Se è vero che le serie tv hanno ormai raggiunto uno status qualitativo serenamente paragonabile alla più efficace partitura cinematografica, un simile discorso si può fare per certe saghe filmiche, inesorabilmente serializzate. Non soltanto nel senso che sono composte da capitoli potenzialmente infiniti – ed è il caso di questo Kung Fu Panda 3 -, ma anche relativamente al fatto che ogni prodotto di questa catena è a suo modo autoconclusivo, come un lungo e ben elaborato episodio di stagione – ed è ancora il caso di Kung Fu Panda 3 -. Cinque anni dopo la simpatica seconda puntata (appunto), il nostro eroe torna con la sua goffaggine, il suo coraggio, la sua “pasticcionaggine” naif a scontrarsi contro il cattivo di turno e a inserire un ulteriore tassello nella scala (poco) cromatica della propria crescita interiore.
Il nucleo della terza storia, in ogni caso, è la reunion tra Po e il suo papà biologico, fotocopia giusto un po’ più ingombrante delle sue manie e tic compulsivi, mentre l’oca padre adottivo fa di tutto per sabotare il rapporto nascente, salvo poi fare il primo passo per l’accettazione della loro famiglia allargata (conclusione dal quieto messaggio trasparente per nulla urlato, che ha involontariamente provocato un polverone polemico d’ignoranze assortite qui nel Belpaese).
Kung Fu Panda 3 non porta con sé niente di nuovo ma assolve al proprio dovere d’entertainment, avendo però la sfortuna di venire dopo due grandiosi colleghi animati (Inside Out e Zootropolis) che lo fanno apparire il fratello guercio della famiglia. E ha, soprattutto, la colpa oggi imperdonabile di non riuscire a costruire un villain con un background solido, ma che si regge altresì su un unico sketch reiterato; questo indebolisce inevitabilmente la struttura narrativa, già piuttosto flebile.
E ora, avanti un altro.
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