Forse avete intuito qualcosa dall’improvviso aumento dei meme con strane battute sui supereroi o la spilla di Watchmen sulle timeline dei vostri social network, o forse non vi siete accorti proprio di nulla, ma la scorsa settimana ha visto la contemporanea pubblicazione di due albi che hanno avuto un impatto decisamente deflagrante sul mondo del fumetto USA e sui suoi lettori. (È superfluo dirlo, ma per parlarne, ovviamente, dovrò addentrarmi in territorio spoiler, perciò se leggete le serie Marvel e DC nell’edizione italiana o più semplicemente non volete farvi rovinare del tutto la sorpresa, l’imminente salto di paragrafo è la vostra ultima occasione per uscirne puliti.)

Steve Rogers Captain America #1

Lo scompiglio che ha portato di colpo i supereroi ad essere argomento di discussione a scapito dei film è stato causato dall’arrivo sugli scaffali delle fumetterie di Captain America: Steve Rogers #1 e DC Rebirth #1, due storie lontanissime sotto ogni punto di vista, stile, toni e contenuti, accomunate tuttavia da una rivelazione conclusiva giunta decisamente inaspettata e dalle conseguenze al momento imprevedibili – almeno in uno dei due casi. Non si tratta di un evento poi così raro, il mondo dei comics si fonda su storie destinate a sconvolgere lo status quo, spesso per un periodo di tempo ben più breve di quanto gli strilli in copertina lascino furbescamente immaginare. Questa volta però il loro verificarsi nello stesso giorno lascia spazio ad interessanti prospettive d’analisi, perché al di là del colpo di scena le due storie colgono in poche pagine – o un po’ meno poche, nel caso di Rebirth con le sue 80 facciate di fumetto – lo spirito guida delle due case case editrici, mentre le reazioni del pubblico raccontano il cattivo stato in cui versa il fumetto USA – ma non solo – meglio di ogni analisi che si concentri solo sui dati di vendita o sugli incassi dei blockbuster.

Cosa succede in queste storie, dunque? Iniziamo da Steve Rogers: Captain America #1, albo che segna il ritorno di Steve Rogers nel costume a stelle e strisce, dopo aver ceduto manto ed alter ego all’amico Sam Wilson. Quella che poteva all’apparenza sembrare una tappa tanto inevitabile quanto scontata, il ritorno del detentore originale nei panni abbandonati, ovvero uno dei topoi più classici della letteratura supereroistica ha invece preso una piega che ha sconvolto generazioni di lettori rivelando non solo che Steve Rogers è in realtà un agente sotto copertura del Hydra, ma che lo è sempre stato, fin dalla tenerissima infanzia.

CAPTAIN AMERICA HAYL HYDRA

Sull’altra sponda del comics kingdom, Rebirth  – Rinascita nell’edizione italiana – è uno di quei volumi che servono per introdurre una nuova fase editoriale della casa editrice. Ancora una volta, siamo nei luoghi comuni del fumetto di supereroi moderno: nella conclusione del più recente crossover targato DC la continuity è stata nuovamente distrutta/alterata/ricombinata e prima della ripartenza delle nuove testate serve una storia che tiri le fila, presenti il nuovo status quo a nuovi&vecchi lettori, e soprattutto funga da stuzzicante antipasto per chi si è fatto incuriosire dal lavoro del reparto marketing ed è ancora indeciso se è proseguire o meno con la lettura. Il protagonista è Wally West, personaggio iconico per la DC che ha esordito come Kid Flash per poi raccogliere il manto del suo ispiratore salvo poi sparire dalle scene in uno dei rimestamenti periodici a cui la DC sottopone le sue realtà parallele nel tentativo di tappare i buchi e ricucire le incongruenze.

Durante il suo pellegrinare in cerca di qualcuno che riesca a salvarlo dall’oblio, prima che il limbo di spazio tempo in cui si trova ne risucchi completamente sia la coscienza che il ricordo, Wally fa visita a Batman, impegnato a indagare le strane alterazioni di cui soffre la realtà, tra cui la comparsa di tre differenti Joker. Nelle ultime pagine del racconto, dopo che Wally West è stato salvato dal suo mentore Barry Allen, mentre un Batman alquanto perplesso sorge una spilletta con uno smile incastonata tra le rocce della sua bat-caverna, la scena si sposta su panorama alieno dove un orologio viene decomposto e ricomposto, in un richiamo decisamente palese a al Dottor Manhattan di Watchmen.

