Immagina gli USA del 2022. Un paese sull’orlo di un guerra civile, o forse già nel pieno di una guerra civile strisciante, combattuta coi metodi della guerrilla urbana un attentato alla volta: locali LGBT+, comunità ispaniche, quartieri di immigrati, tutti bersagli utili per l’affermazione del suprematismo bianco. Una nazione in cui chi non è caucasico è meglio che giri con i documenti sempre in tasca se vuole evitare di finire in un furgone del ICE, prima, e in un centro di detenzione dopo. Immagina un’America in cui sia ormai possibile parlare apertamente, in pubblico o nei talk show di supremazia razziale, inneggiare al fascismo e celebrare la politica schiavista degli Stati Confederati del Sud, senza suscitare alcuna reazione. Risulta facile oggi, vero? Lo era un po’ meno nel 2017, mentre Ales Kot ideava Days of Hate, la sua nuova serie per Image Comics, pubblicata in Italia da Eris Edizioni a febbraio 2019.
Ad essere onesti, non era troppo complicato prevedere uno scenario simile nemmeno ad inizio 2018, all’uscita del primo albetto americano di Days of Hate:
L’America di Days of hate è quella di dopo domani, un paese dove lo scontro ideologico sempre più radicalizzato è sfociato in una inevitabile guerra civile, di cui le storie, i volti e le famiglie portano segni evidenti. […] Una guerrilla sul territorio statunitense condotta contro la cultura egemonica neo-nazista che sarebbe stata ucronia nel 2016 mentre oggi è l’elemento meno fantascientifico dello scenario allestito da Kot.
È ugualmente impressionante, tuttavia, rileggere oggi il primo arco narrativo e ritrovarci un “dopo domani” che già bussa alla porta. E ancora di più stranisce osservare quel “UNITED STATE OF AMERICA, 2022” che campeggia nero su rosso in cima alla quarta di copertina: chissà se per allora, anche in questo caso, la realtà avrà superato la fantasia.
Alla normalità di un futuro che è già oggi, Kot oppone un’altra normalità, quella in cui due donne sono una famiglia se lo desiderano e i nazisti devono dormire con un occhio aperto se non vogliono finire con una pallottola in fronte o carbonizzati da un’esplosione. Amanda e Huian erano una famiglia, finchè la perdita non le ha separate più di quanto non avessero già fatto le loro rispettive ossessioni. Ora Amanda è ricercata e la polizia ha bussato alla porta di Huian, fornendo uno sbocco all’odio che da troppo tempo cova in lei.
Questi sono i giorni dell’odio. Giorni in cui anche chi ti è più vicino può venderti, se in palio c’è la sua libertà o quella dei suoi familiari. Ma anche i giorni in cui qualcuno ha deciso che l’unico modo per rispondere alla nuova normalità è usare le sue stesse armi, senza particolare preferenze per quelle automatiche o gli esplosivi, purché a rimanere al suolo siano nazisti, o alt-right come preferiscono farsi chiamare, suprematisti, qualunque altra etichetta amino appiccicarsi addosso.
Il dilemma a cui Kot sottopone il lettore è evidente fin da subito: è lecito utilizzare gli stessi metodi del male che vuoi combattere? La risposta di Kot è abbastanza palese, e per chi lo ha seguito in passato attraverso le sue storie o attraverso la comunicazione parecchio diretta attraverso i social il responso certo non sorprende.
Oltre al Kot politico, Days of Hate ci presenta anche un Kot dannatamente a suo agio in un hard boiled sporco e rude come il tratto del suo sodale Danijel Zezelj, semplicemente perfetto per la storia che i due intendono raccontare, immersa in quell’America di periferia fatta di edifici bassi, bar immersi nel nulla che anticipano cittadine squadrate, sola interruzione tra campi e strade dritte.
Nei passaggi attraverso metropoli incandescenti al sole del tramonto, grazie all’ottima colorazione di Jordie Bellaire, lo stile dei due pare fondersi negli spigoli caratteriali e fisici delle figure tracciate con dei neri netti, che tagliano tavole dal montaggio serrato e dalla vocazione estetica come fotogrammi di un film di Mann. Spicca in questo senso il quinto episodio, realizzato interamente con una suddivisione della tavola in tre grosse vignette sovrapposte che scandiscono un racconto per parallelismi tra le pagine aperte.
Al termine del primo atto, Days of Hate è molto di più di un manifesto politico di Kot e Zezelj, è un manifesto artistico, una prova di maturità immersa in un thriller catastrofico, profetico e avvincente tanto quanto questi tempi tremendi in cui siamo immersi.
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