Un dettaglio dalla copertina di Vento di libertà di Lelio Bonaccorso

Da appassionato di fumetto, il nome di Lelio Bonaccorso non mi giunge nuovo: nulla di cui ci possa stupire, in fondo, considerando l’stensione del paragrafo di Wikipedia dedicato alle sue opere. In passato per altro mi è capitato di sentirlo parlare, e ricordo di averne tratto un’ottima impressione, ma fino a pochi giorni fa non avevo mai letto nulla di suo, e mi rendo conto di aver fatto male, molto male, perchè il suo recente Vento di libertà pubblicato da Tunuè entra facilmente tra le cose migliori lette in questa prima parte di 2022. 

Vento di libertà: dal mito al fumetto

La vicenda raccontata è quella di Dina e Clarenza, due figure leggendarie legate a un fatto storico realmente accaduto, l’assedio di Messina da parte di Carlo D’Angiò durante i vespri siciliani. Contadine impegnate in un turno di guardia nelle fasi finali del lungo assedio, Dina e Clarenza scorgono nottetempo dei soldati francesi intenti ad aggirare le difese della città: mentre la prima rallenta l’assalto a pietrate, la seconda fa rimbombare le campane allertando tutti i concittadini. Su questo scarno episodio, così radicato nella tradizione messinese da dedicare alle due eroine una coppia di stature sulla facciata del Duomo, Lelio Bonaccorso innesta una storia molto più articolata. 

Ci pensa la fantasia dell’autore, anch’esso messinese, a riempire lo spazio del mito aprendo il suo Vento di libertà nel 1272, dieci anni prima del fatidico e celebre assedio. Il flashback serve non solo a introdurre le due protagoniste, mettendone subito in chiaro il carattere deciso e indipendente, ma anche a delineare il contesto in cui saranno costrette a muoversi in seguito, incorniciato all’interno di una società fortemente patriarcale, in cui la componente maschile della famiglia pretende di arrogarsi diritti su madri e sorelle, mentre l’isola è già attraversata da tensioni palpabili tra gli invasori d’oltralpe e la popolazione. Fin dalle primissime pagine, in cui riecheggiano immagini dell’efficacissimo incipit de Il trono di spade, Bonaccorso mette in chiaro che la libertà è un concetto sfaccettato. 

Un dettaglio da una tavola di Vento di libertà di Lelio Bonaccorso

Sul piano politico e su quello personale, libertà può voler dire due cose differenti. Per Dina sono due le libertà in gioco: quella di Messina, del suo popolo e della sua terra, ma anche la propria libertà di amare Jacques, un francese, il nemico. Il solo desiderio di questa seconda interpretazione della libertà è costato carissimo a Dina e altrettanto caro rischia di costare a Jacques quando, dieci anni dopo, lo spirito rivoluzionario irrompe sulla piazza del mercato di Messina, sospinto dal vento caldo che spazza la Sicilia e acceso dalle notizie delle insurrezioni che arrivano dalle città vicine. 

La scintilla, imprudentemente accesa da una coppia di soldati francesi incendia l’aria del mercato cittadino, ormai satura di voglia di rivalsa: Bonnaccorso inquadra dall’alto l’stante esatto in cui l’esplosivo desiderio di libertà incontra il suo innesto. La spianata del mercato è colma di corpi in preda a un furia cinetica: i quattro angoli della splash page sono costellati di singole vignette mute, colorate di rosse, che incastonano volti deformati dalla rabbia o dai colpi, denti che digrignano o che lasciano uscire un ultimo feroce rantolo mentre la lama squarcia la carne. Al centro dell’immagine la folla converge verso i due incauti incendiari del volere del popolo.

L'inizio dell'insurrezione di Messina in vento di libertà

Nella facciata successiva, la rivalsa si è già tramutata in vendetta: i messinesi stanano gli angioini ovunque, anche all’interno delle loro case. Ancora una volta, quattro riquadri colorati in rosso prefigurano ciò che sta per succedere: i volti dei due messinesi sono trasfigurati dall’esaltazione violenta, quelli dei francesi sono frastornati e terrorizzati, colti completamente di sorpresa. A fondo pagina, il manipolo giustizia un nemico, colto nel sonno, ma in primo piano c’è una ragazza, che evidentemente giaceva con lui tre le lenzuola, inerme, rannicchiata, il volto rigato di lacrime, le braccia chiuse sul petto a coprirsi al di sopra di una morbidissima piega della pancia. Sono queste due le tavole che mi hanno fatto innamorare di Vento di libertà. 

Bonaccorso non si rifugia in un comodo manicheismo: i suoi eroi non sono tutti giovani e belli, e soprattutto non hanno paura di usare la violenza come mezzo per raggiungere la libertà. Dina e Clarenza emergono proprio perchè si muovono all’interno di queste contraddizioni che ciascun personaggio porta su di sé, impresse addosso come i loro nasi ora adunchi ora tozzi, strumenti che Bonaccorso usa per anticipare indoli e motivazioni. 

Una citazione di Il quarto stato in Vento di libertà di Lelio Bonaccorso

Il tratto di Bonaccorso è efficace nella sua esagerazione delle fisionomie: sono i corpi stessi, con le loro braccia grosse come tronchi, i profili nobili, o la bellezza ruvida e spigolosa di Dina e Clarenza, a comunicare le intenzioni dei suoi personaggi, prima ancora delle parole pronunciate. Il resto lo fa la talentuosa indole registica di Bonaccorso, capace di sempre di spiazzare il lettore con le sue inquadrature inattese ed efficacissime, coniugata alla sua abilità nel rendere esplosivamente espressivi tutti i volti in scena, entrambe  valorizzate dai colori per lo più piatti di Giuliana La Malfa, perfetti nel valorizzare ogni singolo dettaglio dello stile morbide dell’autore. 

Il Bonaccorso sceneggiatore non è da meno. Attraverso la sua rielaborazione, la leggenda – lacunosa e contradditoria alla fonte – prende corpo, acquisisce profondità e risuona di significati nuovi. C’è l’orgoglio siciliano, certo, insieme allo sguardo femminile sulla Storia, un punto di vista sempre troppo poco considerato. Ma nella sceneggiatura di Lelio Bonaccorso, le vicende di Dina e Clarenza sono lo specchio di dinamiche di potere che si muovo lungo sentieri tutt’oggi noti, quelli che conducono l’attenzione verso il timore di un altro, diverso da noi, a prescindere da chi sia “l’altro” e chi siamo “noi”. Ancora più interessante, poi, è il discorso di Bonaccorso sull’inevitabile stridore tra utopia e realtà, e sul ruolo che la violenza necessariamente gioca in questa complicata ricerca di equilibrio. Forse facilitato dallo spunto storico, o dalla foliazione più concentrata, ma da questo punto di vista Vento di libertà riesce a risultare decisamente più efficace di altre produzioni che hanno ricercato il medesimo obiettivo, con ambizioni e mezzi decisamente più roboanti.

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La copertina di Vento di libertà di Lelio Bonaccorso



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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