Dalla fine degli anni Ottanta la fantascienza non è stata più la stessa e, con l’avvento del nuovo millennio, sembrava ormai destinata a farsi soppiantare e sfruttare da generi più appetibili quali il fantasy, l’azione e l’avventura. Accanto all’offerta potenzialmente illimitata di storie e opportunità narrative, infatti, la fantascienza ha rivelato una scarsa varietà di risorse evocative – generate da un corpus simbolico ormai consunto e indebolito – che ne hanno limitato il repertorio riducendola a mero escamotage tematico.

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Nonostante ciò non sono mancati, accanto alle numerose produzioni mediocri e agli inutili remake, film dotati di un certo appeal, contraddistinti da un approccio (di stampo nichilista) attratto dalla possibilità di far collassare su se stessi i motivi classici dell’esplorazione, dell’invasione e della creazione (tecnologica e biologica) revocando ogni curiosità verso l’ignoto. Questi film, sempre più rari e preziosi, sono scaturiti da un (pre)sentimento allarmistico: se quella che una volta appariva come mitica e incredibile fantascienza, oggi assomiglia sempre di più all’inquietante realtà che si profila all’orizzonte. Pertanto, dall’ottimismo che caratterizzava la science fiction degli esordi – pur contrassegnata dalle insicurezze e dai turbamenti dell’epoca – si è approdati a una rappresentazione fantascientifica segnata da situazioni tragiche e angoscianti, in cui se esiste una salvezza è sempre provvisoria e incessantemente minacciata. Questa evoluzione dal taglio quasi esclusivamente drammatico rappresenta forse una deriva del genere, o almeno di quello che abbiamo conosciuto finora, con cui ormai sembra necessario fare i conti.

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La breve e sommaria introduzione si è data come indispensabile per trattare un film di prossima uscita che – incastrato tra passato e futuro e tra vecchio e nuovo – restituisce perfettamente il fascino contraddittorio di questa fantascienza recente. Il film è Ex Machina diretto, al suo debutto, dallo scrittore di The Beach e di alcuni dei soggetti adattati per lo schermo da Danny Boyle, Alex Garland . Ex Machina racconta la vicenda – già proposta in tutte le salse – dell’incontro/scontro tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale offrendo, insieme al curatissimo impianto immaginifico, un intreccio abbastanza scontato.

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Eppure, nonostante le dinamiche narrative imboccate in cui vengono attivate tutte le implicazioni etiche del caso, Ex Machina intraprende un interessante cambio di rotta trasformando “l’umano inferiore che però è più furbo della macchina” ne “l’umano inferiore soggiogato dalla macchina” e trovando in questo espediente una sua specifica dimensione. Il film diviene così non tanto un’indagine sulla contrapposizione delle parti in cui, nel segnalare le distanze e le diversità, a prevalere è l’umana ragione, ma un’osservazione sulla natura delle pulsioni in cui la macchina, nel manifestare un feroce istinto alla sopravvivenza e un inderogabile desiderio di libertà, finisce per apparire più umana degli umani. Mentre, nel frattempo, costretti dalle proprie debolezze a un’esistenza sempre più arginata e isolata, gli ultimi stanno (in)consciamente destituendo la loro umanità. Ex Machina mette in scena una serie di trappole, approntate per il prossimo, che diventano presto insidiose e punitive soprattutto per coloro che le hanno tese, rendendo labili non solo i ruoli, ma anche i delicati equilibri morali.

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L’atmosfera sinistra e minimale, gli scenari asettici e futuristici e l’uso dosato e sapiente della CGI sembrano mutuati da una delle più riuscite produzioni fantascientifiche apparse negli ultimi anni: la serie antologica Black Mirror (Charlie Brooker, 2011) – dal quale è prelevato persino il protagonista Domhnall Gleeson – mentre purtroppo tendono a perdersi le suggestioni sospette e sospese degli episodi, banalmente risolte nella struttura narrativa del lungometraggio.

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Se la scena del ballo “a luci rosse” – che per dissociazione di registro pare estratta da un film di Winding Refn – resta senza dubbio la più suadente e disorientante dell’intero film, va annoverata tra le trovate surreali anche la performance di Oscar Isaac che, a metà strada tra l’Alan Garner di Una Notte da Leoni e il fondatore di Google Larry Page, restituisce da solo la corruzione di un’umanità brillante ma del tutto inaffidabile. Il resto, purtroppo, pare non volersi allontanare più del dovuto da sentieri già battuti.



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