due vocaboli giapponesi: Do, ovvero bambino, e Mu, sogno. Si spiega dunque il sottotitolo Sogni di Bambini dell’edizione italiana. Ma avrebbe potuto essere altrettanto pertinente se fosse stato al singolare, come nelle edizioni anglofone, o addirittura “Sogno bambino”. Quello che colpisce del titolo originale Domu è la sua assonanza con il latino domus, cioè casa. Una vicinanza fonetica e concettuale sicuramente non casuale: la casa è assoluta protagonista. Una casa intesa in senso letterale, costituita da una serie di imponenti edifici metropolitani che irrompono all’improvviso, come un colpo di scena, a poche pagine dall’inizio. Per Otomo i luoghi, le ambientazioni delle vicende, sono parte attiva della narrazione di fatto tanto quanto le vicende stesse che racconta.Domu 3

Il caseggiato sembra trovarsi nella periferia di una imprecisata metropoli giapponese e tra le sue mura avvengono, da ormai diverso tempo, strani suicidi. Il fenomeno comincia a diventare grande, il numero delle morti non può più essere ignorato e quindi la polizia apre un indagine. Questa è solo la sinossi di una trama che non approfondiremo oltre, se non per dire che parte come un thriller qualunque, ma ben presto lascia la strada classica per deviazioni nel sovrannaturale e nell’onirico, anticipando moltissimi dei temi della produzione futura dell’autore.

Introducendo qui per la prima volta nella sua produzione il tema dei bambini e dell’infanzia, Otomo riprende uno dei temi più tradizionali del fumetto giapponese. In Domu i bambini giocano, sognano, stanno insieme, mentre i grandi vivono le loro adulte solitudini, schiacciati da una realtà che spesso comprendono ancora meno dei più giovani.
Quello che vale la pena sottolineare, al di là di tutto, è l’uso che Otomo fa del linguaggio fumetto, ibridandolo con il cinema in una maniera del tutto nuova. Realmente inquietante ed illustrato splendidamente infatti, Domu è realizzato con una grande attenzione per la costruzione della tavola e la scelta delle inquadrature, alternando nel giro di poche vignette, campi lunghi a dettagliatissimi primi piani (ci sono pochi autori in grado di rendere i visi con la stessa pulizia e forza espressiva di Otomo). Così come è interessante l’uso del montaggio alternato di sequenze che si sviluppano in momenti diversi, con cui l’autore riesce a ricreare perfettamente nel fumetto la tensione del racconto, rifacendosi direttamente a un certo cinema di genere.

Domu 1

 

Ho scritto Domu perché volevo scrivere un film. E’ come lo storyboard di un intero film. In qualche modo ho già fatto il film di Domu

Questo è il commento pronunciato da Otomo qualche anno dopo la realizzazione di Domu durante un intervista, in risposta alla domanda sulla possibilità di trasportare l’opera sul grande schermo. Nel guardare tutta la sua produzione artistica, è fondamentale comprendere il suo amore per il cinema. Non c’è probabilmente nessun altro autore giapponese di rilievo che sia così palesemente debitore nei confronti della settima arte. Si potrebbe quasi dire, in maniera sicuramente un po’ azzardata ma non impensabile, che molti dei suoi fumetti, non sono stati altro che un modo per provare a “fare cinema” senza avere davvero i mezzi per farlo. Che sia così o meno, questo suo modo cinematografico di pensare il fumetto ha rappresentato un assoluta novità e un importante passo avanti all’interno del fumetto giapponese e non solo. Certo, in seguito verrano Akira e il relativo film, Memories, collaborazioni prestigiose e tante altre cose, ma queste sono altre storie. Storie che probabilmente, nemmeno esisterebbero se nel 1980, non fosse uscito Domu – Sogni di bambini.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
,
Similar Posts
Latest Posts from Players

Comments are closed.