Rebirth Wally West

La portata dei due avvenimenti può sembrare equiparabile a prima vista, ma basta addentrarsi un po’ di più nel contesto in cui le due storie sono maturate per capire che il coup de theatre di Capitan America è destinato ad essere sostanzialmente solo un’esca per attirare attenzione sul personaggio – strategicamente allestito mentre il suo film al cinema è minacciato dai mutanti della Fox. L’attuale storyline in corso infatti vede protagonista uno Steve Rogers ritornato all’esplosività atletica di un ventenne grazie all’intervento di Kubik, ovvero l’incarnazione del Cubo Cosmico, un artefatto così potente da poter riplasmare la realtà, mentre sullo sfondo il Teschio Rosso sta ricostruendo una nuova Hydra arruolando giovani adepti in giro per il mondo con discorsi populisti e xenofobi degni di un Trump e di un Salvini.

Non bisogna disporre di nessun potere di preveggenza dunque per intuire che il retroscena sull’arruolamento del futuro Cap tra le fila del Hydra sia frutto di qualche macchinazione criminale che ha sfruttato a proprio vantaggio i poteri del Cubo Cosmico finiti nel corpo di una bizzosa ragazzina e che questo status quo sia destinato a durare fino alla fine dell’arco narrativo. Si tratta, ancora una volta, di un archetipo abbastanza comune del fumetto di supereroi. Ho perso il conto delle volte in cui un personaggio ha rinnegato la propria natura per poi tornare sulla sua strada, per i motivi più disparati. Senza citare le innumerevoli morti&ritorni, Spidey ha abbandonato il suo ruolo di protettore di NY regalandoci una delle copertine più iconiche della storia, Devil è diventato il Kingpin di Hells Kitchen e il leader della Mano, Wolverine è stato per qualche tempo il nemico pubblico n.1 degli USA, Hulk è passato dall’essere un verde e ottuso bestione irascibile a un raffinato e intelligentissimo buttafuori dalla pelle grigia. Lo stesso Cap ha riconsegnato scudo e costume al governo rifiutandosi di essere simbolo di una nazione in cui non si riconosceva più per vestire i panni clandestini di The Captain.


The Captain

Se la trama di Steve Rogers: Captain America #1 pone dunque ben pochi problemi di interpretazione critica, aderendo con naturalezza a uno dei canovacci a cui il genere costantemente ritorna, Rebirth #1 si impone invece il gravoso compito di restaurare i pilastri su cui poggia l’universo DC – su tutti il concetto di legacy – cucendo insieme un decennio di deriva editoriale che ha sconquassato l’universo narrativo DC infastidendo i lettori più stagionati senza riscuotere di contro grande successo tra le nuove leve sul lungo periodo. L’impresa non poteva che essere affidata a Geoff Johns, lo scrittore più rispettato dalla fanbase, ma anche quello che ha maggiormente incarnato lo spirito DC Comics negli ultimi anni, supportato alle matite dai disegnatori più talentuosi- e rappresentativi, dettaglio non trascurabile – della scuderia DC. L’intera vicenda è una gigantesca metafora nemmeno tanto difficile da cogliere, un tentativo di ricucire un puzzle in cui troppe tessere non combaciano, un’ammissione delle proprie colpe editoriali, ma soprattutto una rivendicazione dei propri tratti dominanti, della propria identità aziendale, un fiero riconoscimento del fatto che i lettori che amano la DC Comics la amano per la sua continuity ingarbugliata, le migliaia di personaggi, le incongruenze risolte con altre incongruenze che portano a trame che riscrivono la realtà a cazzotti: la amano per questo, e non nonostante questo. Di colpo insomma qualcuno si è accorto che per attrarre nuovi lettori non bisogna rinnegare ciò che si è, ma forse è meglio indirizzarsi al giusto pubblico e convincerlo della bontà del prodotto che si è confezionato con successo in passato.

Geoff John però non si è accontentato e ha alzato l’asticella oltre quel limite da cui qualunque scrittore di fumetti sano di mente si è tenuto ben lontano negli ultimi 30 anni: ha fuso l’universo narrativo di Watchmen, il capolavoro di Alan Moore, con quello della DC Comics. Certo, ci sarà stato un ordine aziendale dietro, ma lui l’ha fatto, assumendosi il peso della responsabilità e accettando gli inevitabili strali che pioveranno da Northampton. E non solo, ma l’ha fatto bene, seminando inidizi per anni e anni senza che nessuno se ne accorgesse, se non col senno di poi, dando un senso alla bieca operazione commerciale di Before Watchmen, ricollegandosi al finale dell’opera e dichiarandogli al contempo metaforicamente guerra. Se Moore conclude la sua graphic novel con un Dottor Manhattan intenzionato a plasmare un suo universo, Johns lo rende il demiurgo del DC Universe, il Creatore di un universo narrativo che poggia sui valori più classici della narrazione supereroistica, ovvero quei valori verso cui Moore ha condotto la sua opera di decostruzione giunta al culmine proprio con Watchmen. Niente male, no?

batman rebirth watchmen

Sarebbe stato dunque lecito attendersi che l’attenzione dei lettori abituali di fumetti fosse attratta da quest’ultimo -inatteso, va ammesso – sfoggio di bravura, coerenza e irriverenza, lasciando ai media generalisti l’onere di abboccare all’esca Marvel e riempire pagine e colonnine di destra con la presunta conversione al nazismo di Cap  – e no, l’Hydra non  un’organizzazione nazista. Dimostrando invece come non si finisca mai di sopravvalutare l’umanità, il web è stato presto invaso da post traboccanti odio nei confronti della Marvel, video in cui l’albo in questione viene distrutto in svariate modalità, e minacce di morte verso lo scrittore colpevole di un simile atto di lesa maestà. Il solo risultato di questa valorosa campagna d’opinione è stata l’incazzatura di Ed Brubaker – ex scrittore di Cap – che ha chiesto di essere tirato per la giacchetta in una questione che non lo riguarda,  i ringraziamenti sarcastici del veterano Mark Waid a Phil Spencer che si è sorbito l’internet hate machine della settimana – prima di fare logout – e i sorrisi a 32 denti del reparto marketing Marvel che si è visto piovere addosso un valanga di pubblicità a costo zero, trasformando un albo tutto sommato normale in una notizia da copertina per quotidiani nazionali, magazine internazionali e talk show di prima serata. Il dettaglio più interessante dell’intera vicenda è notare come le critiche più aspre e intolleranti provengano da quelli che si professano lettori di vecchia data di Capitan America, dimostrando dunque o una certa propensione alle bugie – attitudine che di certo non sarebbe apprezzata dall’integerrimo Steve Rogers,nemmeno nella sua versione di agente Hydra – o un analfabetismo funzionale prossimo all’incapacità di comprendere un testo scritto. Make America great again, insomma.

Per quanto se ne possa ridere però, l’intransigenza e l’ottusità dimostrata in più occasioni dal proprio pubblico non è uno di quei dettagli che deve far dormire sonni tranquilli a Marvel e DC. I tentativi di allargare il proprio bacino sono sistematicamente falliti dopo aver dimostrato segnali incoraggianti solo nel breve periodo. Per risollevare le vendite allora non resta che ricorrere a trucchetti di marketing, crossover ed eventi su larga scala sempre più riavvicinati, reset periodici della numerazione per ripartire dal #1 e un ritorno in auge delle copertine variant. Doping editoriale insomma che ha rischiato di mandare un’intera industria a gambe all’aria già negli anni ’90. Non stupisce quindi che la Marvel coccoli così tanto il pubblico cinematografico al punto da modificare personaggi storici per renderli più simili a quelli del grande schermo o che la DC abbia deciso di ingranare la quarta con Batman v Superman nel tentativo forse tardivo di creare un proprio universo di celluloide da contrapporre a quello della concorrenza. Con buona pace dei lettori di fumetti, destinato a divenire sempre meno centrale nelle decisioni di Marvel e DC, non solo per la minore rilevanza in termini economici, ma anche per l’incapacità dimostrata nel comprendere, esaminare ed accettare ogni minimo cambiamento allo status quo.

 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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